Abbiamo superato indenni il back to school, i calendari dell’avvento di qualsiasi cosa, Halloween, ora si avvicina il ciclone black friday. Non finisce mai, non finisce più. Tanto vale prenderla con filosofia. E siete nel posto giusto, quindi.
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Il quiz della settimana
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a. 97 euro b. 123 euro c. 172 euro
Risposta in fondo.
Ma parliamo di Tesla
Domenica scorsa ero – non chiedetemi altro, per favore – a vedere un cimitero nella Lika, una desolata ma affascinante provincia oggi croata della Krajina, più che altro conosciuta come tappa di rifocillamento dei turisti (o dei pellegrini, a seconda dell’angolo di analisi) diretti a Međugorje. Non chiedetemi, ripeto, sennò finisco fuori tema come Misculin quando al sabato finisce a parlare di lingue protoindoeuropee.
Sia come sia, in questa landa dimenticata e spopolata c’è la statua di Nikola Tesla, che nacque lì vicino in un paesino ancora più desolato del capoluogo, e fonte di infinite dispute neo-nazionaliste di natalità presunta tra croati e serbi che il buon Nikola non avrebbe sopportato nemmeno dopo la quarta rakija. Be’, che suggerimento casuale per la newsletter. Tesla va negli Stati Uniti a fare fortuna, Edison lo truffa, è uno straniero, in effetti. La stranezza della storia: oggi buona parte delle persone pensa che Tesla sia un nome di fantasia inventato da Elon Musk, il proprietario dell’auto elettrica omonima, e che lo stesso proprietario sia quello che vuole diventare il babau di tutti gli immigrati sul sacro suolo americano. (Sto scrivendo prima di mercoledì.)
A me Tesla (d’ora in poi Tesla sarà la macchina, non Nikola, ciao Nikola) ha sempre incuriosito parecchio. La macchina non tanto, mi pare sempre – la definizione non è mia – un PC montato su di una batteria rivestita da una Opel. Ovviamente perché Tesla è argomento divisivo nella comunità del marketing. Tesla notoriamente non fa pubblicità tradizionale – con grande scorno di Mark Ritson1, che ovviamente non perde l’occasione per dire che “poi Tesla è costretta a tagliare i prezzi” (e svalutare il prodotto) e gne gne “te lo avevo detto”. Anche io sono del partito di Ritson, confesso. Quando sei nella nicchia, il prodotto e il passaparola funzionano, ma per costruire un brand di massa, devi andare oltre e fare advertising. Elon per un po’ si era convinto: “Anche se io odio la pubblicità, vediamo come va”, poi, come è nel personaggio e siccome lo spot non gli piaceva, ha licenziato tutto lo staff.
In ogni caso, per il momento, vista la visibilità del nostro super-uomo founder, e visti i prezzi e la domanda non così esuberante di auto elettriche che non siano low-cost cinesi, Tesla non ha tutta questa necessità di farsi conoscere oltre il proprio pubblico eletto. O forse dovrei scrivere popolo eletto. E quando ti rivolgi a un popolo eletto, parlare alle masse in TV come una Skoda qualunque non è indicato. (Di spot di auto ne avevo già parlato: sono tutti uguali e qui un punto a Elon devo riconoscerglielo.)
Da punto di vista del marketing è la tribù di chi ha una Tesla a essere più interessante, anche perché è in pratica il sotterraneo magma che spinge le vendite in superficie. C’è senz’altro il culto della personalità di una parte dei propri clienti: si compra un pezzettino di Elon, un’appartenenza all’America del Fare, anche se la recente aderenza del nostro superuomo al trumpismo ha lasciato di stucco la fetta di teslisti progressisti e liberali, il popolo della ZTL, diremmo in Italia. Ma rimane in ogni caso l’aderenza al verbo dell’energia elettrica, delle magnifiche sorti e progressive. Tesla non vende automobili: promuove una visione del futuro messianica, in cui l’umanità potrà scorrazzare a iosa ma senza combustibili fossili grazie al prodigioso ingegno della sua guida suprema. E chi sia questa è chiaro, e quale canale si è comprato (e rotto, e rinominato, e smontato e rimontato) per comunicare con i fedeli (cioè X, in cui non vado praticamente più).
Buona parte dei guidatori di Tesla percepisce l’automobilista termico come sociologicamente arretrato. Tutto ciò che odora di benzina è satanico, le stazioni di servizio sono rovine del secolo scorso: loro possono sfrecciare per chilometri e chilometri vantando una certa superiorità morale (avendo cura di postare ogni volta su Instagram che si sono fatti 1.000 chilometri senza mai fermarsi, nemmeno per fare la pipì).
I fan di Tesla (proprietari e futuri proprietari, appena il finanziamento viene approvato dalla finanziaria) ruminano dati e ricerche facendo debunking sui fine prints dei consumi delle auto ibride, li discutono e affinano nei gruppi e su Reddit, poi li postano sui profili social con un certo gusto per la polemica nella quale il povero automobilista termico verrà inevitabilmente asfaltato. Tesla ha dato vita a una rete di “discepoli” che si incaricano di difendere Tesla (e perfino la discutibile persona di Musk) online: sono i templari moderni – del resto a me quel logo ha sempre ricordato un po’ quello del museo di storia medievale.
Noi contro gli infedeli: ho visto varie volte che i possessori di Tesla si salutano tra loro quando si incrociano, come i motociclisti. Avere la stessa Tesla uguale a tutti (i modelli sono tre ma quasi tutti hanno quella più economica) facilita il riconoscimento reciproco.
Il processo di ricarica è un rituale: non si “fa benzina”, ma (ci) “si ricarica” nei Supercharger, il mitico luogo dove gli utenti Tesla condividono aneddoti sull’uso di quel gadget che hanno appena scoperto nell’update della dashboard, i record di chilometraggio con il pieno eletrico o quella volta che la batteria si è riempita in soli cinque minuti grazie a quell’hack scoperto su Telegram. Il Supercharger è una specie di stazione termale che rafforza il senso di appartenenza alla classe sociale avanzata.
Con il tempo, molti diventano “ambasciatori” di Tesla, pronti a convincere amici e parenti a unirsi, intavolando infinite discussioni nei barbecue estivi e nei cenoni natalizi (“ehi, vista la mia Tesla? sono arrivato qui senza fermarmi!”). E in queste discussioni all’ultimo sangue chiunque osi mettere in discussione Musk o i difetti/guasti dei prodotti Tesla viene immediatamente zittito come “ignorante” o “retrogrado”, citando infiniti studi sulla sostenibilità di andare in giro con quella vettura (quelli che dicevo prima, il teslista li sa a memoria tutti). Uno studio ha detto che “andare in giro con una Tesla è più sostenibile che starsene fermi sul divano!”. Non puoi nemmeno dire che quel pezzo di lamiera spigolosa ti sembra un po’ overpriced rispetto al mercato: vieni tacciato di terrapiattismo o di boomerismo o di non sapere usare Excel perché il Total Cost of Ownership bla bla bla. (La parola difensore del termico è la fatwa finale che il teslista ti scaglia alla fine di ogni discussione.) E non puoi insinuare che i modelli siano sempre uguali, anonimamente uguali, nessun restyling, nemmeno un cambio della forma dei retronebbia come le macchine dei comuni mortali. La personalizzazione – replicheranno – è interna: il configuratore online, in diretta dalla suprema casa madre, permette di “creare la propria Tesla” come un trofeo personale di vita.
Ce li dovremo sopportare a lungo, i proprietari di Tesla, speriamo che almeno ci sia qualche beneficio per l’ambiente che compensi il loro rompere le scatole in ogni dove. In fondo per ammansirli basta chiedergli “mi fai vedere che guida da sola?”. E tac, nel vialetto delle bifamiliari, per un attimo, loro toccheranno il cielo con un dito. E voi starete in pace per un po’.
Il marketing insegnato dai negozianti
“Non torno”. Allora ciao.
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Segnalazioni varie
La scorsa newsletter ho parlato dei prodotti per il miglioramento di se stessi.
È uscito il terzo video di una mia serie in collaborazione con Tailoor su personalizzazione, AI ed ecommerce.
Ho scritto un pezzo sul business del meteo su Link.
Un mio articolo sull’andamento dell’ecommerce nel settore food & grocery.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba.
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ciao,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
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