Quest’anno l’otto marzo cade di venerdì. Non ho più la forza di ridere dei tentativi del marketing di “festeggiare le donne”. Vi rimando a questo episodio della saga del product manager.
17.500 persone sono iscritte via email e circa 30.000 ogni settimana la leggono qui, su LinkedIn, Telegram e WhatsApp): grazie, spero che le ore che passo a scriverla siano utili. E ti arriva anche grazie agli sponsor come folk che supporta l’uscita di oggi: se vuoi presentare la tua azienda a un pubblico professionale di marketing e affini, senior e attento, sei nel posto giusto. Clicca qui per conoscere chi puoi raggiungere, modalità, prezzi, gli sponsor passati e idee per la collaborazione. Clicca su “rispondi” (o scrivi a gianluca@diegoli.com) per ulteriori informazioni.
Ho deciso di rimettere in vendita fino a fine marzo (poi mi fermo per un po’) il mio corso sui fondamenti del marketing. È diviso in due parti: la prima è sul Marketing Strategico, la seconda è sul Marketing Operativo. In circa 12 ore di lezione spiego le basi, collegando teoria ed esperienza con esempi e modelli operativi, riassumendo le nozioni di marketing di un master MBA. Te lo spedisco (sono serio) in una chiavetta USB (che potrai anche condividere con il tuo team o usare come podcast), e il pacco comprende il mio libro e un QR per due ore di consulenza online: tutto spedito gratis in ufficio. Per chi legge la newsletter ci sono 50 euro di bonus con il coupon GLUCA. Info da qui.
Il quiz della settimana
Quante persone, tra chi abita in Italia, ogni anno comprano dal mercato contadino almeno una volta?
a) 5 milioni b) 10 milioni c) 15 milioni
In fondo la risposta.
Ringraziamo folk, lo sponsor di oggi, con un attimo di attenzione!
Let’s meet folk!
Conosci folk, il CRM tutto-in-uno che rivoluziona la gestione delle relazioni professionali?
Centralizza contatti e flussi di lavoro in un unico spazio, adattabile a Sales, Recruiting, Fundraising e altro.
Sincronizza i contatti in tempo reale da email, gestisci la pipeline collaborativamente, invia email personalizzate e integra gli strumenti esterni con facilità grazie a Zapier e a un'estensione Chrome per aggiungere al volo i contatti da LinkedIn o Gmail.
Ottimizza i contenuti con l’AI.
I vantaggi chiave sono la facilità d'uso e un prezzo accessibile. Oltre 1.000 aziende (soprattutto PMI, startup, agenzie) hanno scelto folk. Puoi partire da un piano gratuito (fino a 200 contatti) e poi scegliere prezzi per postazione e possibilità di abbonamento mensile o annuale.
Dove mettere l’organico
Il sospetto che il calendario editoriale non fosse la modalità più sensata di gestire il canale social media – e a cascata tutto il resto degli owned media – mi era venuto parecchi anni fa, quando dalla macchina incisi un episodio del mio trascurato podcast dal titolo con nuance sfumate «Il piano editoriale (organico1) è morto». Ovviamente al tempo quello che ora sembra un dato di fatto, con la reach organica a percentuali da zero virgola qualcosa, suscitò parecchi malumori nella filiera che va dai social media manager del tempo passando per le agenzie che avevano nel PED il principale prodotto a magazzino, fino ad irritare perfino alcuni cultori della materia, come si dice. Anche perché sembrava un tradimento della mia adesione alla filosofia dei mercati sono conversazioni, che fino al 2010 sostenevo con un certo fervore. Naturalmente non mi conoscevano bene: non sapevano che io non aderisco a nessuna corrente filosofica, almeno quando si parla di crude cifre di marketing. Quello che sostenevo nel 2008, che fosse conveniente per i brand aprirsi alla conversazione “organica”, non era più vero qualche anno dopo. Nel 2016 lo stargate organico si era già ampiamente richiuso.
Ma la digital industry è anche una fabbrica, un settore come gli altri, e come tale per essere profittevole ragiona ottimizzando le economie di scopo e scala, vendendo quello che chiede il mercato, anche se il mercato (per qualche ragione, più che altro relativa alle paure e agli obiettivi personali dei manager) chiede cose insensate ai fini dell’obiettivo più alto, il ROI. Il grande inganno delle piattaforme social, a cui faceva gioco avere contenuti gratis, è stato far credere che ogni brand, dalla gelateria alla multinazionale, dovesse e fosse in grado di produrre contenuti a beneficio di quelli che allora si chiamavano, con una geniale iperbole, addirittura fan. (Del resto, eravamo tutti diventati amici, perché non avere come brand dei fan?). E anzi, più si fossero accumulati fan più il futuro sarebbe stato roseo. E poi, diciamolo, spingendo sull’ego di manager di tutte le risme, ben contenti di presentare fan base a sette cifre. (Ricordo ancora una formazione del 2014 in cui un marketing executive si vantò di aver raggiunto il fatidico milione, manco fosse il signor Bonaventura, senza però avere la più pallida idea di cosa farsene e di quale ritorno ottenerne).
La fabbrica ragiona per output quantitativi: il calendario editoriale è il modo più efficiente di produrre in serie un sacco di contenuti, e anche di costringere il cliente a riempirlo, quel benedetto calendario, instillando nuova FOMO, titillando l’insensato e totalmente egoriferito terrore della pagina Facebook vuota. E così, tra FOMO, conformismo e lavoro in serie, dopo otto anni, il PED non è ancora poi così morto. O forse è un morto che non sa di essere morto, o un Willy il Coyote che non ha ancora guardato in basso.
Probabilmente molti di voi che leggono lo stanno ancora producendo o commissionando, magari togliendone una fettina ogni anno. Ovviamente, dovendo riempire uno spazio, ma senza che la cosa fosse davvero mai mission critical, la fabbrica ha prodotto per dieci anni contenuti per la maggior parte sciapi e del tutto sovrabbondanti, spesso tutti uguali. Non è che Meta ha chiuso i rubinetti della reach per vendere più pubblicità (del resto tuttora almeno l’80% dei contenuti è organico, ma purtroppo non è il nostro organico): è che da quei rubinetti usciva acqua non potabile e i contenuti non erano minimamente attraenti rispetto a quelli dei creator – problema che in futuro toccherà anche ai creator stessi (a qualcuno già nel presente).
Dieci anni di piani editoriali non hanno profuso sui brand né ampia conoscenza da parte del cliente, né aumentato la propensione all’acquisto, né differenziazione, almeno se prendiamo il mercato nel suo complesso e non ci accaniamo a ripetere quei due o tre casi di successo molto particolari e di solito non traslabili. Eppure sono stati spesi centinaia di milioni di euro ogni anno in contenuti organici, considerando tutta la filiera. È che il gioco era truccato in partenza: solo chi è già nella sfera di influenza vede (un po’, sempre meno) i contenuti organici. Si dice che il marketing (della religione metaforica) non deve rivolgersi né agli atei, né a quelli già in chiesa. I contenuti organici erano visti solo dagli ultimi.
Il calendario editoriale è la peggiore strategia di targeting mai inventata e utilizzata, perché – in effetti – non è targeting. E inevitabilmente produce sameness, distribuzione degli investimenti in troppi contenuti, troppi canali, troppi collaboratori, senza che venga mai messo un punto fermo: quanto è il costo opportunità per mille altre cose in cui potrei investire e invece no? Tende a lavorare sulla produzione, quindi non si adatta quasi mai alle diverse audience, ma ottimizza al minore costo di produzione. In questa newsletter ho parlato spesso delle feste comandate al social media (Halloween, San Valentino, eccetera). I risultati sono quasi zero – colpa dell’affollamento –, il costo umano ed economico è alto.
Inoltre, il calendario editoriale (ma spesso anche il piano editoriale) non si adatta quasi mai al settore specifico del brand, perché lavora “a template” (provate a googlare “template piano editoriale”, 727.000 risultati. “Template calendario editoriale”: 525.000 risultati). I dati di engagement sono inconcludenti, o perché sono numeri statisticamente non affidabili, o perché se sono buoni tendono a deviare la strategia per coccolare la «minoranza vociante2» (Com’è stata l’omelia? Bellissima!), se sono scarsi possono far scambiare l’engagement con i risultati finali – magari serve solo “esposizione” e non engagement, per quel brand. Ancora: c’è differenza tra una startup e un brand di massa – la prima deve lavorare sui discepoli della prima ora, il secondo sulla mental availability3. C’è poi differenza tra commodity e prodotti premium, nel primo caso lo sforzo di rendere social ciò che non lo è potrebbe non valere il prezzo.
Il piano editoriale declinato ad argomenti-festività-mesi non si adatta quasi mai alla strategia di marketing, perché strategia significa usare le poche risorse in momenti precisi del percorso di acquisto e in particolari audience, non spalmarle. Ci serve più awareness? Ci serve più propensione all’acquisto? Ci serve vendita a breve? Ci serve fidelizzazione? Non può essere sempre il piano editoriale la risposta, qualcosa non torna.
Eppure forse non tutto è da buttare nemmeno nell’organico, purché ne siamo coscienti. Il social media organico, nel 2024, è semplicemente un laboratorio4. Se funziona benino sull’organico, potrebbe funzionare benino anche in paid ads, che è oggi l’unica cosa che conta davvero per il 90% dei brand. Se non funziona nemmeno in organico, forse non è per niente un gran contenuto. Ma un laboratorio non può consumare il 50% delle risorse di marketing. Forse nemmeno il 10%. Unificare la strategia, riportare il social media marketing nel marketing, confrontare gli investimenti con ritorni e costi opportunità.
Io toglierei per iniziare la parola editoriale. Il tempo di copiare dall’editoria è finito. Se content is king, allora targeting is god. Cancelliamo tutto, facciamo questa prova. Ripartiamo da base zero. Contenuti lungo il percorso di acquisto. Distribuzione del contenuto a pagamento, senza inseguire gli algoritmi. Che sarà anche gratis, ma è una tattica per chi vende contenuti, non per chi vende prodotti e servizi.
Anni fa, ai tempi del «PED è morto», disegnai per un cliente questa slide, che chiamai adcontent canvas: credo sia ancora valida, in gran parte almeno. Forse è un funnel? Meglio comunque del piano «editoriale».
Il marketing insegnato dai negozianti
I veicoli, l’orgoglio di usare il proprio nome, il branding (spotted by Emmaboshi). La ditta fa anche spot radio e TV. Quando sentite in giro la frase “gestione del rifiuto” sappiate che nel mondo reale vuol dire altro.
Vi ricordo ilmarketinginsegnatodainegozianti.info, a cui potete contribuire anche voi.
Segnalazioni varie
La settimana scorsa ho parlato di voti ai professori e di feedback qualitativi vs quantitativi.
Una newsletter di valore alla settimana: in realtà è un gruppo di newsletter, oltre alla eponima rassegna di long form. Le trovate qui |
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è un miracolo.
Per analizzare assieme la strategia, l’organizzazione e il budget della tua azienda, per il mio corso di marketing o per essere sponsor come folk basta rispondere a questa mail.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: c) 15 milioni (fonte).
Questa la teoria, espressa da ChatGPT: “L'espressione attività social in organico si riferisce alle azioni e alle strategie attuate sui social media che non comportano un investimento pubblicitario a pagamento.”