Prima storia di Halloween
Mentre finisci il tuo menu-non-menu, osservi che nel sacchetto c’è anche un volantino: il menu era un menu Halloween, e in effetti c’era un dolcetto nel fondo del sacchetto. Da lì finisci per pubblicare una cosa su Instagram, il radar Halloween dei brand, e passi tutto il ponte a ricevere segnalazioni dei peggiori post social e a ripubblicarli – almeno fino a quando non è troppa la tristezza per quei copywriter obbligati dal committente a pubblicare una ovvia ovvietà, che gira attorno alla paura (sconti da paura, promo da paura, novità da paura), dolcetti o scherzetti, ecc. Ma anche grafiche terrificanti in ogni senso: da detersivi circondati da pipistrelli, zucche dozzinali da stock, aviolinee fantasma, ketchup draculeggianti, brividi al supermercato, i regionali che terrorizzano anche ad Halloween come non bastassero nel resto dei giorni dell’anno, seriosi giornali che si offrono a un’euro al mese per Halloween (ehi, lo sappiamo che la promo era quella di prima e ci avete attaccato solo la zucca), prosciutti cotti travestiti da ragni, per attrarre i bambini che vogliono prosciutto cotto a merenda ma cui piacciono i ragni (un insieme vuoto).
Tutte queste zucche, tutte queste ore di lavoro affannose a colpi di “più originale”, “più safe”, “meno spinto”, “non fa ridere”, “e la promo?” andranno perdute negli archivi delle stories in poche ore. Come i tuoi studenti testimonieranno poi, in un improvvisato focus group, nessun post social di brand verrà ricordato. In fondo è un sollievo per tutti, marketing manager, copy, creativi. Tutto questo affannarsi ti ricorda un po’ quando alle medie non volevi non essere invitato a una festa a cui non volevi andare. È che quando andavi non è che poi spiccassi per essere al centro della festa.
Halloween è l’adolescenza dei brand: la paura di essere dimenticati, la paura di non esserci, di essere diversi dagli altri, di non mettere il dolcetto nel menu. E poi via, tutti assieme con il sollievo della certezza di non essersi distinti dagli altri, che poi sarebbe l’unica cosa che dovrebbero fare i brand. A quello servono. Quelli adulti, s’intende.
Seconda storia di Halloween
Era fine settembre quando il direttore marketing era andato a rileggersi una newsletter di Halloween, inoltrata da qualcuno tempo prima, che poi aveva conservato in Outlook con tanto di bandierina rossa. (ndr: la newsletter era quella della storia che avete appena letto)
Ehi, stanno parlando di noi, aveva pensato un anno fa. Tant’è che in un primo momento aveva pensato che qualcuno del team avesse fatto la spia a quel Diegoli, prima che la product manager lo rassicurasse: non parla di noi, parla di tutti.
“Quest’anno basta, eh” aveva scritto, in una pausa di uno straziante e lunghissimo Teams con l’agenzia, in chat WhatsApp con la fidata Product Manager, che si era girato verso di lui assieme alla comparsa delle due spunte e aveva abbozzato un mimato “ci pensiamo dopo”, senza riuscire però a trattenere un’espressione preoccupata.
Sapeva in realtà che avevano approvato il piano editoriale mesi fa: e anche volendo la tentacolare macchina-di-raffinazione-post-calendario-social era ormai impossibile da fermare. “Me ne sbatto del fatto che lo faranno tutti! Noi siamo noi! Mi hai girato tu quella newsletter l’anno scorso!”. Altre spunte verdi, ma la PM non si era più girata.
La PM accendeva e spegneva compulsivamente la webcam di Teams. Ormai il calendario social era un campo minato: dopo il Back To School (“Che c’entra una passata di pomodoro con il BTS?”. “È sempre una scusa per fare una promo!" ribatteva la sacra alleanza composta da social media manager e vendite), era in vista Halloween. Lo spazio di manovra della PM sul tema era un’area ristretta e militarizzata tra il direttore vendite (codificato nel segreto della chat e della macchinetta del caffè con il nickname OLÈP: Ogni-Lasciata-È-Persa) e l’esasperato direttore marketing.
“Cosa facciamo ad HW? ”, il direttore vendite mandava mail a tema con solo l’oggetto e molti acronimi più l’immancabile e sola iniziale puntata come firma, seguito da 25 righe di disclaimer legale approvato dal DPO. “Eh, bravo lui, bella forza, tanto il budget è del marketing”, pensava il direttore marketing.
“Perché mi devo occupare di Halloween?”, si accartocciava mentalmente sempre più la product manager. Soprattutto la angustiava il problema dei calendari completamente impazziti e dei piani di produzione e imbottigliamento, con materie prime intermittenti e vasetti di vetro cari come cristallo di Boemia: Tetris giocati con le altre divisioni per avere la precedenza sui camion e nei magazzini, oltre a essere giocati con la machiavellica modalità per cui ogni mezzo era lecito.
E se la sua passata di pomodoro adiventasse virale su TikTok? Era il suo sogno segreto. Budget, premio di fine anno, tutto a posto. Sarà nei guai anche la collega PM delle pizze surgelate? Con la collega della pizza surgelata ha un rapporto complesso, che si specchia in quello dei loro prodotti, lievemente succedanei, sfuggentemente concorrenti. Questo era quello che fantasticava in riunioni Teams come quella per Halloween.
E poi c’era il calendario social. La “sua” passata, come un cabarettista trasformista, sembrava dover partecipare a tutte le puntate di questo insensato, continuo, estenuante X Factor di brand, che necessitava di essere approvato, per essere nei tempi, più di due mesi prima (si approvava il Natale ad agosto, si rettificava una frase per Halloween a giugno, ecc.).
In più, dopo che i dati della business intelligence indicavano un declino delle vendite nonostante gli sforzi in engagement, a inizio anno si era deciso di rinvigorirle tramite l’arma finale, il Grande Concorso. Precisamente un concorso di Halloween, “trainato” da una strategia social, ovviamente. La riunione congiunta su Teams era stata appunto indetta per capire perché il concorso non avesse finora attratto le folle come l’agenzia che l’aveva ideato aveva, con un certo solito mestiere, prospettato.
Colpa del piano social, sosteneva l’agenzia ideatrice del concorso, colpa del concorso, sosteneva l’agenzia social. Colpa del poco budget, concordavano entrambe. Alla fine per salvare i numeri di facciata previsti sarebbero stati attivati, tramite canali opachi, i famigerati gruppi di concorsisti, che come un plotone di mercenari aveva marciato sulla form di partecipazione, un’ondata che, alla vigilia di Halloween, non era certo un’invasione, ma era più che sufficiente per raggiungere e pure superare il numero sul contatore della slide che sarebbe stata presentata in plenaria a fine novembre, assieme alla voce “il nostro focus: raccolta dati di prima parte”, nella strategia digitale. Il piano editoriale per lanciare il concorso era stato lungamente dibattuto, ma alla fine il minimo comune denominatore era caduto sul link più semplice: il sangue è rosso, la passata è rossa, ad Halloween ci piazziamo i vampiri, assetati di passata.
Il direttore marketing si era arreso all’inevitabile post di Halloween, ma contava che il taglio silenzioso e lineare di budget social assieme alla famigerata reach zero l’avrebbe salvato dal cringe. In più. una sua vecchia conoscenza nata a un barcamp alcolico a Roma nel 2006 che ora svernava senza troppo entusiasmo al centro media era pronto a spingere il tasto “metti campagna HW22 in pausa” all’arrivo di un suo messaggino in codice su Telegram.
Aveva salvato il salvabile lanciando, all’ultimo minuto del meeting online, prima di staccare per ovviamente un’altra presunta riunione, “Solo, non voglio assolutamente da paura/brividi/… nel copy, eh!”. Già si immaginava citato nella temibile newsletter del venerdì, stavolta con brand, screen e tutto.
La PM non sapeva come dirgli, a poche ore da Halloween, che ci sarebbe stata una specie di collab (l’art dell’agenzia sosteneva da tempo con tanto di benchmark che “bisogna assolutamente fare collab!” per essere brand moderni – il termine co-marketing era passato di moda) con quel vino rosso, cheap e frizzante ma recentemente diventato super engaging su Instagram (i rispettivi CEO si erano incontrati a un convegno e avevano pensato fosse un’idea geniale). La collab avrebbe avuto il claim “fa buon sangue”.
Buon Halloween,
Ci si legge venerdì della prossima settimana. Non con le repliche: questo era solo uno scherzetto.
gluca
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