[È venerdì] Di voti (a prof) e product-market fit
Ascoltare il cliente: sì, ma quale, e quanto?
Ho avuto in regalo una macchina per caffè in grani, che ha sostituito la Nespresso. Con ChatGPT avevo previsto un breakeven a un anno. Invece il consumo è aumentato, quindi il breakeven sarà prima del previsto. Ma qual è il KPI giusto da misurare – a parte quello ambientale e l’NPS familiare? Il costo per caffè (in diminuzione)? La quantità di euro spesa in caffè (in aumento)? Avrei dovuto ammortizzare la macchina su più anni? Insomma, un po’ si rimane a ragioneria per sempre.
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Voti, recensioni e target ideale
Qui no, non parlo di voti dati agli studenti, ma dagli studenti: quasi ogni anno commetto l’errore di sbirciare nei commenti liberi che l’università raccoglie assieme ai questionari di valutazione quantitativi della didattica, un po’ per perversa curiosità personale, un po’ per quell’invidia sulla valutazione inversa che noi gen X non abbiamo mai avuto il privilegio di avere. Al massimo si sapeva, come succede oggi, in modo underground, che alle superiori quel prof, che di solito era un ufologo o un proto-complottista, era la mela bacata che ci era capitata e che lo dovevamo sopportare e basta. All’università, almeno io, poi ero talmente lusingato di poter accedere alla corte degli illustri prof della Bocconi che se mi avessero dato una scheda di valutazione del corso, che so, di Monti, Guatri, o Valdani, mi sarei sentito allo stesso modo di un fedele chiamato a dare una recensione all’omelia del Papa in Piazza San Pietro. Chi sono io per, insomma. E invece oggi tutto è recensibile, valutabile, stellinabile, tutto è “democratico”. Preciso: non che quella situazione fosse necessariamente migliore o peggiore. Era però sicuramente diverso.
Quindi, dicevo, avendo dato un’occhiata a quella decina di commenti (rispetto ad altre 175 valutazioni invece solamente numeriche: ++, + ,-, --) sono caduto nella trappola, la stessa che nelle consulenze (e spesso sui social) chiamo «della minoranza vociante». Sono dunque due giorni che rimugino su quello o quella (se ti becco! ahah) che ha scritto semplicemente “cambiate professore”. E quell’altra o altro che vuole “più spiegazione della teoria” (che per me è incomprensibile, perché passare il tempo a leggere le slide quando le puoi leggere da solo? Mio figlio dice “perché è più comodo se gliele leggi tu, è chiaro”, al che ho ribattuto “eh ma poi c’è un tutto un cluster che mi dà un voto basso perché mi trova noioso”), e poi l’altro o altra che chiede invece “meno teoria, perché è circa la stessa della triennale” (di IULM suppongo). Poi ricorre la discussione (non nel mio corso, per fortuna) su “vogliamo i libri di testo, non le dispense”, che per me è incomprensibile, visto che le (mie) dispense sono aggiornate ogni anno. E invece c’è quello insolvibile: se metti il testo nelle note delle slide in modo da formare una dispensa «il carico di studio è sproporzionato». Ma se fai solo i punti elenco «non capiamo bene».
(Una precisazione, a questo punto: l’attività come professore a contratto di digital marketing alla IULM è un’attività che influisce in modo minimo sulle mie rendite annue, in modo medio-basso sul tempo, in modo abbastanza alto sulla mia sanità mentale, compensato però da un sacco di vantaggi, uno non trascurabile è quello di rendere orgogliosi i miei – faccio un lavoro «serio». Il secondo vantaggio è di sentirsi utili, per i ragazzi e le ragazze, per aiutarli a trovare una strada, altra cosa che, mi pare, 30 anni fa non pensava nessuno – tantomeno i prof dell’università. Ti insegnavano e basta. Almeno questo mi ricordo io. Il terzo vantaggio è l’obbligo – morale – di tenersi aggiornati.)
Il problema qui è dunque composto da tre parti:
le valutazioni qualitative possono essere sopravvalutate per diffusione, in quanto capaci di empatia più di quelle quantitative, e questo non è necessariamente un bene.
le valutazioni qualitative sono più legate, rispetto a quelle fredde e quantitative, al momento/situazione/mood personale in cui sono state lasciate. Spesso influenzate dalla prima e dall’ultima impressione prima della valutazione: il classico andamento a U della memoria.
le valutazioni qualitative possono arrivare da persone non in target, spesso le uniche ad avere più frustrazioni per avere la forza di superare la friction di lasciarle. C’è anche il raro caso contrario: la morte per recensioni (vere) «a 5 stelle». Sei ossessionato dal piacere a tutti, adattandoti ad ognuno. Significa che probabilmente stai over-performando sul cliente, coccolandolo eccessivamente a discapito del tuo conto economico.
Dunque, avrei dovuto accontentarmi di osservare che il mio voto generale è attorno al 7+ (o tre stelle e mezzo, in linguaggio corrente)? Forse sì, perché il rischio del prossimo anno (come nel marketing aziendale) è di accontentare i commentatori e di scontentare la maggioranza silenziosa. Ha senso che gli studenti insegnino come insegnare? Ha senso che i clienti insegnino come fare il prodotto? Le domande, viste assieme, possono sembrare balzane ma il confronto può essere interessante. La lascerò ad altri, a persone come Claudio Giunta, per esempio. Come lascerò per una futura newsletter la mia teoria su «mano a mano che il numero di recensioni cresce verso infinito, la valutazione media tende a 3,5 su 5».
A chi deve piacere qualcosa è un problema di marketing. O forse IL problema. Qualche anno fa lessi un illuminante articolo su come una startup misurava il suo product-market fit, il suo principale KPI. Che è come dire quanto il tuo prodotto (attuale ma anche futuro) piace al mercato in una fase in cui la trazione deve essere organica, spontanea. Sì, ma a quale market? Il loro «trick» era di chiedere come prima domanda in una survey «se il nostro prodotto venisse a mancare, quanto ti mancherebbe?» ed escludere automaticamente tutti coloro che dicevano «per niente», «insomma» e «un po’». In pratica, questi non avevano più il diritto di voto, le loro valutazioni venivano eliminate dalla survey. Ed ecco che la product roadmap si sintonizzava solo su quelli a cui importava molto, il main target, diremmo.
Ora, tornando al punto di partenza, sicuramente la laurea magistrale ha un problema di product-market fit: oggi ci arriva sia chi pensa a un corso professionalizzante (cosa che non sarà mai, o almeno non certo come un corso tecnico sul digitale). Altri arrivano ma hanno in mente i modelli dei master, sia universitari che no, più operativi o comunque «attivi», cosa che in classi da 100 persone è complesso se non impossibile attivare. Poi ci sbarca chi ha studiato le stesse cose alla triennale, e vorrebbe un corso più avanzato “non ci ha parlato della CDP e del DMA”, cosa che è ma non così tanto, perché la magistrale deve poter accogliere anche persone che non hanno svolto gli stessi corsi alla triennale. Poi ci sono quelli come me trenta anni fa, che non avevano idea di cosa fare davvero nella vita, e volevano tenersi le porte aperte per una carriera ignota. Che non lasciano commenti in attesa di unire i puntini.
In pratica, è meta-marketing: la laurea magistrale in marketing, e il suo posizionamento. Un tema interessante da dare agli studenti l’anno prossimo, forse.
Il marketing insegnato dai negozianti
Viaggio nel tempo (spotted by Daniela).
Vi ricordo ilmarketinginsegnatodainegozianti.info, a cui potete contribuire anche voi.
Segnalazioni varie
A che punto del guado siamo (davvero) con il digital marketing (e l’e-commerce) a inizio 2024, con gli spunti usciti dal Focus Netcomm di gennaio. Un recappone scritto per GS1 che si può leggere qui.
La settimana scorsa ho parlato di Davide contro Golia.
Una newsletter di valore alla settimana: Harry Dry, marketing, copy & ads (UK).
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua.
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ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: c) 215 milioni di caffè non bevuti (fonte).