[È venerdì] Cosa non imparare da Davide contro Golia
C'entra lo storytelling più che la statistica
Sapete perché il numero inciso sulle carte di credito è sempre nella stessa posizione in tutte le carte e banche? Perché quando la tagliate o la spezzate in quattro, parte dei numeri finiranno sempre su quattro pezzi diversi. Ingegnoso eh?
Non è vero, ma è una bella storia.
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Il quiz della settimana
Quale tipologia di merendina confezionata è più venduta in Italia?
a) crostatine b) croissant c) trancini
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Golia non ha niente da imparare
Indubbiamente, teniamo per Davide, i testi sacri, in senso metaforico e no, ci triggerano a farlo. Golia ci è antipatico, con quel corpaccione, la forza bruta, tutti che scommettono su di lui, la noia della partita vinta in partenza che improvvisamente si trasforma nell’inaspettato. Ci piacciono le belle storie, e le storie sono belle solo quando non sono scontate – anche se stare col dio vincente, a posteriori, aiuta. Davide aveva uno sponsor di peso, e anche l’editoria biblica dalla sua. C’entrano le favole, il viaggio dell’eroe dello storytelling, cose così. Anche nel business le storie sono raccontate allo stesso modo: c’è il mito del garage, di quello partito da zero, dello studente di Harvard che fa un orrendo sito che è la versione online di un concorso di bellezza e conquista il mondo. Nei giornali locali il titolo diventa «quel negozio di calzolaio che è diventato un colosso della calzatura». Il finale triste ti fa vincere un concorso indipendente di cortometraggi, ma l’happy end, a volte, un Oscar o il botteghino.
Spesso nel business, o nel coach business, si cerca di industrializzare gli insegnamenti del davidismo. Anche perché, guardando bene, i piccoli sono di più e hanno più bisogno di coaching dei Golia che invece se ne stanno là, grossi e poco preoccupati. C’è più business a cercare di convincere i nani che possono essere dei Davide che convincere i Golia a stare all’erta – che non si sa mai. In pratica, la favola di Davide funziona solo perché Davide non vince quasi mai. Ma la strategia di Davide, se utilizzata in maniera estensiva e strutturata, potrebbe essere ripetibile? Non lo sappiamo alla fonte, perché un nuovo Golia probabilmente avrebbe come prima cosa fatto volare in mare quella cavolo di fionda.
Ieri pomeriggio si è svolta la Coppa Italia di basket, in cui Napoli, una squadra di metà classifica con allenatore e giocatori raccattati un po’ in tutte le leghe minori europee, ha battuto la Milano stratosferica del jet set del basket simil-NBA. E ovviamente, ex-post, si sono sprecate le battute su Davide e Golia.
A me è invece tornato alla mente un vecchio articolo1 di Malcolm Gladwell, una di quelle persone, un po’ come Seth Godin e Simon Sinek, a cui ci piace dare retta – perché ci piace credere a quello che ci dicono, anche se non ci portano quasi mai dati o fatti a testimonianza, se non (appunto) situazioni particolari, episodi, aneddoti. Guarda caso anche questo parla di basket. In How David Beats Goliath racconta di come (riassumo) Davide in formato minibasket batte Golia pressando a tutto campo, anziché aspettare la squadra più forte nella propria metacampo.
Gladwell – forse mi ha sentito – racconta, a supporto della sua tesi questo dato:
Il politologo Ivan Arreguín-Toft ha recentemente esaminato ogni guerra combattuta negli ultimi duecento anni tra combattenti forti e deboli. I Golia, ha scoperto, hanno vinto nel 71,5 per cento dei casi. Questo è un fatto notevole. Arreguín-Toft stava analizzando i conflitti in cui una parte era almeno dieci volte più potente – in termini di potenza armata e popolazione – del suo avversario, e anche in quelle gare sbilanciate il perdente ha vinto quasi un terzo delle volte.
C’è, ovviamente, un che di buon senso di marketing in questo: non puoi combattere qualcuno più forte di te sullo stesso piano/tattiche/azioni/feature in cui l’altro è sicuramente più forte. Anche se non do per scontato questo buon senso, nel marketing aziendale, a volte più guidato da hubris e vanità pericolose. Comunque il buon senso pare che funzioni (anche se la raccolta di questo tipo di dati mi lascia sempre piuttosto scettico):
Cosa è successo, si chiese Arreguín-Toft, quando anche gli sfavoriti hanno riconosciuto la loro debolezza e hanno scelto una strategia non convenzionale? È tornato indietro e ha ri-analizzato i suoi dati. In quei casi, la percentuale vincente di David è passata da 28,5 a 63,6. Quando gli sfavoriti scelgono di non giocare secondo le regole di Golia, vincono, ha concluso Arreguín-Toft, "anche quando tutto ciò che pensiamo di sapere sul potere dice che non dovrebbero".
Il metodo per vincere per Davide è trovare un modo per cambiare il gioco. E allenarsi per eseguire instancabilmente quel modo (chiunque abbia giocato a basket sa che pressare per 40 minuti ti porta a finire la partita strisciando). Davide probabilmente si sarà allenato a tirare con la fionda, escludendo aiuti dall’alto. E Gladwell finisce chiedendosi: perché i Golia non capiscono mai i Davide? Perché non imparano mai? Ma, infine, facendo il classico passo falso di chi vuole trovare un metodo universale: perché Golia non gioca come Davide, se questo fa vincere squadre più scarse di talento? Gladwell si spinge oltre, diventando dunque un davidista. Dice che c’è una formula, un metodo universale (e mi ricorda qualcuno).
Il problema è il calcolo delle probabilità asimmetrico (e dei rischi relativi). Golia non può giocare come David, non perché non ci riesca o voglia, ma perché non è conveniente. Entra in campo la varianza2. La varianza è una misura della distribuzione del risultato in output diversi, e più sono dispersi, a parità di media, più la varianza è alta.
Lo spiega bene Chris Brown in un articolo3 in risposta a Gladwell:
[Gladwell] Non riesce a riconoscere che ciò che la rende una buona strategia per Davide è anche ciò che probabilmente la rende inappropriata per i Golia - è una strategia ad alto rischio, alta ricompensa, alta varianza. Una ragione per cui funziona per gli sfavoriti può avere poco a che fare con quanto sia buono in termini assoluti; il fatto che ci sia una maggiore varianza di per sé ha valore per gli sfavoriti perché potrebbe dare allo sfavorito la possibilità di vincere effettivamente. Il rovescio della medaglia, tuttavia, mentre una strategia di pressare a tempo pieno potrebbe aumentare la possibilità di Golia di spazzare via un perdente, potrebbe anche portare loro a perdere una partita che statisticamente non avrebbero perso.
In sintesi: Davide può rischiare, perché perdere di cinque, venti o dieci non cambia nulla, e mescolare le carte può fare uscire dall’alta varianza la partita vincente. Mentre per Golia, mescolare le carte porta a potenzialmente estendere la varianza, che è esattamente ciò che NON deve fare.
Per capire: immagina che i Golia in genere hanno battuto gli avversari di 10 punti. Stanno giocando contro un avversario medio nella loro prossima partita.
La strategia A, a bassa varianza, due volte su tre produrrà una vittoria dei Golia tra 5 e 15 punti (con il resto delle partite ipotetiche giocate con quella strategia che non rientra in quell'intervallo, incluso un numero molto piccolo di perdite).
Ma una strategia ad alta varianza ha una gamma molto più ampia di risultati con due terzi delle partite che finiscono in un intorno tra una perdita di cinque punti di Golia e una vittoria di 25 punti. La seconda strategia, quindi, porterà a più partite in cui i Golia perdono. E questo è particolarmente pericoloso nelle competizioni single-game-elimination come il torneo NCAA [ndr: o la Coppa Italia]. Per i David, il pressing a tutto campo potrebbe aiutare, in particolare se non è sempre previsto, quindi i Golia non possono sapere se prepararsi.
Quindi, ha sbagliato Milano a non pensare troppo a come Napoli avrebbe preparato la partita – scompigliando difese, schemi, pressing al limite, e sparando tiri impossibili? O addirittura ad affrontare in modo non convenzionale la partita? Un leader di mercato dovrebbe rischiare come un qualsiasi newcomer? No, e assolutamente no. Per quanto ci piaccia lo storytelling delle sfide impossibili, l’innovazione rischiosa va bene per Davide, ma può, almeno nel breve periodo, portare solo guai a chi già, in media, e a bassa varianza, vince le partite (o le quote di mercato). Va così, non c’è nessuna lezione da ripetere a memoria o da insegnare in corsi per i Golia. Abbracciare la statistica e il caos, si chiama.
Il marketing insegnato dai negozianti
Speriamo, che l’aria è irrespirabile.
Vi ricordo ilmarketinginsegnatodainegozianti.info, a cui potete contribuire anche voi.
Segnalazioni varie
A che punto del guado siamo (davvero) con il digital marketing (e l’e-commerce) a inizio 2024, con gli spunti usciti dal Focus Netcomm di gennaio. Un recappone scritto per GS1 che si può leggere qui.
I libri Apogeo sono in promozione -20%, compreso il mio sull’omnicanalità digitale nel retail.
ICYMI: dove stanno andando i contenuti (video, audio podcast e tutto il resto), la mia teoria dei vasi comunicanti, opinioni su creator e brand, budget e investimento a lungo termine, e altre cose sul marketing, in un video podcast di RF e Video Belli e dove trovarli
Una newsletter di valore alla settimana: DTC (🇺🇸), una fonte preziosa di idee sugli ecommerce – anche per capire quanto siamo indietro rispetto agli USA.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua.
Per portare un coinvolgente workshop strategico nel tuo marketing team, per il corso di marketing in pendrive o per essere sponsor come Opyn basta rispondere a questa mail.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: c) la merendina confezionata più venduta in Italia è il trancino, seguito dal croissant. Secondo una ricerca condotta da Bva Doxa per conto di Unione Italiana Food le tipologie più vendute a valore sono trancini (32%) e croissant (27%), che precedono plumcake (9,6%), tortine (8%), sfoglie (6,3%), crostatine (5,3%), brioche (4,7%) e panini al latte (4,6%). (fonte).
(ndr: io Fiesta forever, mi tenta tre volte tanto!)
The New Yorker