La newsletter letta dal mio clone 🤖
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Che ne dici di sponsorizzare la newsletter? Ci sono ancora posti a macchia di leopardo tra ottobre novembre e dicembre: se lavori in un’azienda che potrebbe essere interessata a comparire davanti alla combriccola di marketer, digital, manager vari (o conosci qualcuno che ci lavora), dai un’occhiata alle info. E grazie!
Il quiz della settimana
Quante varianti di Oreo esistono?
a) 120 b) 210 c) 340
Contenuto in collaborazione con Tailoor
Un mondo inevitabilmente phygital+
È partito Tech Talks: “Valorizzare l’unicità delle persone grazie all’AI”, un progetto che ho realizzato insieme a Tailoor. Niente grandi proclami, ma qualche riflessione su come la tecnologia, in particolare l’intelligenza artificiale, sta cambiando il nostro modo di vivere e di fare acquisti. Ormai ci siamo abituati a vedere tutto interconnesso tra fisico e digitale, ed è proprio questo lo spazio che esploriamo: il cosiddetto phygital.
Se vi interessa capire meglio come queste trasformazioni influiscono sulle abitudini di shopping del vostro brand (spoiler: ci sono dentro anche i Gen Z), potrebbe essere utile fare un salto.
L’idea della serie è di fare una serie di brevi riflessioni su come adattarci a un mondo sempre più AI-driven senza perdere di vista l’essenziale, cioè le persone.
Le varianti impazzite
Di questi tempi sembra che la famigerata legge di Hick (quella detta comunemente del paradosso della scelta, che afferma che il tempo necessario per prendere una decisione varia in funzione del numero di opzioni disponibili) sia passata di moda. La varietà di opzioni ci fa sempre meno paura. O meglio, come oggi sembra accadere ovunque, le vie di mezzo stanno scomparendo: in medio stat virtus? No, “In medio stat nihil”, in mezzo non c’è niente. Si va in ristoranti con menù super ridotti in numero di piatti, variabile utile per farci percepire a noi esseri irrazionali la superiore qualità e cura, ma poi apprezziamo la varietà, e ne vogliamo tanta, per essere noi stessi e siccome ognuno di noi pensa di essere profondamente diverso la quantità di opzioni necessaria a differenziarci è altissima.
Nel mio libro Svuota il carrello dedicavo un intero capitolo al bar italiano, e ai suoi tentativi di upsell attraverso “lo schiumato”, il “monte bianco”, il “marocchino” e tutte queste infinitesimali variazioni tra schiuma, caffè e bicchiere che consentono di aumentare il prezzo rispetto all’anonimo espresso. Oggi queste cose sono quasi naif. Qualche giorno fa nel tempo di una coincidenza tra un treno e l’altro facevo caso alla varietà delle bevande a base di caffè o sostituti presente nel bar (che in realtà produce tutto, dalla pizzetta all’insalata passando per muffin e krapfen) di una solita catena che incontrate in pratica replicata in tutte le stazioni italiane medie.
Orbene (quanto mi piace questo termine) le varianti erano tantissime: “Attraverso le combinazioni il numero può arrivare a mille o più?” mi chiedevo. Mettici la materia prima (caffè o altro), quantità, caldo vs freddo, topping, e chissà cosa dimentico.
L’ho proposto come esercizio a ChatGPT, che un po’ preoccupato dal fatto che fossi io il gestore del bar mi ha suggerito di limitare queste combinazioni, e di pormi domande sul fatto che qualche combinazione bizzarra non verrebbe apprezzata. In ogni caso, ecco il calcolo.
1. Tipi di caffè di base
11 opzioni: Espresso, Ristretto, Lungo, Americano, Caffè macchiato, Cappuccino, Caffelatte, Marocchino, Caffè d’orzo, Decaffeinato, Ginseng
2. Tipologie di latte
6 opzioni: Latte intero, Latte scremato, Latte senza lattosio, Latte di soia, Latte di mandorla, Latte d’avena
3. Aggiunte e topping (solo quelle applicate dal barista)
4 opzioni: Cacao in polvere, Cannella, Cioccolato fuso, Panna montata
4. Modalità di servizio
3 opzioni: Freddo (ad esempio, shakerato), Caldo, Con ghiaccio
5. Quantità e personalizzazione
3 opzioni: Normale, Doppio, Ristretto
6. Tazza
4 opzioni: Vetro, Tazza grande, Tazza piccola, Da asporto
Calcolo delle combinazioni possibili
Per ottenere il numero totale di combinazioni, moltiplichiamo il numero di opzioni per ciascuna categoria:
Secondo questa simulazione, il menu potrebbe teoricamente offrire 9504 varianti.
La proliferazione delle varianti è chiamata (da me) la maledizione di Starbucks.
Da un po’ di tempo la catena americana non produce più i brillanti risultati di un tempo. Qualcuno incolpa di questo la gara a creare varianti bizzarre di bevande, per rincorrere catene che offrono ancora più bizzarre combinazioni, come 7 Brew e Swig. Perfino McDonald's sì è buttato nel turbinio di idee creative per bevande da asporto con una catena dedicata, CosMc’s. Ognuno fa a gara nel creare vere pozioni magiche con sciroppi, frutta e caffeina: esiste un Melon Burst Iced Energy, di cui preferisco ignorare la composizione. Perché bere solo un caffè quando puoi ordinare un Chai Frappé con topping elaborati come una installazione della Biennale?
Se spesso l’Italia è solo gli USA con qualche anno di ritardo, c’è da aspettarsi che la situazione possa solo peggiorare, e magari – perché no? – propagarsi nel mercato dei gelati.
Ma perché questa follia generale?
Evidentemente siamo nell’era in cui a ogni prodotto si deve necessariamente far corrispondere un suo doppio digitale. La caffeina pimpata per noi, l’immagine del mix che teniamo in mano che ci definisce, a favore di Instagram o TikTok. Perché anche il caffè-qualcosa (chiamiamolo così per comodità) ha ovviamente i suoi bravi creator ed emuli minori, i mixer-influencer, che lanciano mixology non più solo per i drink alcolici ma ormai per qualsiasi cosa. Del resto, la caffeina è una dipendenza legale e accettata socialmente, non serve nemmeno inserire in piccolo “bevi responsabilmente”. Lo status symbol rappresentato dalla variante topping non diventa più sintomo del potere di acquisto, ma del potere di differenziarsi. Anche se, o proprio perché, evidentemente ogni variante costa sempre di più (è la legge del cappuccino, la variante ha un margine economico più alto, la variante della variante ancora di più, eccetera).
Tuttavia, affidare la P del marketing ai creator ha un bel po’ di svantaggi, oltre al vantaggio di insinuarsi in trend prêt-à-porter create ad hoc per fare engagement. Ad un certo punto la legge di Hick si vendica: le persone perdono un sacco di tempo a consultare le varianti, si formano code che vanno gestite, i menù diventano complicati, anche e soprattutto per le persone che ci lavorano, che così diventano meno efficienti, e il circolo diventa vizioso. Immaginate anche la catena logistica necessaria per fare in modo che non manchi la granola o il melone in centinaia di punti vendita.
“Starbucks afferma che sono disponibili più di 170.000 possibili combinazioni di bevande, ma stime esterne hanno fissato il numero a più di 300 miliardi. E la persona davanti a te sembra sempre ordinarne 100 milioni” scrive il New York Times1 in un articolo molto serio e divertente.
Il problema è sempre che per chi non ne capisce molto (e spesso sono gli investitori stessi) aggiungere una variante al prodotto sembra una buona idea, perché mentre vede una possibile domanda di mercato (basta aprire TikTok!) non vede la base (certa) dell’iceberg dei costi, che per la funzione esponenziale con cui si sviluppa è sempre sottovalutata. Inoltre, c’è poi una ritrosia sociale dal management in giù nell’uccidere varianti e prodotti che non funzionano, si tratta di ammettere un fallimento, e non sia mai. Anche se poi ai convegni si è appena finito di proclamare che “dobbiamo accettare che il fallimento è un test nella cultura aziendale” o altre ovvietà del genere.
Quindi i prodotti, alla fine, sono sempre troppi. In molti casi che ho visto si tratterebbe di cancellarne almeno un terzo. La famosa legge di Pareto, invocata a sproposito in molti casi, qui potrebbe avere una sua rivincita. Il 20% dei prodotti produce l’80% delle vendite, mentre il restante 80% produce (spesso) l’80% dei costi, soprattutto quelli insidiosi e sommersi.
Non è solo una questione di costi e ricavi: i prodotti definiscono cosa siamo, cosa rappresentiamo a livello di brand, più efficacemente dell’advertising e degli statement di posizionamento ufficiali. Starbucks è ancora quel posto che tanto mitizziamo in Italia (ah, posso lavorare con calma al costo di un Frappuccino da 10 euro!) o è diventato un McDrive ma pedonale? Negli USA, dice il NYT, si propende ormai per la seconda ipotesi. Quando inseguiamo il mercato o i tiktoker, a ogni variante di prodotto introdotta perdiamo/cambiamo un pezzetto di identità. Ritrovarla, in un menù da migliaia di varianti, può essere complicato.
Soprattutto quando, paradossalmente, le caffetterie sono sempre più uguali. Scrive Alex Murrell, in “The Age Of Average”2, articolo seminale che vi consiglio:
La torrefazione Four Barrel a San Francisco sembra l'Australian Toby's Estate a Brooklyn che sembra The Coffee Collective a Copenaghen che assomiglia all'Espresso Bear Pond a Tokyo. Puoi chiedere un dry cortado con una latte art perfetta in qualsiasi di queste, quindi metterlo su un piano in marmo e diffondere ulteriormente l'estetica ai follower.
Il marketing insegnato dai negozianti
Ogni tanto c’è creatività vera.
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà.
Segnalazioni varie
La scorsa newsletter ho parlato di pay TV vs streaming e di declino dei leader.
Domani alle 16:00 modero un panel sui Balcani al festival Segni di Pace, Finale Emilia, Modena.
Save the date: sarò a Videns Live l’8 novembre a Firenze, con altrə undici speaker. Candidature per esserci qui.
È uscito il mio pezzo trimestrale per Link, che abbastanza esplicativamente si intitola “Uno sterminato abbonamento”.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba.
Per analizzare assieme la strategia, l’organizzazione e il budget della tua azienda, o per essere sponsor come Tailoor basta rispondere a questa mail.
ciao,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: b) 210 (fonte)