[È venerdì] Sul culto dell'Aperol Spritz le cose non sono andate esattamente così
Potrei dire che può insegnarci una strategia di marketing, ma la verità è che ci vuole anche fortuna, nell'essere il prodotto giusto al centro del ciclone giusto, al momento giusto.
Oggi è Black Friday. Non sono riuscito ad acquistare quasi nulla. Un po’ perché ormai uno sconto imperdibile si trova sempre, un po’ perché mi sembra iniziato da due mesi, un po’ perché ho finito la fantasia per i gadget scemi – li ho tutti –, un po’ perché lo sconto Black Friday oggi viene – per legge – confrontato graficamente con il prezzo medio del mese precedente, e il guadagno percepito si abbassa di molto. Grazie UE per averci tolto anche questa ultima gioia, quella di pensare di poter fare un affare.
Grazie allo sponsor, che oggi è Boraso, che ci vuole far conoscere un podcast di interviste a personaggi di un certo rilievo.
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Il quiz della settimana
Quanti spritz cocktail vengono ordinati ogni secondo?
a) 53 b) 153 c) 1.503
Risposta alla fine.
[sponsor]
Visto che oggi – casualmente – parliamo di spritz, vi segnalo che esiste anche Boraso Spritz, il podcast dove si parla di innovazione. Nell’ultimo episodio c’è Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Decò Italia.
Gasbarrino si è scoperto innovatore a 54 anni, quando – dice lui – ha guadagnato la libertà di sbagliare. Da lì ha iniziato a rivoluzionare la GDO partendo da una domanda: “Cosa vuole davvero il cliente? Risparmiare, ma senza sentirsi povero”.
La sua lezione vale per tutti: “Nel business il vero rischio non è fallire, ma essere tiepidi”. Devi avere un posizionamento così netto che il cliente sa anche cosa non troverà da te. Lo dimostrano Tosano ed Eurospin.
Boraso è l’agenzia di riferimento in Italia nel Digital Commerce. Integriamo strategie di Conversion Marketing con soluzioni tecnologiche, sia nel B2B che nel B2C. Aiutiamo le aziende ad avere successo con progetti e-commerce e campagne di marketing omnicanale.
Alcune spiegazioni per il culto globale di Aperol Spritz
Ma come vivevamo senza aperitivo?
È mercoledì sera al tavolo sul marciapiede del baretto in Bolognina, e io faccio il conto a mente (abitudine compulsiva da marketing data driven, lo ammetto): sei/sette bicchieri arancioni su dieci tavoli occupati. (La conta è facilitata dal colore, in effetti). Alla stessa ora la scena si ripete in decine, centinaia, migliaia, decine di bar in Italia e non solo. Il conformismo non ci fa paura.
Tra quelli seduti sono probabilmente uno degli ultimi a ricordare quando lo spritz non esisteva, e il culto dell’Aperol Spritz globale non esisteva (a raccontarlo oggi non sembra neanche vero, suggerirebbe De Gregori). Ma in fondo nemmeno l’aperitivo non c’era, nel senso che non c’era il buffet con i tramezzini e il cibo avanzato del giorno.
Al bar da Nini, nel natio alto ferrarese, c’erano solo vetuste noccioline in ciotola che venivano riempite alla bisogna un po’ come faccio io ora con quelle del gatto, e le luisone1 non venivano sacrificate alla sera come accompagnamento all’aperitivo, ma erano salvate amorevolmente. L’aperitivo in Emilia non era un rito sociale e/o un succedaneo povero della cena ma al massimo il bicchiere prima di cena degli alcolisti.
Il colore non è ininfluente
La storia ufficiale dell’Aperol è nota: nato nel 1919 dai fratelli Barbieri a Padova come corroborante per donne e sportivi (sic), comprato da Campari nel 2003, esploso a metà anni 2010 con il delirio della mixology. Le ricerche su Google nel mondo sono aumentate di 50 volte dal 2015 al 2021. Oggi è il cocktail più popolare d’America secondo Forbes, cosa che lascia interdetti perché l’America nelle serie è margarita e scotch. Si attribuisce il tutto al leggendario marketing di Campari.
Richard Shotton, un famoso scienziato comportamentale asservito al marketing, nel suo ultimo libro Hacking the Human Mind sostiene una tesi particolare2: il successo dell’Aperol Spritz dipende essenzialmente da quanto l’Aperol sembri popolare anche senza proclami.
Quel colore al neon inconfondibile fa sì che quando qualcuno beve Aperol lo si noti, al contrario di un gin tonic trasparente o un altro drink difficile da identificare. L’Aperol da sempre occupa spazio mentale in modo sproporzionato rispetto ai numeri reali.
Tutti vedevano Aperol ovunque anche quando non era ancora vero.
La tradizione che non c’era come strategia di marketing
C’è – secondo me – un altro pezzo del puzzle del social proof o meglio della talkability dello spritz: lo storytelling della “tradizione veneziana”, che poi nella vulgata mondiale, è diventata “tradizione italiana”. Chiunque ordini un Aperol Spritz tira fuori la storia: “A Venezia lo fanno con il Select”. (Il Select è diventato il totem dei conformisti-ma-puristi).
Lo spritz veneziano originale sarebbe bianco, fatto esclusivamente di vino bianco e acqua, lo dicono le riviste di cibo che vogliono fare il Vice della situazione. Il nome deriva dal tedesco “spritzen”, spruzzare, perché – si ritiene che – i soldati austriaci chiedevano di spruzzare acqua nel vino (dopo la carbonara, altri soldati stranieri che inventano tradizioni italiane, un disastro reputazionale). Una cosa derelitta, povera, e pure semi-trasparente. L’Aperol Spritz globale si è costruito un pedigree veneziano molto di recente.
Solo all’inizio del Novecento arrivano il Select e l’Aperol, e molto più tardi lo spritz diventa colorato, e comunque non esce dal Veneto prima della fine degli anni ottanta.
E infine, quando diventa globale, ecco che arrivano le varianti: lo Spritz al Cynar, quello allo Hugo con il sambuco, il Bolognese con lo Schweppes al pompelmo (non so se esiste davvero), quello al limoncello (esiste davvero), tutte declinazioni possibili che servono sostanzialmente a una cosa sola, alzare il prezzo rispetto alla norma.
Perché dentro un trend che funziona c’è sempre chi cerca di differenziarsi, di posizionarsi un gradino sopra, di vendere “lo spritz ma meglio” a dodici euro invece che otto. È il paradosso della commoditizzazione: più una cosa diventa popolare, più proliferano le varianti premium che cercano di sfuggire alla massa pur restando dentro lo stesso fenomeno.
E non manca la polarizzazione, la benzina dei nostri tempi gettata sulle scintille delle nostre inquietudini: oggi ci sono quelli dell’Aperol (la massa), quelli del Campari (come me), e quelli del Select (i puristi-conformisti-irriducibili – anche io ogni tanto chiedo se c’è).
Sono tutti prodotti dello stesso gruppo Campari. La perfezione sublime di essere discusso, creare tribù che si contrappongono ma comunque citando sempre il brand.
Il prodotto perfetto, quasi per caso
Campari ha avuto fortuna, ma la fortuna ha aiutato chi aveva già il prodotto giusto. L’Aperol Spritz ha caratteristiche perfette per essere il cigno nero: è veloce da preparare (prosecco, Aperol, soda, ghiaccio, arancia: trenta secondi, contro i tre minuti di un mojito col pestello), ha margine alto (prosecco da tre euro al litro venduto al prezzo di un cocktail elaborato), è per tutti (amaro ma non troppo, non fa inceppare la bocca come un Fernet che sembra medicina per cavalli), ed è instagrammabile e customizzabile – il che permette a una quantità epocale di content generato da utenti, creator e bartender di farlo infiltrare all’infinito in rete.
Campari non ha creato da sola questo ciclone. Un ciclone è una micidiale combo di zeitgeist, algoritmi e contenuto dal basso che da venticello si allarga fino a travolgere tutto: è la cultura a risucchiare dentro il brand, non viceversa. Il marketing non controlla questi vortici, al massimo ci sguazza beato finché dura l’onda. (Ho spiegato allo Storytelling Festival la mia teoria del ciclone.)
Arrivano le truppe della pubblicità
Arrivano le truppe della pubblicità. Dopo la ragazza che nel 2009 esce dal tettuccio della 2CV (ma chi era?) con i soldi delle vendite arrivano le Coachella, le Croisette, i red carpet, le terrazze in Duomo, gli influencer abbagliati sulla via di Damasco dalla luce arancione, e arriva infine pure Gabriele Muccino nel 2025 con #HappyTogether che ritrae “Aperol Spritz non solo come un brand, ma come un mondo fatto di valori ed esperienze, in cui l’unica regola è mantenere uno stato d’animo leggero e aperto all’insegna della condivisione”.
Quando il marketing dice così intende che il prodotto si vende già benissimo da solo e bisogna solo giustificare il budget davanti al board. Insomma se arriva Muccino il più è fatto. È il successo a portare Muccino, non viceversa. È un po’ come per i libri, si pubblicizzano quelli che si vendono già da soli.
Il marketing accelera tendenze che stanno già emergendo: non ha più il potere di creare tendenze, e non ha mai avuto il potere di andarci contro.
Il bar nel nulla ha lo spritz
Il bar da Nini non esiste più – o meglio, ha cambiato almeno dieci gestioni. Quando mi siedo, nessuno mi riconosce. Al suo posto c’è un locale rinnovato, con dehor, con i tramezzini, le pizzette, e almeno tre varianti di spritz – una è col bitter locale. La teoria della tracimazione3 ha avuto un’altra riprova. Dall’estrema frontiera emiliana a Los Angeles, è l’unica rivoluzione arancione che ha definitivamente vinto. Ma non date la colpa al marketing anche stavolta.
Il libro giallo in tour
Presento il libro giallo sui brand travestiti da culti e viceversa:
oggi 28 novembre alle 18:30 a Genova presso l’agenzia TWOW, aperta a tutti con registrazione, in collaborazione con la libreria L’Amico Ritrovato;
il 4 dicembre alle 18:00 a Bologna in IAAD – Istituto d’Arte Applicata e Design (mappa), aperta a tutti con registrazione, in dialogo con Cristina Portolano;
l’11 dicembre alle 18:00, evento pubblico online, organizzato dall’Associazione Italiana Biblioteche. Ci si prenota sul loro canale YouTube.
Per workshop e presentazioni nel 2026, scrivimi a eventi@diegoli.com.
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È uscito un mio articolo sul Domani, su come l’algoritmo faccia nascere e morire i nuovi prodotti, a partire dalla vexata quaestio del cioccolato “di Dubai”. È per chi ha l’abbonamento, ma – ehi – è black friday, vi portate a casa un anno per soli 60 euro :)
È uscito il mio articolo sugli orari e i giorni in cui acquistiamo in negozio e online. Si legge su Tendenze di GS1.
Ci si sente venerdì prossimo. Per qualsiasi cosa, futile o no, scrivete a gluca@diegoli.com.
Ciao,
gluca
E grazie come sempre a Daniela Bollini per la paziente revisione del testo, a Cristina Portolano per i separatori, e a Boraso per la sponsorizzazione di questo episodio.
Quiz: a) 53 al secondo
A = litri di Aperol venduti in un anno (86.400.000) (fonte)
d = ml di Aperol per spritz (dose media: 60 ml)
k = quota di Aperol effettivamente destinata agli spritz (stima al 70%)
b = peso di Aperol sul totale dei bitter usati per gli spritz nel mondo (stima al 60%)
31.536.000 = numero di secondi in un anno
“Luisona” è un termine coniato da Stefano Benni nel libro Bar Sport per indicare la brioche vecchia di giorni, che nessuno mangia tra gli avventori abituali, e che viene adottata come fosse un animale da compagnia. La fine della luisona avviene per mano di un commesso viaggiatore di passaggio, ignaro.
“Why Everyone’s Suddenly Drinking Aperol Spritz” https://pca.st/ss2zkd77
“C’è un metodo peculiare e definitivo che però è osservabile solo dalla provincia, almeno da quella padana da dove scrivo. Possiamo chiamarlo “tracimazione”. La città produce di continuo trend commerciali, normalmente nel settore dell’intrattenimento, della moda e della ristorazione. Molti sono di breve durata, magari anche di successo, ma seguiti da un rapido riflusso – per esempio, i luoghi dedicati a poke, burger gourmet o bubble tea. Alcuni trend non avvicinano nemmeno il margine della diga: la pizza gourmet, il ramen e la pasta in bianco d’autore, per esempio, sono rimaste ferme, più o meno. Altri fenomeni invece rompono gli argini – da cui la tracimazione – e cominciano a inondare la provincia. Ci hanno inondato, in ordine sparso, il sushi, le yogurterie gelato, il kebab.” da un mio pezzo per il Post, sul padel
![Il venerdì di [mini]marketing](https://substackcdn.com/image/fetch/$s_!vuky!,w_80,h_80,c_fill,f_auto,q_auto:good,fl_progressive:steep,g_auto/https%3A%2F%2Fsubstack-post-media.s3.amazonaws.com%2Fpublic%2Fimages%2Ffd6be18f-4b0e-47da-9179-9f32052c5bcb_554x554.png)








Io sono nel team Spritz Cynar. Non ho mai amato l'Aperol Spritz e infatti prendevo il Prosecco ("per me Prosecco, grazie" pure un po' snob). Poi ho scoperto il Cynar e addio <3
però "amaro ma non troppo" non credo descriva bene l'Aperol, che è dolciastro e giovinastro (ok io sono in camparista).
Grazie per questa newsletter, sono anni che ovunque mi chiedo il perché del boom aperol, l'ho sempre associato alla facilità (soprattutto per palati che cercano il dolcino) e al grado basso