Anche se non è ancora black friday, siamo già in coda, bollino nero, per il natale (lo scrivo minuscolo, è quello commerciale). Come dice il mio cinico preferito, Mark Ritson su Marketing Week:
We have spent the last decade thinking emotional advertising had to be Emotional. With a capital E. And a hug. From your Dad. After you saved the dolphin. And its baby. On its birthday. (ndr: se il papà è divorziato funziona meglio)
È l’eterno dubbio: si fa advertising emozionale perché piace a chi lo fa o perché funziona davvero? Non lo sapremo probabilmente mai, il muro di omertà dell’alleanza marketer-creativo, per una volta uniti, è inscalfibile.
E quindi prepariamoci all’ondata di melassa e di bontà natalizia, scontata già al 20%, perché oramai o è black friday tutti i giorni, o non è natale mai, come cantava Luca Carboni, il nostro poeta preferito.
Grazie a MailUp, sponsor di questa edizione della newsletter. MailUp è una piattaforma per inviare newsletter e DEM a un numero illimitato di destinatari e raggiungerli senza il rischio di finire in spam, con garanzie di recapito del 99%. Se non ci credi puoi provare con questa trial gratis di 15 giorni.
Circa 16.000 persone sono iscritte a oggi via email (più le 4.800 di LinkedIn, le 200 di Telegram e le prime 80 sul nuovo canale WhatsApp): grazie di leggermi, spero che le ore usate per scriverla ti siano utili.
È anche grazie agli sponsor che ricevi questa newsletter: quindi se stai pianificando il budget 2024 e vuoi presentare la tua azienda a un pubblico professionale, senior e qualificato, sei nel posto giusto. Clicca qui per conoscere audience, modalità, prezzi e idee per la sponsorship e rispondi a questa mail per ulteriori informazioni. E grazie!
Il quiz della settimana
Il tonno in scatola rappresenta quale delle seguenti percentuali approssimate del pesce consumato in Europa?
a) 5% b) 10% c) 20%.
Scorri fino in fondo per la risposta.
Ringraziate lo sponsor, scaricate l’infografica con il bottone sottostante!
L’Intelligenza Artificiale può essere un ottimo modo per trovare nuove idee ed evitare di riciclare le solite email. Utile non solo per combattere il blocco dello scrittore alle prese con l’ennesima email di sconti per Natale, l’Intelligenza Artificiale in ambito Email Marketing può essere usata in tantissimi modi, dal trovare l’oggetto efficace per stimolare l’apertura di un messaggio fino alla scrittura di una Call to Action per spingere il lettore al clic.
Idee nuove, contenuti originali, tempi ridotti: una formula vincente, nella teoria. Nella pratica, però, per poter sfruttare il potenziale di questa tecnologia bisogna imparare prima a dialogarci.
Ecco che quindi si apre una nuova arte, non più basata sul come scrivere un testo ma sul come scrivere un prompt (l’input testuale) da dare in pasto all’IA per farle fare il resto del lavoro. Quanti dettagli bisogna fornire? Non saranno troppi? Come rimanere fedeli al brand?
MailUp ha creato un’infografica-vademecum, scaricabile gratuitamente, per imparare a creare email ai tempi della IA.
Carlo Linneo e gli animali di marketing
In questo autunno mi pare di seguire involontariamente (giuro, non c’è un piano editoriale) una linea di dissacrazione spinta, con i dipende come mazza da baseball a spaccare roba di cristallo nella vetrinetta impolverata del marketing. Ho incrinato il brand, le generazioni e oggi un po’ l’evoluzionismo del marketing in sé. Sarà la senilità incipiente, non so.
Ho spesso l’impressione che applichiamo ricette sbagliate perché non capiamo che tipo di animale siamo. Quando studiamo marketing sembra che lo stesso comportamento, le stesse malattie, lo stesso cibo vada bene per aziende che operano in universi davvero diversi e spesso impermeabili, che non comunicano tra di loro, ma che nemmeno loro possono, salvo rari casi, cambiare. Chi gioca alla PS5 sa che ci sono giochi con scenari molto diversi, che spesso richiedono strategie, competenze e destrezze molto diverse.
Una sera a cena abbiamo cominciato a riscrivere il libro del Kotler come se fosse un libro di biologia: nessuno di noi l’ha davvero studiata, la biologia, perciò potremmo prendere degli abbagli. Detto questo, ci sembra che la nostra tassonomia di improvvisati Linneo-marketer possa avere un senso.
Mi spiego: c’è tutta una bibliografia e letteratura che riguarda le startup, soprattutto digitali, che a cena abbiamo identificato come virus e batteri, organismi semplici, efficaci a loro modo, che vivono solo se continuano a riprodursi e a infettare qualcuno. Seth Godin ne ha fatto pure un titolo di un libro, Ideavirus. Dovete creare idee virali, dice, che le persone si passino con il passaparola. Anche il growth hacking ha questa sfumatura di viralità. Il problema di questa categoria è la mortalità, una su mille ce la fa, per un Covid-19 ci sono miliardi e miliardi di virus sfigati: una idea su milioni diventa Google (che poi cambia, si trasforma in carnivoro, lo vedremo). L’altro problema di questo settore biologico è che funziona solo con prodotti che si rivolgono nemmeno agli early adopter, ma agli innovatori – quelli per cui nuovo è sempre meglio del vecchio (è la storia della curva di Rogers, la gaussiana dell’adozione di un prodotto): se esci da questo target, tanta roba non funziona più. Allo stesso modo, questa dinamica non funziona in altre classi di animali. Il passaparola di/per Google non esiste più, oggi. Ricordo come ci scannavamo per gli inviti di Gmail. Chi condivide una scatola di pasta? Nessuno, tra i non psicopatici.
E cosa è invece diventato Google oggi? Google è un carnivoro. Deve mangiare altri per crescere, è notoria la sua capacità di comprare possibili competitor nascenti e mangiarli (o copiarli) senza troppi complimenti. La sua strategia è tipicamente finanziaria (Apple e il conto deposito negli USA, Microsoft con Xbox) o di pubbliche relazioni istituzionali, come peraltro Meta, che pubblicizza in metro a Milano le nuove funzionalità per minorenni di Instagram, affissioni analogiche tese a tranquillizzare amministratori, genitori e politici. Per non parlare di Eni.
Quando c’è «presunto spreco» siamo sicuramente in presenza di carnivori: ricordo degli eventi e delle sponsorizzazioni culturali di Telecom Italia che i miei colleghi di altra telco irridevano. «Non servono a niente». Vero, ma loro non erano un virus, erano già un carnivoro. Il marketing serve a mantenere lo status quo, e spesso il target non è il consumatore. Il carnivoro viene ucciso solo dalla politica o da una catastrofe (improbabile) di solito: è all’apice della catena alimentare, del resto.
Poi ci sono i grandi erbivori delle praterie o dei pascoli, i placidi grandi erbivori. «E chi li ammazza?». Sì, ogni tanto un carnivoro se ne compra uno, magari malato e in difficoltà – Amazon compra Whole Foods, per esempio. Ma in generale campano cent’anni tranquilli. Chi può scalfire Ferrari? Cosa può succedere a Barilla? Possiedono il brand, reputazione, distribuzione. Certo, anni buoni altri meno, ma ehi, sempre lì stanno. L’erbivoro investe in consolidamento del pascolo, nell’erba che mangerà poi, in storytelling di massa: Formula 1 per Ferrari, TV e content di marca per Barilla. Non fanno performance marketing? Ovviamente no. Un po’ perché la distribuzione è molto più importante della motivazione, e il prezzo (in ogni senso) più importante della CRO e dell’attribution algoritmica. Anche qui, si estinguono quando, nonostante la loro cura del prato, quel prato diventa irrilevante. Un giorno ci saranno Ferrari elettriche? Boh, vedremo.
Cosa hanno in comune carnivori e grandi erbivori? Il moat. Il “fossato del castello”.
The term "moat" refers to a company's competitive advantage and was popularized by Warren Buffett. One of the most famous moats in tech was, for example, Microsoft bundling its software with Windows, meaning generations of kids grew up using products like Word and Internet Explorer - until Google rolled out free rival products such as Google Docs.
Cosa manca alla zoologia del marketing? I piccoli onnivori. I ratti. Io adoro i ratti e i roditori in generale. Per autocitarmi, sono quelli che «buttano la pallina di là dalla rete». Sono le PMI, soprattutto locali, i ratti. Oggi spesso sono approcciate da guru che vogliono fargli applicare il growth hacking, l’idea virus, ma anche la USP, la differenziazione, il «sceglietevi un target», tutte cose che funzionano altrove, non nei piccoli roditori. La PMI deve adattarsi, non avere una strategia di marketing, paradossalmente. In una zona devo accontentare un po’ tutti. Mi adatto a mangiare quello che c’è in giro. La specializzazione di prede è per chi se la può permettere. Non apro una scuola di circo per bambini in provincia, al massimo a Milano. Devo essere dove c’è cibo, cioè clienti, in zone di passaggio, e fornire spesso qualsiasi cosa. La pubblicità serve? Sì e no. Basta far sapere che siamo lì, al momento in cui qualcuno avrà bisogno di me. Spesso io stesso prendo in giro la pubblicità sui campi di basket delle leghe minori, ma in realtà per quei business spesso è più che sufficiente farsi vedere in un quadrato di due metri per 50 centimetri a bordo campo.
In realtà c’è anche un altro genere: i simbionti (ho googlato). Diffuso in Italia e diffusissimo in Emilia, tuttavia i simbionti non compaiono mai nei case study, e si incontrano solo andando a vedere le meste aree artigianali padane. Le aziende di subfornitura dipendono dai loro clienti principali (le aziende per cui forniscono prodotti o servizi) per sopravvivere e prosperare. Questo rapporto può essere reciprocamente vantaggioso, con la subfornitura che fornisce componenti o servizi specializzati, mentre l'azienda principale fornisce un mercato costante (finché dura). I pesciolini che puliscono i denti agli squali (forse il nome tecnico è diverso in questo caso, mi perdonerete). Hanno il vantaggio che quando chiudono nessuno ci fa caso, nemmeno i sindacati. Non hanno siti, ancora. Al massimo qualcosa di brutto su LinkedIn. L’imprenditore è spesso ricco ma non lo sa nessuno, e non insegna a nessuno, tantomeno online, come diventarlo. Sa che la strategie è questa: essere zerbino flessibile ma pronto a tradire e a reinventarsi in qualsiasi momento. Che gli frega del marketing? Giustamente.
Non so se questa tassonomia entrerà nei manuali di marketing, forse è meglio di no. Tuttavia, prima di iniziare a pianificare, e giudicare, il marketing, capiamo che tipo di animale è, in quale ecosistema è inserito. Ci spiegheremo tante cose, spesso assurde, a prima vista.
Il marketing insegnato dai negozianti
En France.
Da ilmarketinginsegnatodainegozianti.info, a cui potete contribuire in ogni momento.
Segnalazioni varie
[NEW] È sempre più difficile analizzare l’e-commerce come fenomeno, o meglio come fenomeno a sé stante: ne ho scritto per GS1 - Tendenze Online in Quella (vecchia) normalità dell’ecommerce.
[ICYMI] Le celebrità che diventano brand (e prodotti), su Link.
Una newsletter di valore alla settimana:
reporter e giornalista di viaggi.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie ancora alle genti di MailUp per essere state supporter di questa newsletter.
Per portare un coinvolgente workshop di marketing nel tuo team o per essere lo sponsor di questa newsletter basta rispondere a questa mail.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori d’artista.
Quiz: b) 11% (fonte) ma qualcuno dice il 20-30% (senza fonte linkabile)