[È venerdì] Primo, buttarla di là
Perché giochiamo i nostri campionati locali di marketing pensando di essere Federer
Era sabato pomeriggio, ero sul divano e pigiavo a caso sui tasti della Samsung TV. Ci sono un sacco di canali strani, trasmessi online, monotematici, rigidamente lineari (cioè con un palinsesto, non si sceglie, non si va avanti e non si fa stop per farsi un toast, non si saltano le pubblicità perché il cambio canale ci mette un po’ nello zapping – uh, che termine desueto). Insomma, ero lì conquistato dal cringe d’essai di questo canale “Cinema Segreto” che trasmetteva un film del ‘76 tipo “fasci contro rossi a San Babila”, in stile “polizia s’incazza sulle Alfa Romeo”, proprio anni ‘70 in purezza, e improvvisamente, senza preavviso, zac, appare uno spot veloce, tipo YouTube, di quindici secondi, di una Audi elettrica da millemila euro, e poi dopo trenta minuti (mi aveva preso, il film) una pizza surgelata. Al diavolo la brand safety: tra eskimi, occhiali a goccia, auto, pizze, secondo me qui c’è del potenziale futuro, dal trash TV programmatic. Vi faremo sapere.
Per un malinteso non c’è sponsor in questa edizione. Quindi doppio vantaggio per te, lettrice e lettore. Però ti ricordo che è anche grazie agli sponsor che ricevi questa newsletter, nonostante le ore passate per leggere, cercare e scrivere. Quindi, se vuoi raggiungere l’audience più marketing, senior e b2b che esista in Italia, “non esitare”.
Il quiz della settimana
Qual è stata la località più cercata su Airbnb il 2 luglio? In fondo, al solito, la soluzione.
a) Costiera Amalfitana b) Cincinnati c) Mykonos d) Disneyland Paris
Circa 15.500 persone sono iscritte a oggi alla newsletter (più le circa 4.000 di LinkedIn e le circa 200 di Telegram): grazie di leggermi, spero che le ore passate a scriverla vi siano utili.
Dunque lo sponsor non c’è e quindi regalo questo spazio – a loro insaputa – alla ONG più creativa e sincera che esista: si chiama No Name Kitchen.
Iscrivetevi alla loro newsletter: la loro ricerca di un nuovo veicolo dopo che un incidente ha messo ko l’auto di una volontaria, usata per i trasporti, è una scuola di come fare fundraising in modalità gonzo-marketing1. E non spilorciate, ma donate. Sì, io ho un addebito ripetitivo di 15 euro al mese. Come due Apple TV+, ma più utili.
Il tennis e il marketing
Quando avevo un bel po’ di anni in meno giocavo a tennis, e piuttosto male, avendolo usato fin dal principio più come arma di socializzazione che come strumento agonistico – sono stato uno degli acquirenti del libro Impara il tennis in un weekend, sottotitolo inserito da me “quel tanto che basta per”. C’era un problema però nell’equilibrio intricato dei singoli obiettivi, degli incentivi personali e delle diverse aspirazioni delle persone che frequentavano il campo: che spesso vincevo, nonostante il mio obiettivo finale non fosse nemmeno quello.
Molte persone avevano preso lezioni dal Sacro Maestro, che, come il maestro di sci, spesso non è guidato dall’obiettivo pratico, ma da un senso represso di trascendenza, dalla segreta speranza di fare del malcapitato neofita non uno dei tanti brocchi ma dargli una possibilità, e nel farlo, renderlo elegante. La sbracciata di Djokovic, il tocco di Federer, ma in piccolo. Il problema è che neanche ad allenarsi due vite quella tecnica li porterà molto lontano, dissociata dal campione a cui appartiene. Nel campetto dove giocavo io questo edonismo della racchetta spesso li portava a giocare tra di loro, con scambi lunghissimi ed eleganti, pennellate che invariabilmente portavano a un’altra pennellata, in attesa del colpo di dritto vincente (o in rete), come fossero Agassi. Dopo tre o quattro turni, erano già stremati. La loro prima battuta era congegnata per replicare gli ace di Pete Sampras. Nella maggior parte dei casi ovviamente tiravano poi una tremante seconda, con abbondanza di doppi falli gratis (per me).
Poi c’ero io. Una palla corta, una alta a pallonetto, una lunga, una tagliata, una volée, insomma avete capito: ributtarla di là, sempre. Più lo scambio era corto, meglio era per me, che non avevo il fiato di Borg, soprattutto sotto il sole dell’estate padana. Facevo partire il turno con una prima (la battuta intendo) lenta ma inesorabilmente dentro le righe di competenza – ovviamente facendola cadere sempre in posizioni diverse e spesso (ahem) casuali. Il mio modo di giocare era denominato l’anti-gioco.
Dove voglio arrivare si è capito, forse potrei anche non scriverlo.
Questo parallelismo non nasce spontaneamente dai miei ricordi però: l’ho sbloccato dopo la lettura di un articolo2 che discute la differenza tra il "Gioco del Vincitore" e il "Gioco del Perdente" proprio nel tennis, come descritto nel libro di Simon Ramo chiamato "Tennis straordinario per giocatori ordinari3". Ramo riteneva che i professionisti vincessero i punti, mentre i dilettanti li perdessero, avendo analizzato statisticamente le partite. Non serve (anzi è controproducente) giocare al gioco dei professionisti, a vincere i punti. Serve perderne meno dell’altro.
La verità è che nel marketing e nel business la differenza è ancora più estrema che nel tennis: i professionisti che spesso vogliamo imitare per eleganza sono Nike, Adidas, Apple, ecc. Questi giocano ai massimi livelli, e tra di loro devono conquistarsi i punti. Molte delle aziende che conosciamo la maggior parte delle volte deve semplicemente buttare la palla di là: non perderli i punti, non sbagliare i colpi facili. E le aziende che vincono sono quelle che evitano di fare errori, cosa che è più facile e probabile che indovinare il colpo geniale del campione ogni volta. Gli altri, se saremo bravi, sbaglieranno di più.
Se fossi un barattolo di polpa di pomodoro qualsiasi: mantenere un packaging tradizionale, un po’ di pubblicità ogni tanto e qualche promozione in store (butto di là la palla) e aspettare che i competitor che si sentono in dovere di fare purpose marketing, innovare il pack “perché è vecchio” e sperimentare con l’influencer marketing si sfianchino e sbaglino l’elegante rovescio.
Il concetto non sarà popolare nel mercato della scalabilità esponenziale, dell’all-in, delle startup, del fail fast, ecc. però è ora di accettare che nella maggior parte dei casi siamo in fondo più dilettanti. Se avessi letto il secondo libro anziché il primo, avrei vinto con pure la teoria dalla mia. Ma ora ributtiamo di là la pallina.
Il marketing insegnato dalle negozianti
Al Cairo, Egitto: target e USP, keep it simple.
Se vuoi c’è il resto di ilmarketinginsegnatodainegozianti.info.
Segnalazioni spurie
Quando Jeff Bezos lasciò la sedia vuota per il cliente: un mio articolo per TendenzeOnline, il magazine di GS1.
Un’oretta a parlare (con espertə verə) di dati e marketing: si può riguardare qui.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua.
Per portare i temi trattati qui in un divertente e coinvolgente workshop per la tua azienda o per essere lo sponsor di questa newsletter basta rispondere a questa mail.
PS: qui è probabile che la prossima settimana si farà festa. Per capire che è venerdì mettete un promemoria sullo smartphone.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori d’artista.
Quiz: b) Cincinnati (fonte).
Christopher Locke, in "Gonzo Marketing", propone un approccio marketing non ortodosso, enfatizzando l'importanza delle comunità online nel modellare le scelte dei consumatori, ribadendo un cambio radicale nel messaggio di marketing da 'vogliamo i tuoi soldi' a 'condividiamo i tuoi interessi'. Locke estende la tesi del Cluetrain Manifesto, sottolineando che le persone, non le aziende, creano il mercato online. Invita le aziende a interagire con i micromedia e a creare micromercati, sfidando il modello tradizionale di marketing di massa. (Salvo casi rarissimi, un approccio deliziosamente sconsiderato e fallimentare.) Dal Cluetrain Manifesto al Gonzo Marketing - MdS (mestierediscrivere.com)