[È venerdì] A Faenza, al culto del Post
Un reportage da adepto dal massimo evento del Post, spiegato più o meno bene. Ma vale anche come lezione di marketing.
A settembre sono stato al Talk del Post, e non potevo non farne un reportage molto personale, che poi in un certo senso è sempre sull’intreccio tra culto, fandom, community, influencer e business che è al centro del mio libro giallo. Anche se in realtà volevo essere Claudio Giunta quando parla di Radio Deejay. Ma è anche una lezione di marketing, dopotutto.
C’è lo sponsor, con un evento assolutamente da non perdere.
Il quiz della settimana
Per quanto riguarda gli specialisti casa e persona (le catene come Acqua & Sapone, Tigotà, ecc.), qual è stato il trend delle vendite a volume nel 2024?
a) -4% b) -2% c) +2% d) +4%
Risposta alla fine.
È tempo di Storytelling Festival
Lo Storytelling Festival arriva per la prima volta al Teatro Piccinni di Bari. Succede il 24 e 25 ottobre per due giornate di storie che intrecciano creatività, dati, AI, comunicazione, branding e marketing di culto (quello lo porto io).
Il programma riunisce speaker diversi, uniti da un’idea comune: lo storytelling come leva trasversale, capace di generare senso e valore.
Tra gli ospiti:
– Annamaria Testa, sul futuro del pensiero creativo nell’era dell’AI
– Pablo Trincia, con i meccanismi del podcast narrativo
– Elvio Carrieri, autore rivelazione del Premio Strega
– Donata Columbro, sul data storytelling applicato al tema dei femminicidi
– Andrea Girolami, con la sua Creator Masterclass live
– Mafe De Baggis, avanti veloce (il mondo visto da un futuro)
– Dario Bassani, raccontare la scienza in pace e in guerra
e tanti altre e altri (tra i quali, appunto, il sottoscritto).
Oltre ai talk, ci saranno workshop pratici su:
scrittura ottimizzata con l’AI
narrative coaching per il personal branding
creatività e strategia
co-progettazione
📍 domenica 26 ottobre Storytelling Extra, un appuntamento gratuito e aperto a tuttə, con Vera Gheno.
🎟 Info e biglietti sono sul sito La Content
💸 Usa il codice DIEGOLI20 per uno sconto aggiuntivo del 20% sul biglietto.
Ci vediamo a Bari!
Al culto del brand
C’è sempre una prima volta, per ogni fedele
Vabbè, adesso posso anche scriverlo. Nonostante io sia un abbonato del Post della prima ora, sono sempre stato piuttosto riluttante ad aderire ai suoi raduni. Non sono loro, sono io, non amo le cose collettive. E così non ero mai stato al Talk di Faenza. Non potevo dirlo nella mia chat-bolla piena di altri seguaci perché, come in ogni culto che si rispetti, non aver mai partecipato alla celebrazione primaria è un po’ un vulnus nel CV, che ora ho finalmente bonificato. Faenza è dunque la Mecca di ogni vero adepto del Post, o forse il Giubileo, visto che si svolge in un ex convento salesiano. Certo, ci sono anche i vari Talk in giro per l’Italia, ma è un po’ auto-ingannatorio, come guardare la messa in TV o mettere su LinkedIn che hai fatto un TED mentre in realtà era un TEDx. Non sai se vale davvero, per esempio, il festival musicale estivo a Peccioli in cui hai visto un concerto della band rock-folk scozzese (o era gallese? Una minoranza oppressa del rock, comunque) che Luca Sofri aveva presentato in anteprima nella sua newsletter. (Nota a margine: nessun adeptə ammette di non leggere tutte le newsletter, o di non ascoltare tutti i podcast.)
Eccomi dunque al Talk di Faenza, perfino badge-munito di livello Guest, giallo. Premessa: ogni vero frequentatore di festival sviluppa feticismo per l’oggetto badge. Le persone incrociandoti osservano prima il tipo di badge, solo poi la faccia. I badge, infatti, hanno una loro gerarchia interna: all’apice della piramide l’inarrivabile badge viola di Speaker, segue quello azzurro di Staff, riservato a chi lavora al Post, poi veniamo noi, i Guest. Caso a parte sono le persone che lavorano alla logistica del festival, provano i microfoni, dirigono pazientemente i firmacopie, accendono le luci, eccetera. Il loro badge (sono Staff, quindi è blu!) è invidiato a loro insaputa. Per Faenza il badge giallo me lo sono conquistato grazie alla collaborazione professionale con uno degli sponsor, ma l’importante è il risultato, mi dico. Lo ostento per l’effetto alone che mi conferisce, anche se ho acquistato comunque il biglietto scontato per abbonati, forse per sindrome dell’impostore.
Sono in una fandom, infine
La fandom del Post a Faenza, a prima vista, potrebbe sembrare una fandom qualunque. Ma siccome la fandom del Post sarebbe in linea di principio contro le fandom, soprattutto quelle bizzarre di cui si ride attraverso il podcast “Tienimi Bordone”, la sua psicologia è ben più complicata. Il fan è ligio alla massima sofriana per cui l’indignazione (rumoroso motore di buona parte delle community di culto contemporanee) è il Male1. È quindi difficile lasciarsi andare a un liberatorio isterismo assoluto da fan se il tuo stesso culto predica il dubbio sistematico (la parola dubbio, nel sito del Post, compare 9.000 volte in 15 anni, ho controllato. Fanno 1,6 dubbi al giorno.) E dunque ogni singola persona è tormentata dal dilemma se sdilinquirsi in dichiarazioni d’amore incondizionate ai loro idoli, giornaliste e giornalisti come se si fosse a un concerto di Taylor Swift, o mantenere una certa compostezza di chi fa orgogliosamente parte della audience dubbiosa e razionale dell’informazione italiana. Per cui ci si limita a bisbigliare in platea che «il nuovo look di Luca è adorabile». Penso si riferisca a Luca Misculin, che per l’occasione sfoggia una barba più lunga del solito e un cappellino da baseball («uguale al mio!», dico alla mia compagna, che conferma per pura accondiscendenza affettiva).
Non che nell’audience del Post ci sia tutta questa attenzione all’outfit. La maggior parte delle persone indossa un mix di simbologie tessili. Quindi sotto il sole di agosto di Faenza (anche se sarebbe settembre) l’incidenza di Birkenstock e tote bag arcobaleno è superiore a quella della Montagnola di Bologna, ma il total look non scade mai nell’archetipo del centro sociale barricadero, e infatti tali scarpe e borse si accompagnano a vestiti floreali di vintage pregiato o a camicie azzurre che riflettono quelle di Francesco Costa.
Che poi, io adoro stare tra gente della stessa bolla anche se poi, come dicevo, mi dà istintivamente fastidio pensare di far parte di qualsiasi cosa di collettivo. Ci sono vantaggi tangibili in questa bolla, oltre a poter discutere del PKK o di navi portacontainer con interlocutori preparati: ci si vuole tantissimo bene a prescindere. Un esempio: alle toilette faentine (unisex, ovviamente) c’è coda, e invece della tesa marcatura reciproca sulla precedenza al water qui è tutto un «No, ma vai prima tu! No figurati, c’eri tu! Insisto, tu» ecc. Nel giardino adiacente una bambina scende dallo scivolo e travolge malamente un adulto. L’adulto è acciaccato ma non impreca, come succederebbe normalmente, ma si scusa con la bambina. La cosa che odio veramente delle bolle è che devi tornare alla realtà, prima o poi. Per dire: esco un attimo dal convento del Talk e arrivo in piazza a Faenza dove entro in contatto con il pubblico caciarone degli sbandieratori con tamburi e tutta la scenografia medievale annessa. Saranno gli stessi (un gruppo di Fossano, provincia di Cuneo, per la precisione) che mi perseguiteranno anche alla colazione in hotel con un brusio inenarrabile – ho pensato che magari i tamburi, a lungo andare, avessero danneggiato i loro timpani. Se non fossi stato al Post non ci avrei fatto caso.
Stefano Nazzi meriterebbe un capitolo a parte del manuale del culto, perché è un ponte verso l’esterno – avevo già partecipato alla tappa bolognese del suo tour in teatro, esaurito mesi prima come i Radiohead, e la popolazione era diversa da quella strettamente del Post – ma è anche altro, oltre a essere straordinariamente affabile con “tutti e tutte”. Parte della sua popolarità dipende dal suo ruolo di colui che consente al popolo del Post di indulgere nell’ascolto del guilty pleasure nazionale, cioè il genere crime, potendo però esclamare «no, io Elisa True Crime proprio non riesco ad ascoltarla». Quindi che guilty pleasure sia, ma à la Post, a modo nostro. Stessa filosofia del seguire Sanremo o l’Eurovision senza ascoltarli davvero, più come analisi sociologica e geopolitica, attraverso i podcast che immancabilmente il Post gli dedica.
Giocatori da spigolo e Labubu
I giornali (degli altri) sono l’ossessione di buona parte della platea, e già questo indica, citando a memoria lo stesso Misculin, «quanto poco rappresentativi siamo della realtà italiana». Siamo: le persone presenti all’udire le prime persone plurali si sciolgono – al di là che ci sono 35 gradi all’ombra. E sono ben contente di non essere rappresentative, in effetti. Anzi, sono qui proprio per questo. Il commento mattutino della rassegna stampa svolta dal palco è l’apice della transustanziazione della differenza tra noi e loro (soprattutto quelli che leggono la Verità, per i quali finisco quasi per provare una certa empatia. No, non è vero, li detesto comunque, ma per farvi capire il pensiero.) Il Post è il giocatore da spigolo della situazione, mi dice lì per lì una giornalista che non ci lavora. Chi sta seduto all’angolo del tavolino del bar (a spigolo, appunto) guarda gli altri giocare, a briscola solitamente. E io ho sempre adorato guardare gli altri giocare a carte, mentre giocare è noioso e rischi pure di perdere.
Da esperto di marketing ho sempre ammirato la capacità del Post di ca(r)pire la psicologia dei propri utenti, senza però sfociare nell’essere sottoni – e forgiando così un culto di livello superiore. Ogni culto di successo infatti non si abbassa mai del tutto al livello dei fedeli, deve far sentire sempre un pochino gli adepti inadeguati, che sia per “farli crescere”, per liberarli dal peccato o per renderli più atletici. Per esempio, quando Matteo Bordone chiede (vado a memoria) «ma voi li conoscete i Labubu?» gigioneggia, credo, figurati se non sono mesi che se li studia. Su mille persone nessuno ha il coraggio di rispondere: lo sanno di sicuro cos’è un Labubu, ma non si sentono all’altezza. Misculin capisce la situazione e ci scherza sopra: «Lo so, abbiamo standard alti, qui». Per fortuna una bambina rompe il silenzio e al microfono snocciola una perfetta definizione dell’orrido pupazzetto virale. Voglio credere che sia la stessa bambina vendicatrice dello scivolo.
C’è sempre da spiegare meglio
Così il Post ci insegna che non si dice olandesi, ma nederlandesi (almeno, Luca Misculin dice così e per me quello che dice lui è legge), ma una volta che abbiamo imparato questa nozione ecco che giungono sul palco le vite delle anguille spiegate benissimo da Isaia Invernizzi e Valentina Lovato, che cade peraltro a ora di pranzo (qualcuno – non io, giuro – al food truck infatti si lascia scappare un giudizio sull’anguilla, ma in versione fritta, a Comacchio). E poveri noi, di anguille non ne sappiamo nulla, e quindi sotto a recuperare anche questa. Non si finisce mai di imparare e/o non si capisce bene mai abbastanza bene. Quindi il Post è anche un modello di business perfetto, un abbonamento è teoricamente per sempre.
Nella mia agenda della domenica di abbonato nascondo un atroce segreto, che rischia di inficiare il valore morale della mia partecipazione rituale: ci sarebbe in contemporanea la partita (visibile su app). Guardare il basket (di serie A2, poi) mentre parlano Mautino e Menietti? Un po’ come scrollare TikTok in chiesa, mi sento in colpa solo a pensarlo. Alla fine noto una tizia con un iPad sospetto: vuoi vedere che? Mi avvicino da dietro: sta guardando la partita di Jasmine Paolini alla Billie Jean King Cup. Mi affianco e mi sintonizzo, rigorosamente a volume zero, sulla partita. Lei si gira, complice. Due giorni in un culto e ho già creato uno scisma.
Non ci credete alla storia della partita? Ho le prove.
[Taglio], una volta ogni 15 giorni circa
[Taglio] è un format audio di circa 24 30 minuti, in uscita il primo e il quindici di ogni mese all’incirca, che combina rassegna di marketing, miei commenti fuori dal coro e formazione applicata. Il titolo è solo un mantra personale: nel dubbio, taglio. Dopo il secondo episodio (in cui si parla di ristoranti vegani che chiudono, di rebranding disastrosi, di traffico rubato dalla AI e di podcast video) siamo al terzo episodio. Lo trovi qui sotto.
I negozianti che insegnano il marketing
Vale l’autocertificazione. Spotted by Zeno
Cose mie che potrebbero interessarti
L’Avvenire di mercoledì, nell’inserto “Economia Sociale”, ha dedicato un paginone al mio libro (è anche questione di concorrenza tra culti, forse) che potete da oggi leggere anche online. A parte gli scherzi, è una lettura profonda di cui ringrazio Luca Miele.
Ho scritto un articolo per il Domani, si legge qui (per abbonati), su cosa è rimasto del Covid, nel business digitale e no. (PDF)
Ho scritto un report sullo stato del customer care ai tempi dell’AI – detto più pomposamente AI-OCX (AI Enabled Omnichannel Customer Experience) per Tendenze di GS1.
Presento il mio libro giallo sui brand travestiti da culti in giro:
il 5 ottobre alle 15:30 a Camposanto (Sul Serio, è in provincia di Modena) al Giardino Smeraldina (in caso di maltempo, alla Fermata 23, circolo Arci locale);
il 22 ottobre a Ravenna nei Flamingo Talks di Happy Minds;
il 24 ottobre a Bari allo Storytelling Festival;
il 6 novembre a Genova presso TWOW;
il 13 novembre a Cuneo al festival Scrittorincittà;
il 15 novembre a Padova al Cicap Fest;
Altre date in arrivo.
Avete scaricato il mio free ebook Cose divertenti? E letto le puntate estive di questa newsletter?
Ci si becca venerdì prossimo. Per qualsiasi cosa, scrivetemi a gianluca@diegoli.com.
Ciao,
gluca
E grazie come sempre a Daniela Bollini per l’editing, a Cristina Portolano per i separatori e per la mappa del libro giallo. E a La Content per la sponsorizzazione.
Quiz: d) il 2024 è stato particolarmente positivo, con una crescita del 4,5%.
Imagine all the people - Wittgenstein