[È venerdì] Ogni cosa che facciamo è una fott**a pubblicità
E soprattutto, "le persone sono dati"
Questa settimana sono stato colpito da virus ma eroicamente sono qui. In realtà è una dipendenza, più che una resistenza. Grazie a Tailoor per il contenuto creato assieme e il supporto che consente di sostenere questa newsletter. Ah, una nota di merito a colui che ha proferito “entriamo a tutto funnel nel customer journey del cliente” a un famoso convegno.
Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn, Telegram e WhatsApp: grazie, spero che le 3,3 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025.
Il quiz della settimana
Quanto guadagna in pubblicità la RAI per ogni serata di Sanremo?
a) 5 milioni di euro b) 12 milioni di euro c) 16 milioni di euro
Contenuto coprodotto con Tailoor
Eccoci qui con il quinto episodio di "𝗧𝗲𝗰𝗵 𝗧𝗮𝗹𝗸𝘀: 𝗘𝗻𝗵𝗮𝗻𝗰𝗶𝗻𝗴 𝗣𝗲𝗼𝗽𝗹𝗲’𝘀 𝗨𝗻𝗶𝗾𝘂𝗲𝗻𝗲𝘀𝘀 𝗧𝗵𝗿𝗼𝘂𝗴𝗵 𝗔𝗜".
In questo episodio, esploriamo come la personalizzazione del prodotto e dell'esperienza possa guidare il successo di un brand. Le interfacce AI svolgono un ruolo chiave nella comprensione delle preferenze e dei comportamenti dei clienti.
Stai sfruttando tutte le tecnologie di cui il tuo brand ha bisogno per sbloccare il suo pieno potenziale strategico? Guarda il nostro ultimo video con approfondimenti esclusivi di Gianluca Diegoli.
Le persone sono dati
C’è una battuta che dice, più o meno, “una volta internet era una via di uscita dal mondo reale, oggi il mondo reale è una via di uscita da internet”. Non parlo delle fughe di massa verso esperienze di tutti i tipi che sono la nostra dipendenza contemporanea, almeno di chi ha abbastanza soldi sia per lamentarsi della shittificazione della rete che per fare esperienze: di quello parlerà l’ultimo capitolo del mio libro – forse forse ci siamo, potrebbe essere fuori a tarda primavera.
Qui per vostra sfortuna si parla di marketing e di pubblicità. Ma il concetto non è tanto diverso, solo che noi marketer siamo pronti a monitorare le vostre fughe nella realtà, a misurarle e a tracciarle, e poi riprendervi nel circolo vizioso quando prima o poi tornate su internet. Perché lo sappiamo che tornate. Nessun detox dura per sempre. Anche quando boicottate Meta, dura qualche giorno, e poi di nuovo con la FOMO di vedere se qualcuno si è accorto della vostra assenza, di misurare i like che perfino la newsletter su Substack ha raccolto – anche se chi legge su Substack, e quindi può mettere like, è meno dell’uno per cento. Ok, Twitter, ok. Ma quella di andarsene da X non è stata una grande rinuncia, per la maggior parte degli utenti, anzi è stato un bell’effetto dimostrativo a costo zero. A esserci rimasti male sono solo i giornalisti, che si erano crogiolati in una fama ombelicale per qualche anno, e improvvisamente si sono trovati soli con la compagnia dei sopravvissuti su X, di cui buona parte con un comportamento che fa sorgere dubbi sulla loro salute mentale.
Torniamo al marketing. I cookie sono morti, ma non gliene frega niente a nessuno. I vari pixel di Meta e Google hanno salvato il salvabile, e abbastanza, direi, delle loro capacità di targetizzazione. Ora i vecchi cookie si chiamano “collegamenti API tra i dati di prima parte dei brand e l’AI di Meta”, ho sentito dire da un loro rappresentante a un evento. Contenti tutti, piattaforme, garante GDPR, aziende e anche utenti, purché gli aboliamo lo stupido cookie banner che sarebbe pure ora. Ci perdono i giornali, ma vabbè, quelli poi hanno sostenuto la privacy a tutti i costi non capendo che gli si sarebbe ritorta contro.
Ma oggi l’ultima frontiera è il retail media. Il concetto di retail media in sé secondo me non è niente di che. Metto la pubblicità dove la gente compra. E scopri che, wow, compra. Il problema è sempre l’incrementalità. Se metto un tizio a distribuire coupon sconto davanti al mio ristorante, stai sicuro che quei coupon avranno un ROAS altissimo. La maggior parte dei coupon sarà diventata mia cliente, cioè ha convertito. Ehi, funzionano! Però alla fine l’incrementalità è complessa da spiegare al CEO, le vendite molto meno. E allora avanti con il retail media, abbiamo visto di peggio.
La parte interessante del retail media in realtà è il retail data. Siccome ci mettono i bastoni tra le ruote digitali, tra banner e privacy, e flag, e Apple con il suo disclaimer in malafede sul permesso al “tracciamento” (quando per i suoi servizi analoghi parla di “personalizzazione”), noi scappiamo nel mondo fisico. Vai in palestra? Mi produci dati. Fai la spesa con il salvatempo? Mi produci dati. Sei iscritto a una associazione di tiro con l’arco? Mi produci un dato. Ok, nella maggior parte dei casi, oggi, potrebbe essere un dato. Ma manca davvero poco.
“Hai comprato un paio di sci? Forse ti serve un’assicurazione” e quindi il retailer vende il dato. Ok, non lo vende in senso stretto, lo “matcha”. Cioè se compri online o con carta fedeltà hai una mail, e questa mail casualmente è quella che usi sempre per registrarti ad Amazon, Google, Instagram. (Se usi mail differenti per ogni servizio fai parte del segmento privacy freak che ha ben altri problemi). Ah, ma io non uso mai la mail, al massimo il cellulare. Uguale, anzi, meglio!, che il numero non si cambia mai e la casella non si riempie mai.
Dunque la mail o il cellulare del tuo abbonamento in palestra verrà matchata con Spotify nel quale un inserzionista di canottiere sportive ti intercetterà, mentre ascolti la playlist hits for power. Naturalmente, come dice Galloway, la pubblicità è una tassa sui poveri, e quindi se puoi pagare Spotify Premium sei immune. Ah, ma io compro la carne dal macellaio, Mario si ricorda di me a memoria e mi dà la scottona che piace a me. Ah, ok, ma allora sei un super privilegiato! Mario tra un anno scoprirà che se condivide la sua carta fedeltà digitale con un circuito nazionale guadagnerà 5 euro. Mario ti tradirà. Apparirà (per caso?) a un certo punto Old Wild West nelle promo su Instagram, e ti ritroverai a mangiare la T-bone al martedì, che è in sconto. E poi chissà, vedrai un video della Citrosodina ancora prima di arrivare al parcheggio.
Possiamo skippare ma non possiamo scappare.
Il marketing insegnato dai negozianti
Un classico danno del linguaggio b2b. (Roberta, località ignota)
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre.
Segnalazioni
La scorsa settimana ho parlato di spacchettare un editore.
Il 4 febbraio a Bologna intervisto senza filtri Enrico @edtv Marchetto; presenterà il suo libro Confessioni di un marketer alle 18:30 da Zoo, in Strada Maggiore. Segnate in agenda. No stream, just beer.
Sono aperte le iscrizioni per una nuova classe del Corso Part-Time di Digital Marketing di Develhope, in cui insegno strategia generale. È adatto per chi parte da zero e vuole lavorare nel marketing. Info qui.
Scade a fine mese il progetto di crowdfunding di Banca Etica su Produzioni dal Basso per la ricostruzione delle fattorie palestinesi in Cisgiordania. Si può contribuire da qui.
That’s all folks!
Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Grazie ancora a Tailoor. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui. Se stai pensando a uno speech nella tua azienda o al tuo evento, rispondi alla mail.
Ci leggiamo più sani venerdì prossimo,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: b) 12 milioni di euro, cioè circa 60 divisi per cinque giornate (fonte).