[È venerdì] Fare a pezzi un editore
Intendo: fare unbundling di un editore specializzato nel b2b
Ok, lo sapevo che non dovevo scrivere la scorsa settimana. Perché all’inizio dell’anno si fanno le pulizie delle newsletter, ed era meglio fingersi morti. Grazie a te che leggi perché sei ancora qui, che se vuoi puoi inoltrare questa mail per recuperare i cinquanta unsubscribe mariekondici della scorsa settimana*. E grazie anche a Digital Angels, secondo sponsor dell’anno.
*ovviamente non mi interessa nulla, figurati. Anche perché per l’economia comportamentale “denunciare qualcosa di negativo come fatto comune” significa normalizzarlo e indurre altri a comportarsi “male”. “Il 50% non fa la differenziata!”, “Ok, allora nemmeno io”. Non solo non funziona, ma funziona al contrario.
Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn, Telegram e WhatsApp: grazie, spero che le 4 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025.
Il quiz della settimana
Qual è la percentuale di persone che in Italia consultano il loro oroscopo a gennaio?
a) 30% b) 50% c) 90%
In collaborazione con Digital Angels
In un panorama digitale in continua evoluzione, quali saranno le novità che segneranno il 2025?
A febbraio ti aspettiamo per un ciclo di webinar gratuiti, in cui esploreremo i trend più importanti del settore, dai social media al marketing strategico, dalla creatività al media planning.
📅 Ecco il calendario degli appuntamenti:
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Separa e unisci, separa e unisci
È un po’ che non parlo di un concetto chiave del marketing contemporaneo. È l’eterna lotta tra i due poli del bundling e dell’unbundling. È affascinante – per me almeno – come osservare la resistenza che due bollicine aggrappate al vetro nella bottiglia di acqua gasata oppongono al fondersi in una. Poi desistono, e si fondono, ma quando diventano più grosse risalgono verso l’alto, lasciando spazio ad altre bollicine singole, e così via.
L'unbundling è il processo di separazione in offerte separate di un servizio precedentemente venduto in blocco. Di solito non è il leader di mercato a frazionare – chi glielo fa fare – ma avviene con la nascita di nuovi sfidanti che offrono le parti come prodotto a sé, con caratteristiche tecniche solitamente migliori e a un prezzo più elevato, normalmente per sfruttare necessità di segmenti particolari di mercato, e a target come agli early adopter. Questi sono religiosamente attratti dagli unbundling – erano quelli che usavano Google Docs online quando non era di Google e si chiamava Writely.
I singoli pezzi di un servizio venduto in bundle non fanno quasi mai nulla al meglio delle possibilità offerte dal mercato, ma fanno quasi tutto sufficientemente e si incastrano alla meraviglia, facendo risparmiare tempo a chi vende e chi compra: Microsoft Office non ha vinto a caso. A volte l’unbundling serve per l’upsell: le compagnie aeree low-cost ne sono maestre; le combinazioni per decidere posto, bagaglio, transito, assicurazioni, noleggio auto e (solo per Air Serbia) torta personalizzata a bordo, sono centinaia e contribuiscono al 70% del fatturato.
In pratica ogni imprenditore, contrariamente alla mitopoiesi corrente (da quando ho scoperto questa parola la infilo ovunque) non inventa (quasi) niente, ma solo aggrega o spacchetta. Il marketing strategico deve analizzare le potenzialità dell’unbundling. Significa capire dove tracciare il confine della propria offerta, sapendo che si sposta in continuazione. A seconda del target, dello stato del ciclo di vita del prodotto, del settore, della propria capacità di vendere a pezzi o in bundle, la strategia deve essere diversa. Nei periodi rivoluzionari l’unbundling vince attraverso le startup. Ma le rivoluzioni finiscono sempre con la restaurazione, che a sua volta finisce per favorire i bundle. La exit di una startup verso il competitor di solito è un tipico re-bundling.
Nessuno si aspetta l’unbundling
Ma cosa succede quando è il mercato ad attaccare il tuo bundle, e sei nell’editoria? Ero in riunione questa settimana con il team di un piccolo editore specializzato su di una filiera di eccellenza industriale italiana. Tecnologia all’avanguardia nascosta di solito in un capannone brutto. Aziende che tengono su tutto il baraccone del design italiano fino ad arrivare ai fatui party del Fuorisalone, ma che se le guardi dalla strada sembrano autosaloni eritrei dell’usato Nissan, e chiedo perdono ai valorosi eritrei, e la loro gloria è seppellita sotto strati multipli di subfornitura.
Ebbene, oggi l’editoria di settore è decisamente a fine corsa. Le aziende, giustamente o no, mi dicono, preferiscono spendere soldi dove “si vede se qualcuno compra”. Cioè sul digitale, facendosi arrivare lead più o meno di valore, a costo di buttarne via il 99%. E sfogliando un magazine di carta è difficile che qualcuno compri al volo qualcosa – soprattutto se sono macchine di precisione da decine di quintali.
Un magazine di settore di nicchia, di carta, inviato via posta (per la maggior parte a gratis), era un classico bundle novecentesco. C’era dentro tutto lo scibile per l’imprenditore, spesso anche marketer e venditore al tempo stesso:
disporre di una blanda informazione sul mercato, prima che ci fosse abbondanza, con un influencer e un tiktoker per qualunque settore merceologico
togliersi la curiosità sui competitor – e sperare ogni mese segretamente nel loro fallimento
rimpolpare la propria vanità mostrando ai competitor pagine agiografiche comprate come interviste o pubbliredazionali mascherati
spacciare l’abbonamento al magazine per formazione su prodotti e processi
fare networking e chiedere favori/contatti
In un mondo di editoria di carta fare unbundling era complicato. Si comprava una pagina di pubblicità per avere accesso un po’ a tutto. E oggi? A nessuna azienda cliente serve tutto, sempre.
Non tutto è perduto
Serve ripartire a) dagli asset di valore e di difesa (o anche moat): cosa sappiamo fare? Quali nostre competenze (non ancora servizi) sono veramente distintive e non replicabili da altri? e b) dal valore: cosa ci chiede davvero il mercato? Qual è il fine ultimo delle cose che ci chiede? Per cosa sono disposti a spendere questi clienti? La teoria dei Jobs to be done, detta anche Jobs Theory, sostiene che le persone non comprano i prodotti ma li “assumono” per svolgere un compito, come risolvere un problema, o soddisfare un desiderio.
Il database dell’editore (che è un who’s who) e il suo know how tecnico sono gli unici pilastri non contendibili, il moat, su cui ricostruire un valore. La carta uguale per tutti è solo una zavorra. Oggi questo “editore” può ribaltare l’unbundling a suo favore e:
organizzare eventi, workshop, roadshow – anche on demand;
fare ricerche di personale;
fare formazione online su vendita e produzione;
vendere un “bollettino” di insight, studi e dati a pagamento a caro prezzo;
vendere pubblicità su newsletter e sito, per coloro che misurano i clic;
segmentare e continuare ad arricchire il database per DEM e liste profilate;
proporre servizi di ufficio stampa e PR;
ricerca di contatti qualificati per mercati esteri, chiavi in mano – pagamento alla call generata;
e… perché no? Una unica pubblicazione de luxe annuale, da tenere nelle sale d’aspetto con piante e marmi.
Deve fare tutto questo? No, sono possibilità da valutare. È ancora “un editore”? Probabilmente no. È importante? Probabilmente no. Finito un bundling se ne farà un altro diverso, chissà.
Il marketing insegnato dai negozianti
Selettivi ma onesti. (Domitilla, località ignota)
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre.
Segnalazioni
La scorsa settimana ho parlato di discount fluidi nell’era di TikTok.
Il 4 febbraio a Bologna intervisto senza filtri Enrico @edtv Marchetto; presenterà il suo libro Confessioni di un marketer alle 18:30 da Zoo, in Strada Maggiore. Segnate in agenda. No stream, just beer.
Sono aperte le iscrizioni per una nuova classe del Corso Part-Time di Digital Marketing di Develhope, in cui insegno strategia generale. È adatto per chi parte da zero e vuole lavorare nel marketing. Info qui.
That’s all folks!
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Ci vediamo puntuali venerdì prossimo,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: c) 90% (da prendere con le molle, questo dato è riportato da vari giornali come “ultimi dati”, ma potrebbe risalire a un comunicato stampa di dubbia fondatezza. La storia del 90% è interessante per capire come le non notizie, a furia di ricerca Google e copia incolla, si perpetuano).