(È la mia voce by AI ma non sono veramente io, sopportate eventuali pronunce strane)
Ogni tanto TIM ci riesce: ci prova tutto l’anno a vendermi qualcosa in più, o perfino a regalarmi cose o quasi attraverso i dadaisti giochi di TIM Party. Non ci riesce quasi mai – nemmeno quest’inverno con le partite di Serie A. Però stavolta mi ha regalato tre mesi di Disney+, che non ho mai comprato perché io e il nome Disney siamo incompatibili, e niente, ho attivato. Però c’è il trucco: è il piano con pubblicità, non poche e a tradimento, e in cui la maggior parte è roba molto Disney (“il castello delle principesse”, ecc.). Non so se riuscirò a finire almeno The Bear.
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Il quiz della settimana
Di quanto sono aumentate le ricerche in un anno su “somatic exercises” in Google?
a) te lo sei inventato b) +120% c) +400%
Risposta in fondo.
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TORNA IL SUPERNOVA AGENCIES, TI ASPETTIAMO IL 10 OTTOBRE
Ciao! 👋
Siamo il team di wethod, pronti a portarti in una nuova avventura nel mondo del management 🚀
Il 10 ottobre 2024 torna SUPERNOVA AGENCIES, la terza edizione dell’evento che abbiamo pensato per chi lavora nelle digital agencies e desidera esplorare nuovi approcci attraverso il confronto e l’ispirazione.
Quest’anno, immersi nel Campus di H-FARM (TV), esploreremo il tema Competitive Cooperation per capire insieme come la cooperazione competitiva possa diventare un vantaggio strategico nella propria carriera, nel proprio business e anche all’interno di un intero settore.
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Non perdere questa occasione per confrontarti con i migliori del settore, scoprire nuove prospettive e fare networking di valore.
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Non vediamo l’ora di vederti lì,
Il team wethod
La saga delle zip
Nell’epoca delle strategie di marketing disruptive, dei funnel complessi come partite di scacchi, dei premi per la creatività più innovativa, c’è anche chi da un secolo fa più o meno la stessa cosa. Ogni tanto compare pure nelle riviste, lo strano caso della YKK. Che sarebbe poi un brand, anche se spesso quando vediamo quella sigla non capiamo esattamente cos’è. In questo momento probabilmente buona parte di voi si ricorderà di averla vista, ma non focalizzerà immediatamente il luogo in cui l’ha vista. Una forma di brand awareness bizzarra, bisogna ammetterlo. Ma a dire il vero, hanno ragione loro. Perché nelle cose “basta che funzionino” chi le usa non ci fa tanto caso. Però nelle stesse cose che tutti usano, prima o poi, inconsciamente, anche una sigla casuale di lettere, a furia di vederla, tende a essere ricordata. Per farla breve, dal 1934, senza avere fatto nemmeno una pubblicità, YKK produce le zip, o le cerniere, quelle dei pantaloni, giubbotti, eccetera. Anzi, ne produce circa il 20-30% di tutte quelle che esistono ed entrano in circolazione: del resto il fashion dell’usato e dell’invenduto butta tutto, non ricicla certo le zip, almeno nel 99% dei casi.
Ma chi ha dato quel nome incomprensibile e perché? La questione è sempre tema per il solito rasoio occamiano, quelle sono semplicemente le iniziali del nome per esteso (e anche il naming ce lo siamo tolto, ecc.), come IBM sta per un naive International Business Machine. E della vecchia IBM la YKK ha pure qualche tratto. Quando ero un giovane product manager fui sottoposto alla recita della legge suprema del b2b, cioè “nessuno è mai stato licenziato per aver comprato IBM”. Ed era vero. Hai voglia a dire che il tuo prodotto costa meno ed è uguale, e a volte riesci anche a giustificare questa cosa in modo credibile. Tuttavia la controparte ti guarda, ci pensa un attimo, e alla fine sceglie YKK/IBM. Perché i soldi non sono suoi, ma il lavoro sì. E l’amministratore delegato si ricorderà la marca del pc, o la connessione a internet, solo quando non funzionerà. Come si dice nel settore: “A zipper will never make a garment, but it can break a garment.”
Questa legge non sbaglia praticamente mai. Metterla in pratica, però, esige nervi saldi e una costanza fuori scala. Esige che non si dia ascolto agli investitori, che chiedono sempre più diversificazione, nuovi business da conquistare, nuovi segmenti da approcciare, sconti per aumentare il fatturato. YKK rimane ferma, sull’argine del fiume. Incassa il fatto che a un certo punto l’umanita maschile si scoccia di faticare ad allacciare bottoni in quella parte del corpo. Continua a fabbricare zip che non si rompono mai, o almeno non prima del pezzo di stoffa a cui sono attaccate. Non scende di prezzo. Non fa sconti. Non vuole diventare “un brand”, non diversifica, se non in altre zip per auto, tende, vele, o chissà chi diavolo usa le cerniere. Chi ci riesce davvero oggi a resistere alle sirene venture-capitalistiche del brand stretching? Solo loro, che sono azienda non quotata. Poi arrivano i cinesi, e loro di nuovo fermi come il Prodi di Guzzanti. I cinesi avanzano nel low cost, e a loro non interessa. A chi non interessano i milioni di tonnellate di felpe, pantaloni e giubbotti scadenti che hanno almeno una zip attaccata e vengono buttati dopo sei o dodici mesi? A loro: si tengono stretti i loro sette miliardi di zip prodotti ogni anno.
Ci deve essere una certa perfectdaysità in questa azienda, in cui del resto anche il management globale rimane sempre giapponesissimo e cultore del loro “cycle of goodness”, una specie di karma un pelo paternalistico su trattare bene cose, dipendenti, ecc., in nome della qualità. Certo, col passare del tempo sono arrivati competitor anche dal segmento alto di prezzo: in Italia esiste la Lampo, che è un’azienda storica e ovviamente di Brescia (“Attualmente la direzione della azienda è affidata ai Lanfranchi della terza generazione, già validamente affiancati dai figli che rappresentano la quarta generazione.”), non un nomignolo generico per la patta. Ma ok, sangue freddo di nuovo alla YKK, quante zip produce? Lasciamo l’artigianalità agli altri, si saranno detti. Alla fine, il 40% del fatturato globale delle zip (10 miliardi di dollari circa) è loro, con “solo” il 25% dei volumi.
Quando crei un settore, il rischio è essere confusi con il prodotto: se non ci fosse Sarni a mantenere basse le nostre aspettative, sarebbero tutti solamente degli autogrill. E prima o poi succede, a livello consumer, almeno, noi umani semplifichiamo fregandocene di nomi, diritti, brevetti e marchi registrati. Ma il b2b ha buona memoria. Sa distinguere tra una zip e una YKK. Il purchase manager sa che YKK non lo tradirà. E viceversa. Ma non sempre riesce, la cosa.
La comparsa di imitatori dopo la scadenza del brevetto obbligò l'azienda a studiare a fondo la propria strategia in materia di marchio commerciale. Per evitare il rischio che il marchio Velcro diventasse un termine generico, e che quindi si perdesse il carattere distintivo necessario a mantenere la protezione del marchio, l'azienda puntualizza sempre che non esiste il "velcro" e che il termine è il nome di un’azienda, un brand e un marchio registrato, non un sostantivo generico che indica un tipo di prodotto. Attraverso annunci pubblicitari, la letteratura del prodotto e campagne di marketing l'azienda informa i consumatori che non tutti i sistemi di chiusura uncino e asola sono prodotti autentici a marchio Velcro. (Wikipedia)
Probabilmente a Velcro non è andata così bene. O forse non doveva dirlo ai “consumatori”. Puntare sulla qualità tout court sembrerebbe essere quindi la strada più sicura. Ma non è così, non sempre. La qualità è sempre relativa. La qualità viene pagata dal cliente e quindi capitalizzata dal produttore solo se ha un effetto diretto, come “non verrò licenziato”, solo se non è ossessione tecnica egoriferita del produttore. Anche la qualità delle YKK ha valore solo se è inserita in un capo con una durata e uno standing accettabile, e un costo correlato. Se vendi un giubbotto da 1.000 euro non vale la pena risparmiare sui dettagli, con il rischio di doverti sobbarcare un cliente inviperito perché la zip si è bloccata. E qualità è tutto il ciclo di vita: dalla capacità alla puntualità di fornitura, passando per la gamma e le quantità, perfino l’abitudine dei designer a usare quella marca di zip.
Qualità (sia in acquisto che in vendita) e targeting sono due bersagli mobili che il marketing deve sempre tenere d’occhio. Il problema, nel b2b italiano, è che spesso non c’è il marketing, almeno inteso come funzione che deve pensare e non solo agire.
Il marketing insegnato dai negozianti
Mi piaceva molto come payoff – anche il gelato è buono, peraltro.
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà.
Segnalazioni varie
La scorsa newsletter ho parlato di Oasis e dynamic pricing.
È uscito il mio pezzo trimestrale per Link, che abbastanza esplicativamente si intitola “Uno sterminato abbonamento”.
Il 19 settembre sarò a Trieste da Delex per AImpact, evento b2b che si preannuncia molto intenso: il mio speech è “Mi spiace, ma l’AI non sarà la mente della tua azienda”
Riparte il corso online in Digital Marketing di Develhope dove introduco la parte strategica del marketing, per chi inizia da zero o quasi.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba.
Per analizzare assieme la strategia, l’organizzazione e il budget della tua azienda, o per essere sponsor come wethod basta rispondere a questa mail.
ciao,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: c) circa del 400% (fonte Glimpse). ("I somatic exercises sono pratiche di movimento consapevole che mirano a migliorare la consapevolezza del corpo, alleviare la tensione muscolare e correggere gli schemi di movimento disfunzionali. Utilizzano tecniche lente e controllate per rieducare il sistema nervoso e promuovere una maggiore integrazione tra mente e corpo.")