[È venerdì] Il tragico fallimento dei cruscotti delle auto
Se ci freghi per 50 anni, poi non ci fidiamo più
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Il fallimento dei cruscotti delle auto
C’è qualcosa che impedisce ai produttori di auto di fornire un’esperienza soddisfacente: si chiama avidità per il breve termine. Sembra che ogni marketing manager – posto che sia lui o lei a decidere – abbia letto quel passaggio citato da vari libri di economia comportamentale per cui il framing dell’acquisto di un’automobile comporta che ogni accessorio sia solitamente proposto a un prezzo fuori da qualsiasi contesto di mercato – parlo di cerchi in lega, sistemi di navigazione, sistemi musicali, ecc. ecc. Questo perché quando hai già speso 50.000 euro, suvvia, cosa saranno mai 1.000 euro per un pannello video e audio di qualità hi-fi? Gli umani non sono bravi a capire cosa è conveniente, qui nel marketing si sa da sempre.
Il punto a sfavore è che, dopo qualche tempo, ti accorgi di aver preso, lì per lì, un’inequivocabile, ehm, fregatura. E ok, cercherai di post-giustificarla, affermando che quel lettore marchiato BMW non è esattamente lo stesso (e pure vecchio di qualche anno) che potevi trovare sul mercato al 20% del prezzo (mentendo). E certo, il monopolio di chi ti vende quell’auto fa sì che incastrare qualcosa di esterno nel cruscotto significhi affidarsi alle sapienti mani di chi va in giro con una Ford Fiesta del 2007 conciata come se dovesse andare al carnevale di Rio, con le fiamme sulle fiancate e LED lampeggianti in posizioni mai viste in un’auto.
Poi, lungi da me criticare chi ha fatto soldi da una vita con comportamenti che ci appaiono assurdi. C’è sempre una discreta probabilità che abbiano ragione loro. Tuttavia i cruscotti di Tesla e di altri produttori (ad aprile un UberX driver a Erevan mi ha accolto su di una fiammante BYD con un pannello che trasmetteva canzoni caucasiche a 32 pollici, con una mia certa apprensione per la sua attenzione alla guida) dimostrano che c’è una certa divergenza tra gli incumbent e «le nuove marche».
Qualche giorno fa leggevo che Ferrari ha deciso di abbandonare il proprio sistema GPS, almeno per alcuni modelli. Non andate nel deserto a Dubai con la vostra Ferrari, se non vi siete assicurati prima di aver scaricato in locale le mappe di Apple o di Google. La giustificazione è che nessuno li usa, quei cosi dalla UX «diversa dal solito» e non aggiornati, se non con ulteriori insensate tasse. Tutti usano già le app: i sistemi di proiezione dello smartphone (Apple CarPlay ecc.) hanno vinto. Io, personalmente, per un po’ mi sono intestardito a usare il navigatore proprietario della mia Toyota, ma poi, ehi, si vive una volta sola e non posso passare più minuti a impostare la destinazione di quelli che mi servono per raggiungerla.
Addio ai sogni di fare sulle auto come Netflix ha fatto sui nostri televisori connessi?
In teoria, le case automobilistiche stanno esplorando un sacco di nuovi servizi che si possono fornire con abbonamenti e tramite l'uso dei dati, ma sembra un po’ il libro dei sogni, visto il tragico fallimento di una roba base come un sistema di navigazione.
Immaginano nei business plan di dare accesso a intrattenimento come musica, video e Wi-Fi per i passeggeri. Per non parlare di add.on come sedili riscaldati, massaggianti o persino sistemi di profumazione (addio Arbre Magique? Non ci scommetterei) e chi non vorrebbe luci ambientali personalizzate ad hoc? Non pagheresti perché la tua macchina possa memorizzare le tue preferenze per sedili, specchietti, clima e altro, regolando tutto automaticamente?
Stellantis ha lanciato una nuova unità chiamata Mobilisights, dedicata allo sviluppo del business dei dati come servizio (DaaS). Questo include la vendita e la licenza di dati a una vasta gamma di clienti, come altre case automobilistiche e settori diversi. L'unità sfrutterà i dati generati dai veicoli connessi di Stellantis, che si prevede raggiungeranno i 34 milioni entro il 2030. Questo è un passo importante nel piano strategico Dare Forward 2030 di Stellantis, che punta a generare 20 miliardi di euro di entrate annuali incrementali dai servizi software entro il 2030 (Stellantis.com) .
McKinsey ha rilevato che la connettività dei veicoli sta rapidamente aumentando, con una previsione che il 60-70% dei nuovi veicoli venduti in Nord America e Europa raggiungerà livelli avanzati di connettività entro il 2030. Questo apre opportunità per i produttori di monetizzare i dati attraverso servizi come aggiornamenti OTA, pacchetti di connettività e ADAS (Advanced Driver Assistance Systems) a pagamento. Alcuni produttori stanno già vendendo funzionalità software come aggiornamenti delle prestazioni e servizi di infotainment su abbonamento (McKinsey & Company) .
La domanda, oggi, è: quanto le case automobilistiche possono davvero ancora creare un ecosistema in cui (cito dai business plan dei produttori) trarre dati dal comportamento dei veicoli (per promuovere le manutenzioni, «rivenderli» o per farci pubblicità sopra alla Waze, ecc.) e vendere servizi e add-on in abbonamento (al di là dei famigerati sedili riscaldati in subscription di BMW)?
Deloitte dice che il problema sta nei dati che gli utenti sono restii a cedere. Io non credo. È la sfiducia delle persone nella capacità delle case automobilistiche di essere user-first e non profit-first il principale motivo, secondo me. La rapacità di breve periodo che è stata vincente per decenni è oggi la barriera principale del profitto per il lungo periodo.
Il marketing insegnato dai negozianti
Gente senza cuore.
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà.
Segnalazioni varie
La settimana scorsa ho parlato del mito della personalizzazione nel marketing.
Ho scritto per Tendenzeonline di Gs1 sul mio argomento preferito: il budget di marketing perfetto.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba.
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ciao,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.