[È venerdì] Il mito della personalizzazione e i tre livelli di base
Prima di sparare alla luna e finire tra le stelle (cit.), mettiamo a posto casa.
Da questa newsletter in poi, la Lettera del Venerdì entra in modalità estiva. Arriva, non arriva, arriva in versione ridotta, arriva con insensate deviazioni dal piano editoriale solito? Lo scoprirete solo ogni venerdì mattina. Se arriva, appunto. Naturalmente c’è spazio per uno sponsor, in caso.
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Il quiz della settimana
Qual è il paese che consuma più caffè pro-capite?
a) Stati Uniti b) Lussemburgo c) Finlandia
Risposta in fondo.
+++ Un minuto di attenzione per il mio sponsor di oggi! +++
I consumatori italiani usano la AI per comprare i prodotti?
Immagina di essere alla ricerca di un prodotto che risponda esattamente a tutta una serie di requisiti e specifiche. E di avere un motore di ricerca che, inserite tutte le specifiche e le esigenze a cui deve rispondere, non ti proponga una serie di link in cui avventurarti ma, ad esempio, una lista precisa e mirata di 3 prodotti che hanno esattamente ciò che ti serve e che vorresti. Comodo, no?
Questo è il valore che si propone di dare una nuova generazione di motori di ricerca e chatbot basati su Intelligenza Artificiale: da ChatGPT a Perplexity.ai, da Claude a Copilot e a tanti altri che stanno arrivando sul mercato. Nuove tecnologie di risposta che hanno lanciato il guanto di sfida a Google e Amazon.
La domanda che si stanno facendo i manager di tante aziende, interessati a capire come coglierne le opportunità, è principalmente una: gli italiani li stanno veramente utilizzando? Sono già parte del percorso di valutazione e di acquisto di prodotti e servizi?
Il white paper di FIND, "Ricerche intelligenti: come l'AI cambierà il modo di cercare e fare shopping", offre risposte cruciali. Esplora come gli italiani stanno già adottando queste tecnologie e quali opportunità si aprono per le aziende. E offre spunti sul da farsi.
Non perdere l'occasione di anticipare il futuro delle ricerche online: scarica ora gratuitamente il white paper.
Il mito della personalizzazione
Avendo a che fare con grandi aziende, piattaforme altrettanto enormi, ma anche realtà molto più piccole, sono spesso stordito dal notare quanto il concetto di personalizzazione possa variare a seconda di chi lo propone. Si va da schemi in cui la “grande piattaforma” propone una slide piena di frecce, cilindri, filtri e concatenazioni in cui come per magia, da un complesso di dati spuri si ottiene in tempo reale un messaggio, un banner, un upsell personalizzato, nella logica one-to-one. Per quanto vedo a oggi, quasi mai la teoria è stata così lontana dalla realtà.
Dall’altra parte, ci sono anche brand famosi che devono ancora imparare l’ABC della personalizzazione, che in pratica potrei ridurre alla “personalizzazione difensiva”. Cosa intendo con personalizzazione difensiva? Per esempio: evitare di targetizzare audience inutili o già clienti, evitare di mandare email indistintamente a tutto il database (clienti, prospect, partner) o che riguardano eventi a 1.000 chilometri di distanza. O splasharmi il tuo popup che mi incita a iscrivermi alla tua newsletter se clicco da un link dalla tua newsletter. O spammare SMS ancora dopo anni a chiunque abbia richiesto un test drive di un modello di auto che nemmeno esiste più. Nel mio caso, significa non propormi promozioni su cialde o capsule quando sai benissimo che ho una macchina per caffè in grani, visto che ho un abbonamento con te. Non serve capire cosa vuole il nostro target, il primo passo è capire cosa NON vuole e non dargli scelte inutili o impossibili.
Smarcato questo, si passa al livello due. Questo non consiste nel capire la mitologica e impossibile “360° view”, che in pratica significa capire vita, morte e miracoli digitali e no, su nostre property e su property esterne tracciabili, del cliente, fino ad arrivare al dato che ci dovrebbe rivelare di che colore ha le mutande, per poi capire che non abbiamo davvero bisogno di saperlo. (Questo è l’altro errore che vedo spesso quando la “grande piattaforma” incontra “la mega-azienda”).
Il livello due significa riuscire a capire cosa, più utilmente e più semplicemente per tutti, sta facendo (o ha fatto) l’utente in quel preciso momento. “La perla nascosta della personalizzazione di marketing sono il contesto e il momento, non ficcarsi nel rabbit-hole infinito dell’arricchimento del suo profilo psico-demo-attitudinale” mi disse una manager qualche tempo fa. Se ho appena ritirato al bancomat, o comprato un fondo di investimento, o un test di sette varietà di caffè in grani, per personalizzare non mi serve sapere se amo il calcio o il basket, se ho visitato siti di cucina o se vado a correre tutti i giorni. Se mi stai per spedire la consegna mensile di caffè, magari proponimi nuove varietà, non dirmi solo “Ehi stiamo spedendo, hai poche ore per cambiare, ciao”. E quindi nemmeno ti serve conoscere la mia cronologia di navigazione nel web degli ultimi trenta giorni, chissenefrega dei morenti cookie che ho lasciato in giro. La personalizzazione basata sul contesto evita gli errori dovuti a dati del profilo sporchi o incompleti, inoltre. Perché davanti a certe azioni siamo tutti uguali. E questi dati ci sono, magari in cinque database diversi in azienda, ma ci sono.
Il terzo livello (accessibile e utile) è infatti l’unificazione dei journey e dei dati a supporto: mentre sto scambiando mail con un customer service che non capisce come farmi fare un reso, compensando con gentilezza un’evidente mancanza di processi efficienti, continuano ad arrivarmi offerte che non tengono in conto né il momento di piccola crisi del supporto, né cosa ho comprato né cosa sto comprando automaticamente. In più ci si mette un terzo incomodo, che spunta ogni tanto con proprie email: il “club fedeltà” (ovviamente chiamato “Lovers”) a cui mi sono diligentemente iscritto, che mi propone coupon che però non è chiaro dove si possano usare (sicuramente non sul mio abbonamento in corso), e che sembra essere focalizzato solo su punti che mai riuscirò a ottenere. E che mai andrò a vedere, in quanto non c’è un solo login unificato, ma devo riautenticarmi rispetto all’area cliente.
Poi ehi, il caffè è buono, arriva puntualmente e amen così: il prodotto spesso ti salva quando il marketing si inceppa, e non vale il contrario. Però la morale della storia è sempre: mettiamo a posto casa con i tre livelli suddetti, poi (solo poi) cominciamo a pensare progetti mostruosi con megaslide di ingestione dati e automatizzazione avanzata di sito, ads e così via, che preludono solamente a sogni infranti di connessione a data lake multidimensionali spaziali.
Il marketing insegnato dai negozianti
I tempi sono duri, e serve un po’ di caffè nella grappa.
Spotted by Valeria.
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà.
Segnalazioni varie
La settimana scorsa ho parlato di cosa ho visto al Digital Marketing World Forum di Londra.
Ultima occasione per l’assessment gratuito (niente inganni di funnel) del tuo piano marketing con me e Giorgio Soffiato: ottieni insight preziosi e proposte di miglioramento. Ci si candida da qui (alcuni requisiti sono necessari).
Ho scritto per Tendenzeonline di Gs1 sul mio argomento preferito: il budget di marketing perfetto.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba.
Per analizzare assieme la strategia, l’organizzazione e il budget di marketing della tua azienda, o per essere sponsor come FIND basta rispondere a questa mail.
ciao,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: b) Lussemburgo (fonte).