[È venerdì] Un reportage dal culto della pedalata assistita
Appunti dalle Valli di Comacchio, dove il fenicottero è il lead magnet di una disparata rappresentanza di turisti sopra le e-bike
Oggi l’intersezione tra soldi, consumismi e persone, oggetto di venerazione di questa newsletter, riguarda la pedalata assistita come metafora del nostro bisogno di esperienze autentiche, ma moderatamente faticose, e del modo in cui anche un uccello, purché dall’estetica vincente, può diventare un prodotto perfetto.
E un super grazie a Develhope per la sponsorizzazione di questa uscita.
Questa settimana in classifica il libro giallo lotta testa a testa con “Daniele Paci, l'agronomo più noto del web, che ha deciso di raccogliere in un libro tutti i suoi preziosi consigli per imparare a fare la spesa in maniera consapevole”. Che però in quanto leggenti di questa newsletter non vi serve.
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Mi sono emozionato sull’Argine degli Angeli, che forse prima era un gasdotto
E quindi il momento è arrivato. Dopo settimane che “il giro delle valli” ribolliva nella chat degli amici, siete giunti al giorno dell’appuntamento al cospetto della startup vincente del turismo locale, il noleggiatore di bici elettriche. “Valli”, beninteso, nel senso di valle di foce, di Valli di Comacchio, nella fattispecie.
Le bici erano state prenotate in anticipo via WhatsApp, con tanto di altezze in centimetri per permettere al noleggiatore di predisporle in anticipo. Le troviamo allineate nel parcheggio e già con il muso indirizzato alla meta: il grande anello delle valli, con ovvio passaggio al mitologico Argine degli Angeli.
La e-bike, come dicono quelli che pronunciano anche “bici muscolare” e “motore termico”, è l’incarnazione perfetta dello sforzo ai nostri tempi. La fatica è simulata e/o minimale, ma soprattutto è disagio controllabile. Scegli, a seconda del tuo mood, momento per momento, se vuoi faticare o sfrecciare come sopra un motorino truccato ma silenzioso.
Qualcuno ti farà intendere che “è un inganno, una specie di doping!”, e saranno sia quelli che ti sorpasseranno con disprezzo a bordo di costosissime bici “normali” nello sterrato, sia quelli che commenteranno le tue foto, con la superiorità del vero atleta, su Instagram. Loro la fanno a pura forza di gambe, senza fermarsi a bere e senza mangiare, e con un tempo inferiore a quello che fai tu con l’aiuto ingiusto delle batterie. Vincono badge e medaglie per questo risultato, e sono contentissimi. Tutto è competizione se è tracciata in qualche app, e tu stai barando. Certo, potrei vederla un po’ di parte, perché sono pigro, ma ho la mia teoria: più cerchi la sofferenza competitiva, più sei infelice.
In ogni caso, sulla bici elettrificata io dirò solo che è esempio di democratizzazione. Sotto la parola “democratizzazione” il marketing fa passare le peggiori cose, ma a volte è pure vero, anche se il marketing alla fine ci guadagna sempre.
I ragazzi che gestiscono il noleggio sono preparatissimi, gentilissimi, giovanissimi, gioviali anche se stanno lavorando di domenica per gente che voterebbe sicuramente in un referendum contro il lavoro alla domenica. Hanno creato un’app con i percorsi, che ovviamente scarico non appena vedo il QR code nell’insegna. Quando la ragazza incaricata ci chiede se abbiamo già la app, io dico SÌ come quello che in prima fila vuole farsi voler bene dal prof.
Percorsi, capiamoci: non si perderebbe nemmeno un bambino, puoi solo girare attorno alle valli, o in un senso, o nell’altro (se il senso consigliato è antiorario, comunque almeno un 40% lo farà in senso orario, siamo italiani) e ci sono le frecce. Eppure ogni tanto agli incroci vedrai nugoli di pensionati, tipicamente veneti, con cartine geografiche cartacee dispiegate come a un safari in Namibia. (Il pensionato veneto avrà un ruolo di Non-Player Character nella nostra giornata: ogni tanto passa, riappare, scompare). In ogni caso noi fingiamo (auto)sufficienza, del resto giochiamo in casa, siamo della provincia o quasi, anche se a 120 chilometri di distanza.
La ragazza del noleggio poi passa alle cose importanti: ricordatevi di non mettere la potenza della bici sopra al due, MAI. Ci tratta (forse giustamente) come cittadini ma di quelle città medie in cui notoriamente non si sa andare in bici. In ogni caso tutti sono terrorizzati di finire le batterie (in senso stretto) prima della fine del percorso, e quasi non fanno caso al successivo “mi raccomando la crema solare” che invece è il vero consiglio contro il pericolo di morte – le valli, con quel colore giallone marroneggiante, hanno un effetto Coppertone, ti abbrustolisci lentamente ma inesorabilmente. In ogni caso, noi finiremo per non usare che una tacchetta su sei della batteria, che però ci consente di finire gli ultimi due chilometri di ciclabile asfaltata alla velocità di una Ducati da MotoGP, scaricando decine di megawatt al secondo.
Il fenicottero (più di altri uccelli che mi sono sconosciuti*) è l’animale totem, lo spirito guida del circuito. Bambini, donne, amministratori delegati: tutti sono lì per vederli. Li vedi, queste categorie sociologiche disparate, tutte assieme a bocca aperta, come freezati, che aspettano che alzi la testa fuori dall’acqua. Noti lo smarrimento del popolo dopo che per i primi chilometri si sono viste solo anatre (e una nutria con nutrina che attraversa velocemente la strada nel traffico di bici, rischiando la vita come un pedone a Mumbai).
Il fenicottero (meglio se rosa, perché fa più millennial-core) è l’icona della contemporaneità. Viene prodotto in forma gonfiabile per piscine, in forma di neon per esterni, per interni, come peluche, da anni e la sua fortuna non sembra declinare. Il marketing territoriale ha trovato la sua icona, molti comuni dovrebbero metterlo nel gonfalone al posto dell’inutile aquila, peraltro estinta. L’animale perfetto è il fenicottero: elegante come un felino, ma non minaccioso, instancabile ma non competitivo. Un concentrato di bellezza conforme, quella che oggi si può ancora ammirare senza cadere nell’oggettivazione, nessuno avrà niente da dire se esalti le sue gambe zampe lunghe e il corpo sinuoso. Lo vedi e ti ispira quegli account Instagram tipo #vitalenta. In realtà, il fenicottero lavora nel fango venti ore al giorno per cibarsi di quei maledetti gamberetti. E non si lamenta, anche se ci giurerei che uno mi stesse guardando come se avesse voluto fare cambio con il mio pranzo al sacco bio e (soprattutto) la mia e-bike scattante, per andarsene da quel posto. O forse mi guardava torvo come per dire “appropriazione culturale, maledetti!”. Voleva – secondo me – i legittimi diritti sui milioni di calamite, illustrazioni, lampade e neon che ogni anno vengono venduti su Temu e Amazon. O almeno su quelle in vendita nei negozi di Comacchio ma prodotte a Shenzhen.
Chi fa il giro delle valli? I profili umani e quindi di marketing sono molteplici, ognuno ci trova un valore aggiunto diverso e questo determina il successo finale.
C’è il pensionato veneto in sciame, che regge sulle spalle il turismo esperienziale della bassa ferrarese, che lo fa per la compagnia, qualsiasi cosa vale purché poi si beva e si mangi allegramente. Il pensionato veneto è in grado di parlare con i compagni solamente con battute senza soluzione di continuità per almeno otto ore, e non suda mai.
C’è poi il ciclista muscolare, quello in tutina aderente e obiettivi da 120 km al giorno in su, che oggi (è festivo) si è portato dietro la compagna grazie alla magia della pedalata assistita della e-bike di lei. L’e-bike è la fine dell’era del ciclista eterno single per ragioni di ossessione all’asfalto. Qui la coppia dà l’impressione di essere felice mentre sfreccia, anche se lei sempre un pelo meno di lui (felici intendo, per sfrecciare sfrecciano uguale per definizione).
C’è l’inattesa ed eroica famiglia col carrellino a traino per bambini, che ad Amsterdam è segno di orgoglio urbano e qui diventa un atto di fede nel sistema nervoso del neonato, che poi volano bestemmie a gogo, anche se anche lui ha la e-bike che lo salva da morte certa (e anche dall’infanticidio). Peraltro se in un futuro ci fosse modo di impiantare una memoria artificiale, come in Total Recall, io pagherei per quella di essere bambino nel carrellino trainato.
C’è perfino chi parte in infradito, ignorando che 50 km sotto il sole della bassa non sono come fare il giro dell’isolato dopo cena. Di solito ha anche un cane portatile nel cestino, che non ha mai visto la natura ed è terrorizzato. Ha tipicamente messo il cuore al circuito delle valli in un reel, ma non ha letto la descrizione.
Sulla parte asfaltata, e non trafficata che dagli sparuti abitanti, si scatena la battaglia delle caste: muscolari contro elettrici, famiglie contro pensionati, velocisti contro fuoristradisti. Qualcuno si incita come fosse al Giro d’Italia. Ci sono rappresentanti di tutte le sette del ciclismo, che oggi qui e ora sono in minoranza e sono di nuovo infastiditi dalle masse elettriche: sono i gravelisti con ruotoni, i mountain biker in maglietta “Südtirol Power Bikers Club” che sfrecciano come se fossero in discesa, quelli tutti aerodinamici con le ruote sottili come lame e dalla faccia anch’essa affusolata.
Il punto culminante e complice virale della popolarità dell’anello ciclistico è l’“Argine degli Angeli”. Un filo di terra che taglia lo stagno come una passerella. Tutti ne parlano con reverenza, confrontando la realtà con Instagram, e contribuendo poi in diretta a costruire la realtà che verrà poi confrontata, ecc. ecc., all’infinito. Quando ci si arriva, si sente quasi un mormorio collettivo, come davanti a una basilica. L’esperienza è affascinante, lo devo ammettere: cielo blu sopra, acqua verdastra sotto, silenzio attorno (salvo il rumore delle catene delle bici e dei pensionati veneti).
Non si sa perché l’Argine degli Angeli (che nome geniale) si chiami così, le proloco ovviamente indicano origini fantasiose nei siti (deriva dai fantasmi, dai grandi molluschi, da improbabili miracoli ecc.) ma sono chiaramente tutte genìe inventate. Nessun sito osa invece citare il concretissimo Dosso degli Angeli, un ex giacimento ENI che, come tutti i giacimenti, giace (non saprei dire se ancora pieno o mezzo vuoto), dopo vari esposti e contro esposti alla magistratura, sotto questo argine artificiale baciato dallo storytelling.
In effetti tutti fingono di non notare (o non sono avvezzi al mio format Accertamenti) ma a metà strada dell’argine si intravede ancora un polmone di tubi metallici, probabilmente un vecchio manufatto metallico dell’epoca estrattiva. Il cuore segreto di questa poesia paesaggistica è, paradosso, un’infrastruttura mineraria. Questo storytelling piace solo a me, però, e non ne faccio parola con nessuno. Potrei essere linciato.
Alla fine della giornata, la sensazione è complessa, se vai appena un po’ oltre le emozioni da bici elettrica e fenicotteri. Da una parte, hai fatto qualcosa di sano, naturale, ecologico, non sei stato a produrre rifiuti spaparanzato in spiaggia. Dall’altra, hai consumato energia elettrica, benzina per arrivare, spritz e birre, e (probabilmente) acquistato gadget. L’impatto è positivo? Di questi tempi la domanda sorge sempre. E così, come direbbe Niccolò Contessa (cioè i cani), anche se Dai le briciole ai piccioni |
Ma ti senti sempre colpevole1.
Il turismo, per quanto sostenibile, è turismo. Ma, ehi, è anche ciò che tiene in vita questi luoghi. Senza visitatori, le valli si trasformerebbero in un mega allevamento intensivo di anguille, o forse l’ENI troverebbe un nuovo giacimento di angeli idrocarburosi. O forse le valli si svuoterebbero di tutto, e anche il gentile signore rumeno che cura le vasche delle anguille (che non ha mai percorso l’anello, né elettricamente né muscolarmente) e che ci ha offerto un po’ di ombra nel cortile con le sue aggressive (verso il nostro bio picnic) galline dovrebbe andarsene.
In un paradosso molto globale, il capitalismo (della domenica) è l’unico modo che abbiamo trovato per salvare la natura dal capitalismo.
* Sì, lo so, non sono aironi, sono cormorani (o ibis?). Me l’avete già detto in tre. Che mania, questi uccelli.
PS: lo so che avete la domanda lì in bocca: e le zanzare? Signorə, non ci sono le zanzare, almeno di giorno. Sulle zanzare non sappiamo niente: non vanno dove c’è più acqua, vanno dove c’è più sangue. In città.
Il marketing insegnato dai negozianti
Bias della scarsità.
ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto collettivo di gonzo journalism a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri dai social, solo foto tue.
Segnalazioni
La settimana scorsa nella newsletter si è parlato di brand da autostrada vs brand da fuoristrada (e di motori adatti a).
Ho scritto un pezzo per GS1, si chiama Il paradosso del B2B online: grandi cifre, piccoli cambiamenti - In attesa di un cambiamento di mentalità
Prosegue (ultimissimi posti liberi!) l’assessment di marketing con me,
e team Marketing Arena. Ci si candida qui. Finora abbiamo fatto delle super discussioni con alcuni team marketing di aziende molto fighe, che – ho scoperto con piacere – leggono la newsletter. Grazie!
That’s all folks!
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Ci leggiamo venerdì prossimo,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione e per sapere che cani si scrive minuscolo.
Grazie a Cristina Portolano per le grafiche. Ha un crowdfunding in corso!
Quiz: c) leggera crescita (fonte).
i cani – colpevole | Genius
Sei talmente bravo che mi hai quasi fatto venir voglia di prendere la bici
(No)
Diegoli in Purezza