❄️ [È Venerdì Winter Edition] L'Albania e il consumismo ritrovato
Ma hanno (purtroppo o per fortuna) saltato delle fasi
Per chi di voi non mi segue sui social (non vi perdete nulla, davvero): ho passato le vacanze e il capodanno in Albania (“Ma perché in Albania?” è la frase che di solito segue) e quindi vi tocca una “Winter Edition”, cioè una lettera un po’ diversa dal solito. Per chi mi segue da tempo, sa che nella tradizione di questa newsletter ci sono delle edizioni “estemporanee” a sorpresa, le “Summer Edition”. Ecco, questa è la stessa cosa, ma in inverno. Le altre sono nell’archivio pronte a essere rilette, sono evergreen.
Per chi è qui per il marketing puro e duro dei dieci consigli per ricordo che questo è un hobby: se volete incrementare le possibilità che continui ad arrivarvi potete proporre di sponsorizzare la newsletter che, ricordo, arriva a 11.000 persone senior interessate al marketing, ha più del 50% di aperture e una certa diffusione ulteriore via passaparola, social e web vari. Informazioni rispondendo a questa email.
Un grande ringraziamento a Cristina Portolano per il “separatore personalizzato d’artista”, cioè quello che segue, e come sempre a Daniela Bollini per l’editing.
Dunque, l’Albania
È molto facile fare ironia sui paesi che noi consideriamo “indietro” – come direbbe mia madre – e la cosa interessante è che non esiste una (in)sofferenza da ironia in Albania, tra gli albanesi. E se dunque l’ironia in parte si nutre della presunzione che dall’altra parte ci sia una sia pur lieve sofferenza inversa, be’, in A. avrebbe potrebbe morire di fame. Perché ogni cosa, in A., sembra declamare un “ok, sarà anche kitch ‘sta cosa, ma chi sei tu per dirlo?” e in ogni caso la tua ironia verrà smontata da un sorriso che ti farà sentire come un ricco bianco e sciocco in White Lotus. O meglio come uno spettatore woke che guarda il ricco sciocco in White Lotus attraverso un oggetto del turbocapitalismo dei dati come Netflix.
“Com’è l’A.?”. Gli stati nazionali sono delle (pessime) convenzioni, ma la domanda la si fa lo stesso. La complessità non è per l’umano, che vuole risposte veloci, omnicomprensive, dei numeri medi che lo illuda di conoscere il mondo, senza considerare la varianza. E allora vi racconto la mia A. Quello che ho visto. E un po’ di marketing, inteso come quel produci-consuma-crepa che puoi, questo sì, vedere ovunque.
C’è fermento, questo è innegabile. Non sono a conoscenza di bonus facciate o di centodieci locali, ma ogni cento metri c’è un buco, una trincea, un’impalcatura, un’asfaltatura in corso. Ovviamente non c’è la stessa paranoica attenzione italiana/occidentale per chi non guarda dove mette i piedi. Peggio per lui, e un po’ sono pure d’accordo. Le guide parlano di “grandi contrasti” e su questo non c’è dubbio. A Tirana puoi trovare un negozio Gucci a pochi passi da una zgara (griglieria?) impregnata di grasso animale e con abbondante fumo all’esterno. Caprette dotate di pastore e cane apposito, che brucano di fronte agli uffici di vetro delle multinazionali della consulenza o dei gruppi italo-albanesi di telemarketing “signor Gianluca, la chiamo per conto di Fastweb…”.
La mia sensazione a pelle è di veder aver saltato dei passaggi. Gli anni ottanta, il decennio vergognoso, per esempio. In A. non ci sono stati. Ma loro sembrano reclamare il diritto di viverlo, un rimborso della storia che non gli si può negare. E quindi ehi! ci meritiamo un po’ di edonismo reaganiano, di individualismo, di abbigliamento un po’ sopra le righe (make that logo bigger sulle felpe, o aggiungi quei cinque centimetri ai tacchi, no?). Prima che le auto diventino delle cose da nascondere (“davvero usi ancora una macchina di proprietà? Siamo a NOLO ed è il 2030!”) fatecele godere, sembrano dirci, delle grandi, fumiganti e metallizzate Mercedes (esistono altri marchi?) che vengono religiosamente pulite in uno dei millemila autolavaggi che si incontrano ovunque, perfino nei paesini più remoti. O le cucine italiane, che vengono promosse da spot prodotti da marchi rigorosamente pesaresi e veneti all’interno di telenovele turche, che al ritmo di una vecchia canzone anni ‘80 quasi-italo-disco dei Visage – Fade to grey – sembrano gridare dal passato “eravate anche voi così prima di Deliveroo, del poké e della pizza gourmet!”.
Religiosamente non è un termine a caso: in A. ognuno si sente albanese, ognuno lotta per una macchina con un mirino sul cofano e una casa con enormi colonne doriche che nemmeno il finto vulcano di Berlusconi in Sardegna. Poi sì ci sono i minareti finanziati dai turchi, le chiese ortodosse pagate dai russi, le statue e le strade intitolate a Giovanni Paolo Due: ecco presi in giro anche questi pomposi finanziatori, credo, come un contro-colpo di ju-jitsu dell’ironia facile. Fate fate (portate soldi per), sembrano dire, a noi non interessa più di tanto questa roba delle religioni, ma a voi finanziatori sì. E ai turisti dagli stessi luoghi pure. E allora li usiamo per i souvenir, ed è lì che i culti di George W. Bush, Madre Teresa, l’eroe nazionale ubiquo Skanderbeg, Mao, Stalin, Enver “Never” Hoxha, Francesco Totti si palesano per l’acquisto sotto forma di statuette e altre chincaglierie made in China, all’interno di un ricostruito mercato ottomano. A noi, che siamo lì anche per vedere i vecchi malandati obelischi in cemento nemmeno armato dell’era socialista, ci osservano gentili ma come a suggerire “godetevi la vita, ragazzi”, meglio la raki che questa roba vecchia.
Sì, perché il popolo sottomesso per anni agli appartamenti socialisti iper-affollati si sfoga giustamente a suo modo: ignorando i piani edilizi, la tradizione, i colori delle case, le forme e gli stili. Esuberando nella self expression edilizia: leoni, aquile, colonne appunto, dettagli in oro, facsimili di castelli o di Versailles, ville a forma di Costa Concordia. E io un po’, dentro di me, li adoro per questo.
Pensate a quei luoghi turistici in cui il tourist-gaze impone di costruire tutti uguali, tutti tradizionali, casette intonate a uno stile di cent’anni fa, solo per far venire gente che poi mette le foto su Instagram. Loro se ne sbattono: metto il boiler usato di fianco al rudere romano, e se non ti piace non guardare, domani lo sposto, con calma.
Io sono con loro, l’ho già detto? Un po’ di anarchia al potere. Hai uno store di bricolage? Costruisci una casa-fake sul tetto del centro commerciale come insegna, ma più estrema, molto più instagrammabile, e che ci vuole? Il fatto di aver saltato qualche passaggio dell’evoluzione consumista comporta che in città ci siano degli ossimori o incroci di flussi come i negozi Shein. Davano un po’ la vertigine anche per chi come me è abituato a una vita a osservare i produci-consuma-crepa dell’era del capitalismo digitale e no. Non ho avuto il tempo di esplorare meglio, purtroppo. Come i negozi “tutto a 1.30 euro”. Perché 1,30? Non lo saprò mai, credo. Poi, gli ingenui manifesti di Visit Albania, usciti dagli anni novanta della Spagna balneare del mitico payoff “Todo bajo el sol” (pure troppo). Per fortuna, hanno ancora tanti anni prima di arrivare a italia.it, Verybello e Itsart. E i bunker rotondi di cui è ricoperto il paese, spesso kitchamente ricolorati come smile sorridenti? Probabilmente visti da Google Earth fanno la loro figura.
Dunque, perché l’Albania, dicevamo all’inizio. Perché sì. Perché è gentile senza essere turistica e vi fa fare ancora figuroni con le mance, perché tutto costa molto poco. Perché la gente è simpatica. Perché non c’è obbligo né per voi, né per loro, di interpretare la solita recita del turista. Preferiscono le loro colonne doriche alla vostra approvazione, quindi andate tranquilli.
Il quiz della settimana
Qual è stato il consumo pro-capite in Italia di panettone a dicembre 2020?
a) 1,5 Kg b) 2,2 Kg c) 2,7 Kg
That’s all folks!
In realtà c’è un perché in Albania più concreto: grazie a Eleonora Sacco e al suo post con cui preannunciava il viaggio, e in continuità con le mie lettere su Bucarest e Sarajevo.
Per chi è qui da poco: se volete qualcosa di più istruttivo, formale e “serio” ci sono nell’archivio 200 episodi del mio viaggio, ma nel marketing.
Mercoledì alle 12 parlo di funnel e journey con i tipi di Clickable in un webinar gratuito.
Ci si legge venerdì prossimo, nel frattempo commenti e improperi nella chat della app di Substack, qui.
gluca
Quiz: è c) ma non so se è vero, me l’ha detto ChatGPT.