Di solito amo usare le summer edition della newsletter per raccontare un po’ quell’intersezione tra marketing e vacanze (un giorno farò la compilation): ma la Bosnia mi ha messo in difficoltà. Ne è venuta fuori una cosa un po’ alla Andrić di In volo sopra il mare, con rispetto parlando
Potrei sì raccontare il viaggio (organizzato! prima volta) con gli occhi di un appassionato di Balcani, descrivere il fascino speciale della Sarajevo (ex?)multietnica, dei contrasti in pochi km, dei cevapi ovunque, dei profumi di Turchia, Austria e Adriatico assieme al crudo brutalismo dei 70 e l’anonimo disegnatore di case popolari odierne.
Cosa c’è di marketing in Bosnia? Tutto? Niente?
La Bosna i Hercegovina è marketing, nel senso che sembra – tagliando un po’ con l’accetta - un prodotto creato per il pubblico occidentale, che vuole credere che quel prodotto esista – perché l’occidente vuole il lieto fine, e giustificare la propria auto-generata consapevolezza di essere stati, alla fine, dalla parte giusta. Ma la prima cosa che capite, quando siete nei balcani, è che non c’è una parte assolutamente giusta, e che fare il tifo è (stato) molto sbagliato. Forse è questo che mi fa innamorare dei Balcani. Non c’è una verità.
In BIH dunque c’è l’involucro, il packaging – la bandiera di stato anonima qb creata da un accordo a tavolino, e assomigliante non a caso a quella dell’Emilia-Romagna, non a caso anch’essa regione duplice dai confini indefiniti e appiccicata con il trattino).
Come in ogni packaging – immaginate un detersivo per i piatti – le scritte sono ripetute tre volte, in due alfabeti, ma che si leggono, letteralmente, nello stesso identico modo; è tutto un po’ surreale, sono gli stessi ingredienti, ma perché nessuno si offenda sono ripetuti tre volte. Troverete in giro per Sarajevo la scritta a spray MIR, МИР, MIR. La stessa identica parola che significa pace, ma tre volte.
In Bosnia dentro il packaging non ci trovate poi un solo prodotto, ma due, quasi tre. Le ordinate e un po’ spopolate praterie della cd republika serpska, e le incasinate cittadine della Federazione croato-musulmana, in cui il piano regolatore sembra disegnato da Picasso, fino alla – funestata anche dal turismo dopo la guerra civile – Mostar. Che poi è facile fare gli snob e prendersela con i venditori di paccottiglia in nome della purezza del paesaggio, loro sono i più autentici, alla fine.
E via via cominci ad aprire anche questi due sotto-packaging, ma ogni strato ne rivela altri. C’è lo strato godereccio degli sceicchi del golfo a spasso con le loro polo RL per la città vecchia (un po’ come per noi andare all’Arena di Nimes) come se fossero a Roussillon in Provenza – e quindi infinocchiati dalla stessa finta tradizionale paccottiglia prodotta a Shenzhen, ma in compagnia di donne nerovestite con il burqa integrale, che spendono soldi pensando di trovarsi tra fedeli osservanti, mentre i sarajevesi e le sarajevese consumano alcool come i teenager di Helsinki in prenotati tavolini serali ma in cui si sta in piedi, e ignorano/sopportano/ascoltano i muezzin che declamano dal minareto ogni quattro ore con una certa nonchalance. C’è lo strato inaspettato del digital funnel young adepto italiano stabilito lì e incontrato per caso in un jazz club sotterraneo («hai presente il funnel?» «sì, un po’» “oh, qui è una novità”) che giustamente se ne fotte delle lotte locali passate e guarda al presente di una tassazione allegra e di pranzi quasi-stellati a 50 euro. «E il miglior sushi del mondo!», dimenticavo di riferirvi. C’è lo strato di chi si è ricostruito una Sarajevo etnicamente intonsa e con molti campi da basket, ma che assomiglia tragicamente a certe zone di Buccinasco, in cui si insegna una storia diversa da quella che si insegna a cinque chilometri di distanza. Gli indiani, o i cowboy - a seconda di come vogliamo vedere buoni e cattivi - sono sempre gli altri. C’è lo strato del cirillico vs latino, quello del politico che influenza i cittadini con la propaganda nazionalista o è il contrario?, dei cartelli cancellati, ma anche quello di chi – una minoranza – non si arrende al fatto che tutto sommato parliamo la stessa lingua, mangiamo le stesse cose, e che della religione ci interessa molto relativamente. C’è poi lo strato dei rom, che almeno mettono d’accordo tutti: sono i più malvagi di tutti, ma poi si va al mercato ad acquistare da loro letteralmente qualsiasi cosa (io ho acquistato quattro veri passaporti, scaduti da qualche anno, sfidando il destino e la burbera guardia di frontiera). C’è lo strato della tv bosniaca-serba, che trasmette direttamente Russia Today, così com’è. C’è lo strato di una natura rude e incontaminata dal marketing alla romagnola, con incluse tutte le ruvidità a cui non siamo più abituati, perché – come ripeto spesso – vogliamo l’autenticità, ma solo quella che ci fa comodo e ci riverisce.
Alla fine, credo che questo package improbabile convenga un po’ a tutti, anche a loro. L’ipocrisia è un metodo di vita sottovalutato.
Buon fine agosto,
gluca
Per appassionati del genere, consiglio il sito dell’associazione Viaggiare i Balcani