[È venerdì] Saponi&Vanità
Un percorso nella Grande Distribuzione Specializzata nel pulire qualsiasi cosa.
Cominciavo a sentirmi strano, e non capivo perché. Temevo fosse perché avevo guardato troppe strane cose sulla Nove durante le feste, e invece ho capito: non usciva la newsletter dal 15 di dicembre. E quindi si riparte. Ah, ho capito oggi, dopo 40 anni, cosa è davvero l’appretto. (Non è il contenitore, ma il contenuto! Quella storia dello spot “Quello con il manico”. Roba da Gen X, insomma).
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Il quiz della settimana
Qual è il brand leader per l’ammorbidente in Italia?
a) Coccolino b) Vernel c) le marche dei retailer (sommate)
In fondo la risposta.
Questa edizione non è sponsorizzata, tanto meno dalla protagonista della storia. Ma se vuoi puoi sempre condividerla con chi lavora con te, e magari frequenta questi posti. Oppure chiedere se c’è un piccolo spazio nel budget per avere la certezza di leggerla puntuale.
Quell’ecosistema di pulito e bellezza
Non vi starò a dire perché durante le vacanze natalizie sono entrato in una famosa catena della Grande Distribuzione Specializzata in igiene personale e pulizia della casa, che chiamerò T.. Una di quelle che hanno di solito grandi insegne dai caratteri arrotondate come gocce di acqua e bolle di sapone, a colori pastello tendenti all’azzurro, il colore della pulizia come insegnata dagli spot in TV, non potendo usare il trasparente. L’azzurro del cielo apparentemente pulito dell’immaginario collettivo era evidentemente il succedaneo più vicino.
La loro storia è interessante di per sé:
La storia di T., una catena italiana specializzata nella vendita di prodotti per l'igiene personale e la pulizia della casa, è parte dell'evoluzione dell'azienda Gottardo S.p.A. Fondata nel 1969 a Piazzola sul Brenta [ndr: ah, il nord-est!] da Enzo Gottardo, inizialmente si concentrava sulla distribuzione all'ingrosso di prodotti per la pulizia. Nel 1992, nasce l'insegna Acqua&Sapone, che poi viene ceduta a un consorzio di soci, con Gottardo che mantiene la gestione in Triveneto ed Emilia Romagna. Nel 1995, l'azienda acquisisce Prodet e i suoi 15 punti vendita. Nel 2002, Gottardo si trasforma in Società per Azioni e nel 2005 acquisisce 31 punti vendita della catena tedesca DM.
Il marchio T. è stato lanciato nel 2009 e si è rapidamente affermato nel mercato, aprendo circa 50 nuovi negozi all'anno. Nel 2014, Gottardo S.p.A. ha acquisito 63 punti vendita Dayli (ex Schlecker), consolidando ulteriormente la sua presenza nel settore. Con oltre 578 negozi in Italia e 2 in Svizzera, T. ha ottenuto un notevole successo, vincendo premi come il "Drugstore dell’Anno 2018-2019" e il "Premio Ceccarelli" per il miglior indice di produttività nella categoria Distribuzione nel 2017.
Ricordate: quando entrate in uno store, qualsiasi esso sia, vi immergete in realtà in un flusso intricato e oscuro ai più di rapporti di forza tra clienti e retailer, ma soprattutto tra negoziante e fornitori, e tra fornitore e fornitore. E poi c’è anche il rapporto di forza tra online e negozio fisico, che non si vede a occhio nudo, ma che è sempre presente come una radiazione di fondo – quando è troppo alta il negozio muore. A volte invece muore l’ecommerce, ma non si vede. Questa immersione vi distingue da un consumatore normale.
Entrare in T. è dunque un master accelerato di retail marketing, ma più in generale nel marketing, che a sua volta, alla fin fine, come sapete se mi leggete con costanza, è un viaggio nelle paure, angosce e miserie dell’animo umano. La cosa positiva è che il marketing si occupa della parte risolvibile di queste paure, angosce e miserie, risolvendo la cosa con uno scontrino nemmeno troppo esoso.
È in questo brodo primordiale del consumismo della pulizia e del sé in generale chiamato T. che ribollono a) brand conosciuti, almeno di nome, da chiunque, spesso figli della cultura televisiva senza fine degli ’80 e ’90 e altri b) non-brand che nessuno (apparentemente) conosce, figli di un’Italia artigianale e industriale poco conosciuta. Oltre naturalmente ai c) prodotti creati direttamente da T., che spesso in realtà sono creati dagli stessi produttori, sia di tipo a) che b).
È in questo bollore che si mescolano, seguendo varie matrici e/o quadranti semiotici, aspetti universali della piccola storia del consumo umano: analizzando l’assortimento, T. diventa un ecosistema di trend sgomitanti per assicurarsi lo spazio a scaffale (enorme, ma pur sempre limitato), che, come sappiamo, non è mai logistica ma marketing e advertising, in cui il packaging è il banner della situazione. Ed è infatti l’assortimento che T., come Google, ottimizza con un algoritmo più o meno conscio e strutturato analizzando vendite dei singoli prodotti, traffico generato al negozio dalla presenza di quel prodotto/brand e capacità promozionale diretta del produttore (sconti, concorsi, ricchi premi e cotillon vari). Entri per lo Chanteclair, esci con lo sgrassatore universale SgrassOne prodotto a Pizzighettone da ALM Chemical. E T. lo sa.
Il primo asse semiotico è «specializzato» contro «universale»: si nota una fuga creativa continua verso il primo, del tipo «smacchiatore per capi colorati di fibre sintetiche adatto per il bucato a mano». La maggior parte di questi tentativi fallisce, e silenziosamente come è arrivato il prodotto scompare. Sono come delle teste di ponte, sondano il terreno con poca spesa di ricerca (spesso differiscono, se differiscono, davvero poco rispetto allo standard). Se riescono a difendersi da soli, provano a clonarsi, oppure vengono rimpiazzati da cloni altrui. Il segmento di prodotto specializzato spesso va a braccetto con il segmento di consumo dei connoisseur, quelli che conoscono/adorano quel sotto-segmento (per professione od ossessione) e lo conoscono perché – non so dirlo meglio – ci credono davvero. Spesso lo specializzato no brand b) riceve impulso dal passaparola sotterraneo, più o meno online, a volte ai limiti del complottismo (“il potere dell’aceto”).
Because where a connoisseur sees the differences, a novice sees the similarities.
Different, Youngme Moon
Questo segmento non ha alternative di acquisto, perché nemmeno su Amazon, in cui il prodotto di marca a) c’è eccome, ci sono certi prodotti b) così di nicchia. E che ci sia domanda l’ho visto, perché Amazon segnala ricerche nel suo suggeritore di parole chiave, ma non gli stessi prodotti in vendita, ma solo succedanei. Che non ci sia “tutto” si spiega anche perché per prodotti a basso prezzo unitario il negozio è ancora più efficiente dell’online.
Il secondo asse è «potente» vs «naturale». Non entrerò nell’agone pericoloso del debunking del naturale in pulizia casa e cosmesi. Lo si vede dal packaging delicato, erbomorfo, verdeggiante nel primo, e violetteggiante, sparato, che sembra colorato a caso da una persona con daltonismo, nel secondo. Come dire, chi crede nella «naturalità» non crede nella potenza, e viceversa. Probabilmente hanno torto entrambe le fazioni. Ho promesso di non entrare in questo gorgo, comunque.
La divaricazione si noterà poi anche nella vellutata e separata area viso e corpo. Proprio fisicamente divisa, quasi a sottolineare che c’è un motivo serio per cui da quella porta in poi i prezzi sono molto più alti.
E qui entra l’ultima matrice della GDS tutta casa, corpo e colpa (senso di): i prodotti al termine della visita non sono «razionali» (lucidapavimenti) ma «esperienziali» (tonificante viso – per capirci, nella cosmesi i nomi sono molto fantasiosi, contrapposti ai nomi piuttosto didascalici del primo reparto). Non so se c’è qualche teoria del complotto (per cosa non c’è?) che sostiene che i marketer cattivi pongano volutamente i voluttuari dopo, alla fine, quasi a dire «ora mi merito uno scrub di lusso», ma c’è un innegabile incremento della premiumness direttamente proporzionale alla distanza totalizzata dal momento dell’ingresso – anche senza considerare la consueta e (per me) triste svendita dell’Amuchina e cloni vari. Magari è solo un caso, non so. O magari il motivo è semplicemente il controllo: si ruba più un profumo che un lucidapavimenti, e quindi la coda dell’occhio della cassiera, lì vicina, è ancora un deterrente efficace e poco intrusivo.
Sì, sono poi arrivato alla meta. «Ha la tessera?» «Ehm, no». «Ci basta il nome». «Gianluca Diegoli» «Ma sì che ce l’ha, le carico l’acquisto.» E così anche io sono stato clusterizzato.
Il marketing insegnato dai negozianti
Fundraising.
Vi ricordo ilmarketinginsegnatodainegozianti.info, a cui potete contribuire anche voi.
Segnalazioni varie
ICYMI: non avrai perso il mio presepio del marketing di fine anno?
La classica puntata sui trend (ma da buttare nel 2024), sul podcast di ItaliaOggi.
Una newsletter di valore alla settimana: magari la conoscete già, anzi probabilmente.
con .
That’s all folks!
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ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: a) Coccolino (fonte).