[È venerdì] L'inesistente gen Z, i consumatori zero e la semiotica
Inscatolare persone nei quadranti è esercizio sempre più difficile.
Sono qui che rifletto come tra Sharknado e Star Wars ci sia praticamente lo stesso arco narrativo. Lo stesso viaggio dell’eroe può creare una meravigliosa cacata o una improbabile saga cult, lasciando a voi decidere cosa è cosa. Pensieri che ti vengono in mente quando ormai sei succube dei canali trash gratis della Samsung TV Plus. Usare i film spaghetti-western come meditazione, e per vedere gli spot che ci sono in giro. Chi lo direbbe che Gianluca guarda certa roba? Nella sua user persona non ci sarebbe scritto.
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Il quiz della settimana
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Si fa presto a dire cashmere...
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Per approfondire l'argomento e per altre dritte, vi rimando a questo articolo che descrive le caratteristiche più importanti del cashmere e come prendersene cura al meglio.
La Non-Generazione del Consumatore Zero
La gen Z, come tutte le gen, comprende gente spendacciona e tirchia a macchia di leopardo, relativamente povera e relativamente ricca, acculturata e no, sensibile a certi temi woke oppure del tutto indifferente. Chi non lo sa non la frequenta. Chi mi legge da un po’ sa che sono un antigen, che sono contrario (non per etica, al contrario, per efficienza) alle catalogazioni consumistiche per genere e reddito, figuriamoci quelle per età. Possiamo certo dire che forse in media certe generazioni sono più così o colà, ma questo importa a chi deve generare consenso maggioritario, non certo a chi deve vendere quelle quattro carabattole chiamato marketer.
La generalizzazione è sempre stata la nemica principale del marketer. Già si deve combattere contro i propri gusti praticamente dal primo giorno di lavoro (se vuoi esserlo davvero), poi sgominare le HiPPO1, e pure ci si mettono i sociologi, i massmediologi, i mediotuttologi a dirci che tale gen è più questo e più quello, spesso sulla base della loro opinione di liberi pensatori e osservatori dal terrazzo, che da dati di mercato ed Excel. Non è una buona idea usare i sociologi per il marketing, quando d’altra parte stiamo faticosamente buttando a mare (nessuno le rimpiangerà) le targetizzazioni socio-demografiche – e del resto qualsiasi intelligenza artificiale anche mediocre sarà meglio di loro.
Ma c’è un rischio ulteriore a usare questi frullati di medie e sensazioni che coinvolgono milioni e milioni di persone molto diverse: la media, se non la gaussiana, non è più una rappresentazione rilevante. Il pollo di Trilussa è da riscoprire subito. Le targetizzazioni che usavamo implicavano delle correlazioni che davamo per scontate (anche perché in un mondo analogico era difficile sapere chi ti stava guardando, e uno ne potevi produrre, e quindi vigeva la dittatura della maggioranza loro-malgrado: lo spot delle lavatrici era per donne), e che forse, anni fa, almeno avevano quello, il pregio di raggiungere la maggioranza, anche se non grandi minoranze. Oggi non direi.
Insomma, chi lavora nel marketing e fa ancora gli accostamenti che seguono, ehm, deve aggiornarsi.
prodotto di lusso > ricchi
prodotto semplice da usare > anziani
prodotto per la casa > donne
liquori e amari > uomini
PlayStation > ragazzi con brufoli
giovani > attenti alla sostenibilità
giovanissimi > dipendenti dal cellulare, non escono mai (cioè non comprano offline)
millennial > lamentosi, precari, in analisi, “il lavoro non ti ama” ecc.
gen X > come i boomer (eh eh)
TV e radio > vecchi
TikTok > giovani con balletti e tanto tempo da perdere
Eccetera eccetera, avete capito.
Il problema è che continuiamo a considerare la contemporaneità di comportamento e consumo, di default, come prerogativa solamente della generazione più giovane, e la generazione più giovane come unica detentrice totalitaria della contemporaneità.
Un articolo di McKinsey sull'emergere del "consumatore zero2", dichiara in pratica la resa su questo fronte: è un segmento che non sappiamo individuare con radar tradizionali, ma sappiamo che c’è, è giovane ma non solo, non importa più di tanto. Un segmento senza (cioè non influente per i nostri scopi) età, genere, reddito, perfino scolarità. Il consumatore zero non ci darà tregua sulla omnicanalità, perché non capisce il (nostro) problema. Non è che gli facciamo un favore “aprendo un e-commerce per migliorare la customer experience”, ci fa un favore lui degnandoci della nostra attenzione e forse – forse – del privilegio di accedere alla sua carta di credito “dematerializzata” (“ehi, perché si chiama carta, fra’?”). Un tizio, una tizia che ci prende in giro usando le carte fedeltà (idem) come un giocatore di poker in una mano cui i retailer perdono più spesso che no. Soggetti che vanno al discount a prendere due litri di succo di forse arancia a 50 centesimi ma poi spendono 100 euro per un concerto e il relativo merchandise, e forse sono proprio gli stessi che sono attenti alla sostenibilità, a volte (“paghi tu il costo, brand?”) passando senza soluzione di continuità dal Gruppo di Acquisto Solidale al fast food, o che comprano un gadget retro-nerd da collezione ma poi vanno al kebab per rientrare.
L'insana quantità di SUV davanti al discount è un trend destinato ad ampliarsi: non per bisogno di pagare il leasing, ma perché sì, perché gli va. Risparmiare dà piacere a tutti (su qualcosa) e scialare anche (su altre). Ma non sappiamo bene in quali, con ‘sto consumatore zero.
Statisticamente se in una distribuzione la dispersione è altissima la media non ha più nessun significato operativo. Quando il non-segmento consumer zero (sarà come il paziente zero, randomico e virale?) comincerà a replicarsi e diffondersi fuori dalle correlazioni dei segmenti di Kotler, avranno ancora senso la maggior parte delle belle tavole semiotiche di posizionamento figlie della semiotica novecentesca? Io credo di no.
Risparmia e scialacqua è il suo motto del futuro: naturalmente questo ha implicazioni molto importanti sul posizionamento di brand, di prodotto, sul pricing. Se in mezzo non c’è niente, e non ogni brand può diventare lusso (accessibile), consumers’ heroes just for one day, allora che ruolo avere in un mondo che risparmia e scialacqua in modo molto poco prevedibile? Che framework post-semiotico serve oggi?
Il marketing insegnato dai negozianti
“Jobs To Be Done”. (One way or another.)
Da ilmarketinginsegnatodainegozianti.info, a cui potete contribuire in ogni momento.
Segnalazioni varie
Per LAI, il magazine di SAS, ho scritto “La complessità della personalizzazione nel marketing moderno”: si parla dei dolori del giovane martech.
[ICYMI] Ho scritto “La sedia del cliente” per GS1 - Tendenzeonline, sui rapporti tra Customer Experience e tecnologia.
Anche l’anno prossimo insegnerò (digital strategy, non UX, ovviamente) al Master Executive in Architettura dell’Informazione & User Experience Design di IULM, iscrizioni fino a fine dicembre.
Una newsletter di valore su ads e programmatic:
scrive .
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie ancora alle genti di Luca Faloni per essere state supporter di questa newsletter.
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ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori d’artista.
Quiz: C, che diavolo è il pickleball?