[È venerdì] La fine delle ricette, e l'era dei quattro elementi del marketing: sale, grasso, acido, calore
Le ricette, nel marketing, non hanno mai funzionato granché, ma per un po’ non c'era altro. E se provassimo altro?
I dati mi dicono che è piaciuta la puntata su pasticceria e bundling/unbundling. Bene, allora si continua: cosa c’entra un libro di cucina con il marketing?
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Le ricette, nel marketing, non hanno mai funzionato granché
Chissà perché stavo leggendo sull’Economist qualcosa di cucina; io di solito preparo l’insalata šopska con lo yogurt e i cetrioli e poco altro, e già mi pare di aver creato qualcosa. In realtà dell’Economist mi piace tutto: in pratica lo pago per confermare il mio bias sul fatto che ogni cosa – dal burro all’innovazione nel narcotraffico – nasconda una logica economica.
Questa volta mi raccontava di Samin Nosrat, scrittrice di Salt, Fat, Acid, Heat — un libro che sostiene, in estrema sintesi, che le ricette non servono. Ovviamente non avevo idea di chi fosse, prima dell’articolo (una mia amica al riguardo è esplosa in un ma stai in una caverna? Oggi viviamo in bolle e caverne, questa è la verità triste).
Comunque sia oggi so cosa sostiene: meglio capire le leve fondamentali, che sono quattro: Sale, Grasso, Acido, Calore. (“Leve” è un termine mio, non suo).
Figo, ho pensato, se sostituisci “cucina” con “marketing”, funziona quasi uguale. Non sarà come il quartetto di P (niente è come le quattro P!) ma sai che. (Ho provato a dargli un’ordine mnemonico, ma SCAG non funzionava.)
Noi nel marketing viviamo di ricette/tattiche. “Posta alle 9:00 per ottimizzare l’apertura delle mail”, “usa un reel da 7 secondi perché i video corti ecc.”, “CTA in caps in basso a destra, altezza pollice”. Ignoriamo per viltà e quieto vivere che c’è un DIPENDE grande come l’insegna del Tigotà, che incombe sempre sulla formula ricettata: nel marketing stai cucinando ingredienti sempre nuovi su fornelli che cambiano in continuazione per un cliente volubile e sconosciuto. I CTR sono più volatili del contenuto di grassi di un filetto.
La ricetta è comoda finché tutto resta uguale. Checklist, formule, dieci cose per, anche le case history, che hanno sempre quel retrogusto di ricettoso.
(Da quello che ho capito) Nosrat invece lavora sul perché serve il sale, quando serve il calore, quanto grasso regge un piatto. Perché se capisci le leve, puoi cucinare anche senza ingredienti familiari. La strategist della cucina!
Io la vedo così da tempo (Conta più la ricetta o l’ingrediente? su [mini]marketing del 2023), anche perché sennò non farei ‘sto lavoro: se maneggi la strategia, tua e dell’ecosistema, puoi sopravvivere anche quando cambia l’algoritmo di Instagram. Perché le tattiche invecchiano e i princìpi no. E oggi con l’AI generativa puoi (far) fare qualche riflessione guidata in più sul contesto, l’unico superpotere rimasto all’umanità del marketing.
Mi sono quindi lanciato nella traduzione della regola di Nusrat dalla cucina al marketing. Per me, il sale, il grasso, l’acido, il calore sono trasponibili così:
Sale: la differenziazione. Quello che fa dire “questo è quel brand”. Se togli il sale, resti una commodity insapore.
Grasso: il budget. Senza olio il sugo non lega, senza media il brand non si muove. Troppo, e diventa stalking: infatti, troppo grasso e muori.
Acido: reality-touch, come l’insight (vero, possibilmente) del cliente. Acido dello yogurt che evita la nausea da spot autoreferenziale e zuccheroso. Troppo acido: ironia fine a sé stessa, tipo certi brand che vivono di battute.
Calore: è la temporalità della cottura. Capacità di planning, rapporto investimenti tra breve-lungo periodo, ripetizione nel tempo, staff e risorse.
Immagino lo chef di Calzedonia durante i saldi. Il sale è posizionamento chiaro (“calze per la vita reale”), il grasso è la pressione pubblicitaria e la rete ampia di negozi, l’acido è l’intuizione del cassetto pieno ma mai giusto, il calore è la scaltrezza delle promo, che non ci danno scampo, ma anche il lungo periodo, che assicura che andiamo comunque da Calzedonia e non altrove per i saldi.
Samin ci ricorda che:
nessun buon piatto potrà mai essere tale se non si assaggia e non si impara a “cucinare a sentimento” e a fidarsi dei propri sensi.
Ok, non esageriamo, che a noi serve solo vendere quelle quattro carabattole di prodotti. Però, chissà, potrebbe diventare anche il mio modo di cucinare, e se fosse il mio talento nascosto da troppo tempo? Forse non leggerò il libro, ma nel dubbio mi guarderò la serie su Netflix1.
In Italia siamo ricette-dipendenti e zeloti della tradizione, così il libro – mi pare – non ha avuto molto successo. Ironia della sorte, se cercate Samin Nosrat su Google, l’autocompletamento inserisce “ricette”. Forse non ce ne libereremo mai, in nessun campo.
[Taglio], una volta ogni 15 giorni circa
[Taglio] è un format audio di circa 24 30 minuti, in uscita il primo e il quindici di ogni mese, che combina rassegna di notizie significative, miei commenti fuori dal coro e formazione. Il titolo è solo un mantra personale: nel dubbio, taglio. Siamo arrivati al terzo episodio. Lo trovi qui sotto. Il quarto esce la prossima settimana.
I negozianti che insegnano il marketing
A proposito di ricette copiate e strategie.
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È uscita un po’ di roba in Banca Etica, con la quale collaboro da tempo (oltre a essere cliente): un podcast con il Post (“Perchè non parliamo di soldi?”) e una serie di video che andranno su social e connected TV, a tema dissonanza cognitiva, di noi tutti, tra gli ideali e la finanza che usiamo.
Ho scritto un pezzo per il Domani sull’inarrestabilità del franchising, dalla piada alla bara. [Altro che trattorie, qui è tutto un franchising. Ma così ogni città è uguale all’altra | Domani] [PDF]
Ho scritto per Link un pezzo sul èerché non vediamo l’ora di iscriverci a un corso di ceramica o di restauro mobili. Link.
Presento il mio libro giallo sui brand travestiti da culti, di cui Cristina Portolano ha fatto una splendida mappa:
il 4 novembre online su Instagram con Massimo Giacchino;
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Ciao,
gluca
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