[È venerdì #220] La app economy, anni dopo
Non ci siamo accorti quasi di nulla, ma è cambiato tutto, tutto è mobile marketing
Un tizio che scrive questa newsletter si accorge che il prezzo al litro dei suoi pieni di carburante è sempre inferiore al prezzo medio regionale, come da cartello scritto a penna (this is Italy). Chi legge indichi i bias e/o la spiegazione al fenomeno.
E grazie alla crew di Bluemotion per il supporto a questa newsletter.
Il quiz della settimana
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Le emozioni salveranno il mondo. (O perlomeno, il mondo dei brand).
Valori, concetti, innovazione: è già tutto superato, già visto, già sentito.
La nuova frontiera è avvicinare il pubblico con le emozioni. E, piano piano, far associare ciò che si prova al proprio brand.
La nostra è l’era della disattenzione: abbiamo a disposizione sempre meno tempo per trasmettere sempre più contenuti, che fra l’altro sono sempre più complessi.
È per questo che si è cominciato a dire che un’immagine vale più di mille parole.
In Bluemotion ci siamo spinti oltre: noi crediamo che un’esperienza visiva valga più di mille immagini.
Siamo Bluemotion, uno studio di produzione video che da più di 20 anni comunica ciò che ti distingue attraverso contenuti visivi 3D. Tutto ha inizio dalla potentissima matita digitale che chiamiamo CGI.
Video 3D di brand e di prodotto, video anamorfici, Metaverso, Virtual Showroom, Render e Digital Twins: il nostro obiettivo non è “fare video” (anche se alle nostre mamme lo spieghiamo così). Ciò a cui puntiamo davvero è aumentare il valore percepito di quello che vuoi comunicare.
Vieni a vedere cosa abbiamo fatto per tanti brand.
Cosa rimane degli anni del “mobile”
Qualche giorno fa stavo riordinando le librerie in casa e ho ritrovato un mio libro scritto a quattro mani con Marco Brambilla qualche anno fa, titolato Mobile Marketing, come da prassi del tempo mettendo un prefisso davanti alla parola marketing. Questo un po’ per ragioni di posizionamento nella ricerca Amazon e Google, un po’ per sfruttare la keyword trainante del momento. Il libro è ancora in vendita, seppur mai aggiornato, ed è forse un peccato, perché la parte di strategia è ancora valida1. Era un bel libro spesso del 2016, scritto per Hoepli, dal prezzo non banale di ventisette euro e novanta centesimi a listino. In ogni caso, sfogliandolo, ho visto che sentivo già allora la necessità, fin dall’introduzione, di specificare che il mobile marketing non era un nuovo tipo di marketing e nemmeno un nuovo canale di marketing. Ma nessuno legge a fondo le introduzioni.
Il punto è che il mobile è stato una rivoluzione, anzi un’evoluzione, così perfida e subdola che non ce ne siamo accorti. Non c’è mai stato un “anno del mobile” perché è arrivata l’era incrementale del mobile, e ci ha completamente ingoiato, tant’è che ora c’è tutto il filone del detox, dei tutorial per diminuire la dipendenza, perfino Apple ci dice che dovremmo impostare delle limitazioni. Nemmeno i produttori di sigarette erano arrivati a tanto. Magari nella scatola del cellulare nuovo ci troveremo un “nuoce alla tua vita – se ne hai una”, in bianco e nero, font Arial 40. Tanto nessuno legge.
La conferma definitiva l’ebbi quando un anno fa persi il cellulare sul treno: avevo perso una quantità infinita di cose scontate. Di comodità che ci sembrano normalità. (leggete il post, angosciante e divertente, “L’iPhone come arto fantasma2”)
Lo smartphone ha aperto le dighe della pigrizia (anche se questa è sempre relativa ai tempi), basta andare in banca, in posta, al supermercato, a volte e chissà quante altre cose. La pigrizia è un abilitatore di business eccezionale, camuffata da “risparmiare tempo”. La delivery economy non potrebbe esistere senza app. Il dating è esploso con le app. Il turismo è stato sconvolto dalle app (sia social, che di rating, che di prenotazione). I servizi: banche e assicurazioni, appizzate. Filiali ridotte a cabine telefoniche in attesa di essere asportate. Amazon e il suo famigerato e brevettato one step buy, chi resiste a un acquisto così fluido (poi la app di Amazon ha i suoi problemi, eh, ma tanto la frequentiamo così spesso che si innesca il mio teorema della macchinetta del caffè – quella vecchia era sempre più usabile, ma solo perché la conoscevamo già).
La pubblicità è diventata finalmente h24, always on come il “fare shopping”. Prima e dopo i video, prima e dopo le stories, prima e dopo le notizie. Il bacino dell’adv è diventato infinito.
E infine la pandemia: le app sono diventate i gateway dei certificati sanitari per andarsene in giro, anche se Immuni è stata un flop colossale (ma è stato più complicato di così, peccato che poi non si sia approfondito per la prossima volta. Che lo sappiamo, prima o poi arriverà). Il Covid ha fatto succedere l’impossibile, l’uso diffuso del QR code, l’anello che mancava.
Con le app siamo andati nelle tasche dei nostri clienti, li abbiamo stalkerati con le notifiche che hanno mangiato nel piatto dell’email, ma anche di chi la mail non la legge mai. O come WhatsApp e altri, che infine hanno ucciso gli SMS, almeno in Italia. Gli abbiamo succhiato dati come mai prima (una app è una black box che altro che cookie, partono traccianti come a Napoli a capodanno), Android è stato il nuovo Windows, il cellulare della gente, Volks-telefon, l’usa e getta, e Google Play il bar di Caracas del dato risucchiato in ogni modo e delle app di dubbia moralità.
Li abbiamo seguiti passo a passo, in senso letterale, con la geolocalizzazione: non è meraviglioso quello che il marketing si inventa? Qualcosa con iOS 14 è (“purtroppo)” cambiato, ma si sa, è minoritario in Italia. Lo smartphone è ancora la Las Vegas del marketing. Perfino i chatbot, che erano un po’ passati di moda, ora con la AI torneranno a essere un’opzione nelle app di ecommerce e customer care.
Le app hanno ucciso l’open web3: la pagina web è stata sostituita dalla schermata, il link dallo screenshot, e i messaggi di tutti i tipi sono molti di più delle visite a pagine web. La ricerca di Google, che conduce soprattutto a pagine, è una cash cow, non una promessa futura. Non cresce più. E soprattutto, tra risposte immediate e/o generate dalla AI, non porta visite.
Qualche settimana fa mi è stata posta la domanda classica che aveva aperto il 2013: “dovrei avere una app?”. La risposta è stata la stessa, la solita. Dipende. Sì, ma da cosa? La app economy ha de-democratizzato internet. I grossi hanno vantaggi molto più grandi e sproporzionati dei piccoli. Fare una app costa (anche per farne due versioni), farla bene (sennò non la usiamo, viziati e pigri come siamo) costa molto di più, farla scaricare costa (lo spazio in home – nomen omen – è il real estate più costoso del pianeta, sul serio), farla mantenere attiva/non farla cancellare costa ancora di più, e così via. È un business per grandi, non certo per tutti quelli che “abbiamo fatto il sito”. È come un costosissimo affitto : ne vale la pena solo se il business che ci generiamo sopra è stellare. Non è un caso che si dica spesso ai Netcomm che buona parte dell’ecommerce avviene ora da app. Correlation is not causation? Sì e no. Non è che avere una app faccia vendere di più a tutti. È che chi vende di più di solito ha una app. Il mobile commerce si nutre di e nutre l’oligopolio.
La confusione tra sito e app ha creato dieci anni di mostri: la app non doveva essere un sito, probabilmente non doveva essere progettata da chi fa siti (o li sviluppa), è un telecomando per alcune funzioni. È un telefono Brondi per gente pigra o non sgamata. Chi ha pensato di fare un sito in versione app ha quasi invariabilmente fallito. Le app sono telecomandi, a volte permanenti (Amazon e pochi altri, per l’ecommerce, una o due banche su cui hai un conto, per il banking) a volte usa e getta (quelle per gli eventi o gli aeroporti, che hanno una loro utilità, temporanea ma spesso coprono il picco di sensitività del customer journey, quindi servono eccome). Ma appunto deve esserci un’utilità spinta. Il mediocristan non è per le app. Come scrivevo – vado a memoria – nel libro: se avete cinque motivi per farvi una app, probabilmente non dovreste farla. Se ne avete uno, impellente, allora sì.
Riciclo per una volta la conclusione al libro:
Nel libro abbiamo illustrato come il mobile – parola profondamente errata, ma ormai entrata in uso – non sia una nuova versione dell’internet su computer, ma una “cosa” nuova e diversa che si pone invece sempre più come cardine di tutte le tecnologie per il business. Il mobile è al centro per la sua capacità di personalizzazione, portabilità, interazione continua e intima con gli utenti e per la possibilità di essere un comodo telecomando collegato a qualunque altra tecno- logia esistente.
Il mobile non è più una versione limitata del personal computer, ma una versione “aumentata” di questo, grazie ai superpoteri delle funzioni native (GPS, fotocamera, connessione permanente, collegamenti a sensori ecc.). Del resto, anche a livello di potenza di calcolo i device del 2016 sono molto più potenti dei computer di pochissimi anni fa.
Il mobile non è più nemmeno internet, diventa qualcosa di particolare e diverso, e ingloba tutto il resto. L’ecosistema mobile è molto più concentrato e ormai diviso tra Google, Apple, Facebook e Amazon, con un potere di influenza estremamente elevato su miliardi di persone.
Nel mobile le persone fanno convivere esigenze personali e di business, e anche la pubblicità ne deve tenere conto: l’interruzione è intollerabile. Interrompere la visione di un programma è un conto, interrompere la mia vita è tutta un’altra storia.
Gli utenti mobili sono tremendamente esigenti, sempre pronti a eliminare ogni servizio non all’altezza o che infranga il patto di fiducia nello scambio illustrato nel modello della Zona di Relazione. Questo perché il device è un oggetto intimo e personalissimo in cui le persone diventano tutt’uno con ciò che le mette in comunicazione costante con la propria vita sociale, economica, affettiva, lavora- tiva. Se non c’è scambio non c’è relazione, e se non c’è relazione non c’è utilità, neanche di business.
La quantità di dati che possiamo raccogliere dallo scambio con utenti immersi in un mondo connesso permanentemente via smartphone (e i terminali collegati a esso, la casa connessa, l’auto connessa, la TV connessa, i sensori del fitness, gli smartwatch, i beacon, ecc.) non ha precedenti nella storia umana e del marketing.
L’opportunità discende da sé: se ci avete seguito fino a questo punto, avete capito che il mobile non contiene oggetti magici in grado di far “svoltare” i risultati aziendali. L’innovazione è inutile se non consente di creare relazioni nuove e migliori tra aziende e persone. Si tratta di plasmare una relazione di lungo periodo con i nostri clienti, modellando la presenza dell’azienda sui loro bisogni, attraverso strumenti che sono di uso quotidiano. Il mobile è l’ultimo gradino della discesa dei brand nell’arena delle persone, da Madison Avenue fin giù a Snapchat.
Il marketing insegnato dai negozianti
C’è uno strano trend, quello degli orari “precisi”
Forse non lo sai, ma l’originale ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è mio.
Segnalazioni varie
È uscito un mio pezzo su Link, un long form, sul business del meteo, e delle app relative.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie ancora alle genti di Bluemotion per essere state supporter di questa newsletter.
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ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i (nuovi!) separatori d’artista.
Quiz: b - McDonald’s (fonte)