La sindrome dell'arto fantasma è la sensazione anomala di persistenza di un arto dopo la sua amputazione o dopo che questo sia diventato insensibile: il soggetto affetto da questa patologia ne avverte la posizione, accusa sensazioni moleste e spesso dolorose, talora addirittura di movimenti come se questo fosse ancora presente. (Wikipedia)
Sono le 22 e 47 minuti di mercoledì sera. Chiedo a mio figlio di farmi una foto per capire che non sto sognando. “E dove te la mando?” dice. Poi capirete il perché della domanda. Sono in/a piedi al totem del McDrive di Trento Sud, in attesa di fare la mia prenotazione.
Questa è una storia di come il cellulare abbia ingoiato le nostre vite, di come sotto stress si commettano errori1, di come la ridondanza delle connessioni sia sottovalutata e di come stiamo mettendo tutte le uova nello stesso paniere.
Ma prima di sapere tutta la storia, un po’ di domande e risposte di marketing che ho scritto in collaborazione con SAS sul tema del momento: i dati e perché se fate marketing non potete non interessarvene. È il primo di una serie di 10 episodi che fanno tutti riferimento al mio/nostro Manifesto del Marketing Data-Driven (da appendere in ufficio).
In collaborazione con
Ogni articolo di settore indica nei dati di prima parte il futuro e la strada per creare messaggi migliori e allo stesso momento più profittevoli per i brand: ma cosa sono esattamente?
Cosa sono e perché dovrebbero interessarmi
Detto sinteticamente, i First Party Data (o dati di prima parte) sono informazioni sui clienti raccolte direttamente. Ogni touchpoint digitale posseduto dall’azienda (owned media) può generare dati: si pensa in prima istanza a sito, app, email e SMS. Anche i touchpoint fisici però possono farlo: i punti vendita tramite i Beacons (tecnologia Bluetooth che acquisisce i dati sulla posizione dei clienti in-store). E non dobbiamo dimenticare i Call Center telefonici, spesso snodo importante dei customer journey.
In cosa si differenziano i First Party Data?
sono relativamente economici (a cash flow zero nella maggior parte dei casi).
possono essere raccolti nella certezza del rispetto totale delle normative, mettendoci al riparo da modifiche di legge. Nell’era dell’incertezza sulle evoluzioni future della GDPR diventano un asset strategico per il futuro.
sono generalmente più affidabili. Non si basano quindi su inferenze “opache” di terzi (come per esempio i tracciamenti di visite a siti web sconosciuti) ma su azioni verificate e riconducibili a una persona ben conosciuta.
sono concessi volontariamente in cambio del miglioramento dell’esperienza di acquisto e di altri vantaggi tangibili.
Come li ottengo
Il fatto che i dati di prima parte siano apparentemente “senza costi” non deve farci dimenticare che la loro qualità conta più della quantità: quindi bisogna partire dagli obiettivi che si desiderano raggiungere e poi focalizzare la raccolta sui dati rilevanti.
Dobbiamo poi assicurarci di creare uno “scambio equo” con il cliente, offrendo qualcosa di valore (informazioni, premi e concorsi, assistenza, offerte, vantaggi basati sulle sue necessità reali). Senza offrire valore non otterremo dati. Infine oggi le persone si aspettano un rigoroso rispetto non solo delle normative in materia, ma anche del patto di fiducia implicito tra brand e consumatori. La trasparenza può essere un punto di forza, non solo un obbligo legislativo.
Cosa ne faccio
Il grande ostacolo da superare è il riconoscimento dell’utente e l’unificazione dei suoi comportamenti in un profilo unico, a cui ricondurre tutte le sue interazioni con il brand, nei diversi touchpoint. In questo profilo (detta in gergo “vista a 360°”) possiamo ritrovare tutte le informazioni utili a una possibile segmentazione e attivazione attraverso dei messaggi personalizzati sull’intero customer journey e non solo su una sua singola parte. Questo deve essere effettuato in tempo reale, perché i journey dei clienti sono sempre più veloci.
Per esempio, potremo evitare di inviare email promozionali a chi ha problemi aperti attraverso il customer care.
A queste analisi e segmentazioni potrà contribuire anche l’AI che consente di trovare pattern di successo nella vendita o nella fidelizzazione attraverso analisi dei comportamenti degli utenti in un percorso iterativo e continuo tra sperimentazione e analisi del risultato.
A cosa devo fare attenzione
Monitorare costantemente la qualità dei propri First Party Data costituisce le fondamenta della data driven strategy: come si dice in gergo, Garbage In, Garbage Out. Se immetto dati inaffidabili otterrò una pessima esperienza utente e nessun vantaggio reale.
Assicurata la qualità e la rilevanza del dato, deve esserne garantita l’usabilità per il marketing, senza ritardi in processi di import/export che rischiano di rendere l’informazione inutile per l’utente (che nel frattempo ha comprato altrove) e l’azienda.
Leggi il Manifesto del CMO Data Driven realizzato in collaborazione con SAS per scoprire i dieci punti che contraddistingueranno il lavoro dei CMO nei prossimi anni.
E la storia di Trento?
Dunque, rewind a cinque ore prima. Sto scendendo dal treno in stazione a Bologna, avanzo per un centinaio di metri e percepisco il mio arto fantasma. Cioè il mio cell non ce l’ho in mano, in tasca, provo lo zaino, nulla. Ho il Mac con me, ma senza connessione non posso trovare il telefono (maledizione a quando ho deciso che non serviva più la saponetta Wi-Fi, cigno nero! Cigno nero!), e lì per lì risalgo sul treno fermo al binario, che nel frattempo si è riempito di viaggiatori da Bologna in direzione inversa. Guardo, cerco di ricordarmi: dov’ero? Qual era il vagone giusto? E chi ci fa caso? Si guarda il cell e/o il finestrino, no? Insomma, chiedo, guardo, osservo: niente. Il telefono non c’è. Un signore si offre di chiamare il mio numero: ovviamente il mio telefono non risponde ai numeri sconosciuti (grazie telemarketing!). Il problema è che il treno sta già partendo. Cosa faccio? Seguo il telefono sul treno, posto che sia lì e non invece sia stato preso e in fuga per Bologna?
Errore da stress: avrei potuto far suonare il telefono con doppio clic sul Chipolo del mio portachiavi. Ma siccome di solito perdo le chiavi e non il cell non mi viene in mente il percorso opposto. Decido di scendere e trovare un Wi-Fi per connettermi. In stazione quello pubblico non prende. Quello di KFC mi chiede l’accesso con i social (ma avendo la doppia autenticazione e non avendo il telefono non posso usarlo). Trovo un posto nel giardinetto mal frequentato di fronte alla stazione. La connessione free regionale (grazie Bonaccini) mi conferma che il mio iPhone sta ripartendo con il treno. È acceso. Lo sento implorare “Vienimi a prendere, ti prego”. Ok, questo è il mio pensiero. Del resto è il mio terzo arto.
A questo punto entra in gioco mio figlio. Corre in stazione, sale sul treno-con-il-telefono-sopra-che-si-muove-sul-mio-FindMy che nel frattempo è ripassato per casa nostra, ma anche lui non lo trova. Non riesco a comunicare bene a voce con lui perché nel frattempo ho fatto un biglietto per il ritorno con il Mac dal Wi-Fi ballerino del Punto Giunti (grazie Giunti).
“Cosa faccio? Scendo?”, mi dice. Mio figlio ha il telefono scarico. Io senza, lui senza, su di un treno verso nord (mio figlio è maggiorenne, non fatevi prendere dal panico). Gli dico di scendere, a una stazione in provincia di Mantova, che io torno in treno e passo a recuperarlo. A questo punto sono già in un format, di quelli che poi chiamano Fedez per inseguire gente ecc. Arrivo alla macchina (dov’è Spotify? mi dice), e parto: ma dov’è Poggio Rusco? Dov’è la stazione di Poggio Rusco? A mente cerco di visualizzare ma non è semplice (l’abitudine alle mappe!) e alla fine decido di chiedere a un gruppo di ragazzini per la stazione non avendo trovato nessuna indicazione stradale esterna (eccomi negli anni ‘90!).
Recupero il figlio. Gli chiedo di attivare l’hot spot per collegare il mio Mac e vedere il telefono in tempo reale. Mi dice che il suo piano di abbonamento non prevede l’hot spot. PAGO IO, gli dico. “No, pa’, non c’è proprio il bottone, è disabilitato” (ma perché, perché ho fatto quel piano, maledetto il risparmio). Primo stop: McDonald’s della bassa mantovana. Di nuovo non posso registrarmi via social. Provo con l’sms con il SUO numero. Arriva a lui un sms con un LINK. Ma io devo collegare il mio Mac per vedere dov’è il cell. Quindi RICOPIO il link e collego il Mac al Mc. (Grazie McDonald’s!)
Il telefono è ancora acceso, ma ormai è a Verona. “Un ladro che non lo spegne?”. Congetture varie tipo serie crime. Partiamo all’inseguimento. Ma niente, il cell continua a viaggiare. Scopriamo con orrore che quello che pensavo un modesto treno regionale è in realtà diretto a Brennero. Brennero? Il Brennero esiste.
Dopo Verona ci fermiamo in un solitario Autogrill in cui ci sono solo tre camion e noi. Scendendo con la mascherina ho il terrore che ci prendano per rapinatori. Mi collego al Wi-Fi dell’Autogrill. (grazie Autogrill!) L’iPhone è quasi a Trento. Aspettiamo, riparte: prossima destinazione Bolzano-Bozen. Cerchiamo il numero della Polfer: rispondono! Chiamano il capotreno. Il capotreno non lo trova. Ci richiamano, dicendo che il treno prosegue per Brennero. Siamo ormai rassegnati.
Lo notate anche voi questo incrocio di flussi ibrido-contemporanei in cui sto TELEFONANDO a un numero fisso ma trovato su Google Maps per trovare un cellulare geolocalizzato in tempo reale su di un treno senza Wi-Fi? (sì perché i regionali - almeno in Emilia – hanno le prese di corrente ma non la connessione) quindi nel mio viaggio di ritorno, per avvertire tutti che non ero in pericolo di vita ho mendicato vari hotspot ai viaggiatori (è un ottimo modo per fare amicizia e attaccare bottone in effetti per timidoni come me).
A Bolzano il mio iPhone si disconnette. È finita. Ci immaginiamo una user persona salita a Rovereto e che prima di Bolzano lo trova, lo spegne e se ne va a festeggiare (ma il telefono è bloccato e nemmeno la CIA potrebbe usarlo. Grazie Apple!). Ma come tutte le user persona è contaminata dai nostri bias. Io e figlio ci immaginiamo l’Alto Adige come la regione più etica e affidabile del mondo, dove nessuno ruberebbe un cellulare. Magari l’ha portato alla Polfer? Chissà.
Nel frattempo siamo a Trento. Indecisi se arrivare al Brennero (ma poi mica i treni saranno aperti per ispezioni, che ci facciamo a Brennero? Dove dormiamo, a questo punto? C’è vita a Brennero? Esiste Brennero?).
Decidiamo di uscire a Trento Nord. L’unico locale aperto per mangiare + Wi-Fi è rimasto un McD a Trento Sud, dopo che mio figlio ha controllato inutilmente tutto il not-so-fast food carnaceo stile Old Wild West (alle nove si chiude, signori!).
Ehi, c’è vita al McD di Trento Sud. Un sacco di ragazzi biondi, in cui ci integriamo facilmente per connotazioni lineamentari. Ma il Mc alle 22.00 chiude. Mio figlio odia immediatamente il nord, il Trentino, il Brennero. “Guardi, è aperto il Drive”, mi dice una ragazzina. Ho già parcheggiato, e quindi mi metto in coda al McDrive, ma a piedi, come altra gioventù trentina affamata ma in ritardo sul bioritmo locale.
Ed eccomi da dove ho iniziato. Il telefono è vivo, si sta lentamente scaricando ma è sul treno, fermo in un binario morto di Brennero. Decidiamo di arrenderci e torniamo a casa. Mentre ripercorriamo in senso inverso la A22 nella bassa veronese ci sono lavori: a guardarci bene però non stanno rifacendo l’asfalto, stanno innaffiando e pulendo le aiuole della A22. Non so se conoscete Less Than Zero di Bret Easton Ellis, con quel cartellone pubblicitario che recita “Disappear Here”. Qualcosa del genere.
Non posso mostrare il green pass, non posso pagare alla cassa (non ricordo il pin della Visa), non posso ritirare soldi (non ricordo il pin del bancomat).
È molto presuntuoso il pensiero seguente, visto dal privilegiato “dramma” di una perdita dello smartphone sia pure arto fantasma, ma mi sono venuti in mente i migranti afghani (sì, esistono ancora) bloccati in Bosnia senza poter comunicare, a cui No Name Kitchen offre SIM – oltre a coperte, assistenza legale e cibo – per poter vivere e dire che stanno bene.
E, sì, il giorno dopo un solerte capotreno austro-ungarico l’ha ritrovato e portato alla Polfer di Brennero (esiste). Il bias del Südtirol è stato confermato. Mentre leggete sono in viaggio per la Polfer. Offrirò un caffè ai ferrovieri, ai poliziotti e una donazione a No Name Kitchen – non appena avrò recuperato il cell, perché senza autenticazione non posso farlo. Fatelo anche voi, se volete.
Per oggi è tutto, pure troppo; penso passerò il weekend a dormire. Ci si legge dopo Pasqua, statemi bene.
gluca
Grazie al solito a Daniela per la revisione bozze, oggi più che mai.
Quando leggo annunci di lavoro con capacità di lavorare sotto stress, immagino quanti errori possano essere fatti in aziende in cui operare sotto stress è condizione per lavorarci.