[È venerdì] Dove va il mainstream-commerce?
Quella enorme fetta di consumi che passa per i supermercati grandi e piccoli, alle prese con sfide sociologiche, tecnologiche ed economiche. Un report.
Ogni volta che volo con Ryanair compro qualcosa a bordo. È assurdo? Il 99% dei passeggeri deve pensarla così, visto che non mi pare che il menù abbia un grande successo, salvo per i genitori che cedono alle suppliche di bambini annoiati. Credo che per me sia un mix di contribuzione ai KPI delle/degli assistenti di bordo e di un atto politico dimostrativo verso gli altri che pensano di essere furbi (ora) ma si faranno poi spennare dall’aeroporto all’arrivo, o sono già stati spennati in quello dell’andata, o dal cocktail a 15 euro alla sera. Ho preso anche il gratta e vinci. Non ho vinto niente.
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Il quiz della settimana
Quante consumazioni facciamo alle macchinette, per persona, per anno, in Italia?
a) 48 b) 85 c) 102
Un attimo di attenzione per il nostro sponsor di oggi! [Questo articolo è stato commissionato da Generali Italia e scritto indipendentemente da me]
Un giorno all’Oasi Gregorina con Generali Italia
Qualche giorno fa sono stato invitato a toccare con mano l’Oasi Gregorina di Castrocaro Terme-Terra del Sole, che Generali Italia e WWF hanno inaugurato su terreni del Gruppo Leone Alato, la holding agroalimentare e vitivinicola del gruppo.
L’esperimento sembrava interessante: è possibile trasformare una tenuta agricola in un’oasi? E non semplicemente abbandonando completamente la coltivazione, ma rendendola parte integrante e costitutiva dell’oasi?
Cosa aveva di diverso da un agriturismo, diceva la solita vocina scettica in me. Insomma, ho fatto un po’ di domande – come al solito, la parte economica e di sostenibilità effettiva ha preso un po’ il sopravvento, a discapito di istrici, api, lupi, vigneti, calanchi e boschi fruttiferi.
Ho fatto qualche domanda a Igor Boccardo, CEO del Gruppo Leone Alato, prendendo spunto dal quel 14% di emissioni che, nelle sue parole, sarebbe all’incirca il contributo dell’agricoltura alla crisi climatica.
Igor mi ha parlato dell'impegno nell'integrare sostenibilità e agricoltura all’interno del progetto #generaliact4green, che prevede la piantumazione di un milione di alberi sulle loro terre, enfatizzando un impegno a lungo termine di sessanta anni per creare vere foreste. Io ho pensato subito, da ragazzo di pianura, a quei chilometri di pioppi in fila come soldatini alle parate. No, saranno incasinati come i veri boschi, imperfetti, mi dice.
L’esperimento prevede di proseguire con la produzione agricola e vitivinicola: siamo in Romagna, e ovviamente si produce Sangiovese di Romagna DOCG, olio Colline di Romagna DOP e miele millefiori.
L’ultima scommessa è quella di includere nella vita dell’Oasi le comunità locali, restituendo la fruizione dei terreni a scuole ed enti, per originare un loop educativo di valore. In effetti avrei voluto essere un bambino del 2024 all’Oasi Gregorina invece di quello del 1980 allo zoo di Pistoia.
Ma poi ho dovuto fargli la domanda che mi frullava in testa dall’invito: l’agricoltura sostenibile è scalabile e può essere competitiva sui costi?
Dove va il mainstream commerce?
Come ogni anno ho avuto il piacere di partecipare a Linkontro di NielsenIQ, il principale evento nazionale del largo consumo e della distribuzione organizzata (cioè scatolette e supermercati per chi non è del settore). Ci sono i nuovi gelati: in realtà spesso varianti di gelati esistenti, ma con oggi con ancora più nomi esotici in quella che è un esempio di differentiated sameness, di cui ho descritto spesso pro e contro). Si chiamano Elements Collection.
Poi “nuove” birre “estive” con “infuso di limone”, gli ubiqui biscotti Kinderini di cui mi sono nutrito h24, nuovi noodle “ancora più spessi” “dal packaging sostenibile” e l’agglomerato-impero Nutella-everything-food che ha festeggiato i sessanta anni, si è parlato di futuro (retail media, ecommerce, intelligenza artificiale, ecc. ecc.), momenti bilanciati da vertiginosi momenti passatisti nel fuori-evento (la gara dei kart, e ovviamente c’era il padel) e nei flyer cartacei in puro idioletto a favore di category manager (mi risuonava in mente “Cosa resterà di questi anni ottanta” di Raf: ora lo so, cosa resterà).
Prima di iniziare una lista di insight e di impressioni che mi son portato a casa, vorrei dire una cosa a brand e grande distribuzione (un momento di delirio di onnipotenza, poi passa, forse è stato il nutrirmi di Kinderini per quattro giorni di seguito): siete un unico mercato, è assurdo dividere retail, discount, industria, supermercato, online, direct to consumer. Siete il mainstream-commerce. Così venite percepiti e così dovete pensare: ogni prodotto, ogni posizionamento di prezzo, e ogni formato di vendita (da Amazon fino al negozio di prossimità) è in concorrenza con qualsiasi altro. Le categorie sono sempre meno importanti, le superfici di vendita sono un mezzo come un altro, nessuno è cliente di superette o di ecommerce o di altro. La frammentazione è arrivata alla fine della storia. Ok, l’ho detto.
E ora i numeri del 2023, che sono per il settore come lo Spotify Wrapped.
Quanto si spende?
Nel 2023, la spesa degli italiani nel settore alimentare è cresciuta del 9,4% rispetto all'anno precedente, raggiungendo un totale di 145 miliardi di euro. Questo aumento è attribuito principalmente all'inflazione piuttosto che a un aumento dei volumi, che sono effettivamente diminuiti del 3,4%. La previsione per il 2024 indica una possibile stabilizzazione dei prezzi, con una crescita prevista del fatturato del 2,7% e un incremento dei volumi dello 0,2%.
Mio commento: i margini di manovra del settore si riducono. Prima aumentavano i consumi a parità di prezzi (era Covid). Poi aumentavano i prezzi ma calavano i consumi (post-Covid). Da ora caleranno i consumi e non aumenteranno i prezzi. Ops.
Come si spende?
Il comportamento di spesa si sta polarizzando tra consumi premium e low cost. Nel 2023, i prodotti premium e di marca hanno visto un aumento del 13,5% nel fatturato, mentre i prodotti a basso costo sono cresciuti del 10,8%. Ciò indica una chiara divisione nelle preferenze di spesa, con una tendenza verso prodotti di qualità superiore nonostante i costi elevati. Parallelamente, i settori del benessere e dei prodotti salutistici sono cresciuti del 20%, ma diminuiscono quelli “green” della marca del supermercato.
Mio commento: sicuramente c’è più polarizzazione nei consumi, chi può spende e chi non può cerca prezzi bassi. Ma c’è un ma, secondo me. Il consumatore zero tende a sfuggire a questa analisi, e forse a sfuggire ai consumi “mediani”.
Mi autocito1:
Un articolo di McKinsey sull’emergere del “consumatore zero2“, dichiara in pratica la resa su questo fronte: è un segmento che non sappiamo individuare con radar tradizionali, ma sappiamo che c’è, è giovane ma non solo, non importa più di tanto. Un segmento senza (cioè non influente per i nostri scopi) età, genere, reddito, perfino scolarità. Il consumatore zero non ci darà tregua sulla omnicanalità, perché non capisce il (nostro) problema. Non è che gli facciamo un favore “aprendo un e-commerce per migliorare la customer experience”, ci fa un favore lui degnandoci della nostra attenzione e forse – forse – del privilegio di accedere alla sua carta di credito “dematerializzata” (“ehi, perché si chiama carta, fra’?”). Un tizio, una tizia che ci prende in giro usando le carte fedeltà (idem) come un giocatore di poker in una mano cui i retailer perdono più spesso che no. Soggetti che vanno al discount a prendere due litri di succo di forse arancia a 50 centesimi ma poi spendono 100 euro per un concerto e il relativo merchandise, e forse sono proprio gli stessi che sono attenti alla sostenibilità, a volte (“paghi tu il costo, brand?”) passando senza soluzione di continuità dal Gruppo di Acquisto Solidale al fast food, o che scialacquano in un gadget retro-nerd da collezione ma poi vanno al kebab per rientrare.
Risparmia e scialacqua è il suo motto del futuro: naturalmente questo ha implicazioni molto importanti sul posizionamento di brand, di prodotto, sul pricing. Se in mezzo non c’è niente, e non ogni brand può diventare lusso (accessibile), consumers’ heroes just for one day, allora che ruolo avere in un mondo che risparmia e scialacqua in modo molto poco prevedibile?
Dove si spende?
In merito ai canali distributivi, la crisi dei volumi si manifesta in particolare nei negozi di piccola superficie, in controtendenza sono gli Specialisti Drug con il +6,1% a volume, la forte tenuta dei negozi specializzati è probabilmente indice di una predilezione da parte dei consumatori strettamente legata all’offerta sugli scaffali. Tuttavia, la crisi dei volumi non riguarda tutte le realtà distributive poiché gli italiani stanno scegliendo con giudizio i negozi dove svolgere acquisti.
Mio commento: c’è un ritorno agli specialisti (casa, sport, beauty, pet, ecc.) sia online che offline. Ma attenzione, questa è la feature preminente del digitale che si riflette anche offline. Se tutto è a disposizione in uguale maniera, prezzo e facilità, perché – pensa l’acquirente – non rivolgermi allo specialista, online e offline?
Dove faremo nuovi soldi? Nel retail commerce! (Forse)
Citando un mio amico, il Retail Media (cioè la realizzazione del mantra «every company is an ad company», cioè la pubblicità di brand sul punto vendita, online e offline) è come il sesso degli adolescenti. Se ne parla tanto ma nessuno sa come si fa.
I retailer hanno grandi aspettative («27 miliardi di euro di valore nel 2027!»). Io sulla storia che i retailer si trasformino in piattaforme pubblicitarie (ne ho parlato su GS1 qui) sono cauto: soprattutto conoscendo la situazione concreta della gestione del dato nel retail mainstream italiano.
Se non c’è integrazione tra dato del consumatore e advertising, e bassa friction di acquisto, tutto si riduce a un yet-another-media generalista che esiste già altrove, solo meno efficiente e ottimizzato, con meno reportistica, con ritorni incerti e processi di passaggio di dati e creatività ancora rudimentali, e difficoltà di inserire i dati di ritorno nei CRM e CDP dei brand, dati spesso in ritardo o a fine campagna rispetto al real time delle piattaforme di Meta o Amazon o Google.
In teoria le prospettive sono magiche. Immaginate i brand che collaborano con i retailer attraverso:
- loyalty program bonus
- offerte personalizzate in-store
- adv on web site e app
- offsite (targeting social e programmatic)
- coupon cartacei e digitali
- volantini cartacei e online
- promo e schermi in-store
- promo sul salvatempo
(la fantasia è il limite)
Però, tornando alla realtà, personalizzazione dell’offerta e personalizzazione dell’advertising nei retailer sono due facce della stessa medaglia. Se non si riuscirà a personalizzare l’offerta non si offrirà una segmentazione dell’advertising. E se l’advertising del retail media non sarà rilevante per il consumatore si trasformerà in un nuovo esasperante aumento di pubblicità verso i propri clienti, il che non migliorerebbe sicuramente l’esperienza utente.
Il valore di ogni advertising è dato, certo, dal ROAS atteso, ma alla fine il prezzo è sempre questione di domanda e offerta. Temo che appena si aprirà veramente il mercato l’offerta di spazi in-store e online sarà sovrabbondante, senza avere però la forza monopolistica di Amazon (che ha dato l’idea a tutti, in pratica, con i suoi prodotti sponsorizzati), e facendo quindi calare i prezzi degli spazi.
Da dove arriverà il budget per il retail media?
Dal trade marketing principalmente: quindi potrebbe semplicemente spostarsi budget verso una vendita in programmatic, lo stesso che ora passa comunque dai brand ai retailer attraverso campagne “artigianali”, come display fisiche in-store, posizionamenti di scaffale e co-promo di prezzo congiunte, ecc. ecc.. Il budget dei brand non è infinito, e per catturare più budget il retail media deve dimostrare la propria incrementalità sui risultati di vendita e/o il proprio impatto sulla brand awareness, ancora più difficile da misurare.
(E l’AI e l’ecommerce?)
Niente che non avete già letto da queste parti.
E ora vado a finire la mia scorta di B-ready.
Il marketing insegnato dai negozianti
Ogni tanto ho bisogno dell’autoironia napoletana.
(spotted by Glenda)
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà.
Segnalazioni varie
La settimana scorsa ho parlato di come l’AI potrebbe cambiare la ricerca online (soprattutto per chi online ci lavora).
Ho scritto un long form per la rivista Quants: si chiama Dove va il marketing nel 2024?
Sto recuperando gli ultimi miei webinar sul mio trascurato podcast personale. Lo trovate qui.
Il 5 giugno sarò a Venezia per il B2B Day | Deliver Growth, per chiedere un invito c’è il link qui.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è un miracolo.
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ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: b) circa 85 (Italia Oggi, 17 maggio 2024)