In questa edizione vi regalo (“troppo buono, Gianluca”) un estratto preso dal libro che sto scrivendo. Come dice Stephen King: almeno il 20% sarà da buttare, ma lui non aveva una newsletter. Lo faccio un po’ per abbattere l’ansia crescente, un po’ per capire se vi piace, anche se è rivolto a un pubblico molto meno esperto di te che leggi. Non ditelo al mio editor, che non ne sa niente, e potrebbe denunciarmi – per fortuna restituire l’anticipo non mi manderebbe in rovina. Come vedrete sto cercando di scrivere un libro serio – ma non ci riesco mai fino in fondo. Fatemi sapere.
Lettura del post svolta dal mio clone
Sei tra le 23.000 persone iscritte e tra le circa 30.000 che la visualizzano qui, su LinkedIn, Telegram e WhatsApp: grazie, spero che le ore che passo a scriverla siano utili. E grazie a Brief, che conosco bene, per il supporto all’edizione di oggi.
Che ne dici di sponsorizzare la mia newsletter? Ci sono ancora posti a macchia di leopardo tra ottobre novembre e da dicembre: vuoi comparire davanti alla combriccola di marketer, digital, manager vari? Dai un’occhiata alle info.
Il quiz della settimana
A quanto corrisponde il livello di ricerche online per NFT a settembre 2024, fatto 100 settembre 2021?
a) 5 b) 20 c) 50
Risposta in fondo.
––––––– sponsored –––––––
UN SUPER EVENTO A CUI DOVRESTI PARTECIPARE, A FIRENZE L’8 NOVEMBRE C’E’ VIDENSLIVE
Ciao amic* target
stiamo parlando a te,
a te che leggi la Newsletter di Diegoli,
a te che probabilmente sei CEO, CMO, Reparto Marketing o magari Agenzia,
a te che al marketing, in fin dei conti, gli vuoi bene.
Per te abbiamo pensato ad un super evento di formazione e ispirazione.
Dopo aver totalizzato più di 1 milione di visualizzazioni nella prima stagione di VIDENS, il nostro vodcast di marketing e comunicazione, abbiamo deciso di realizzare una puntata speciale, LIVE.
L’8 novembre a Firenze, dentro una mega sala cinematografica, arrivano:
Giorgio Soffiato, Ad Marketing Arena
Tiziano Tassi, CEO Caffeina e Dynamo
Erika D'Amico, Brand & Communications Director Colombini Group
Bianca Arrighi e Livia Viganò, CEO e COO Factanza Media
Ella Marciello, Direttrice Creativa
Matteo Roversi, Co Founder Cosmico
Alessandro Mininno, Co Founder di Gummy Industries e Flatmates
Matteo Gazzarri, Co Founder Brief
Niccolò Di Vito, Co Founder Brief
e il per altro autore di questa newsletter Gianluca Diegoli.
L’evento è gratuito su invito.
Crediamo nel potere del networking e nell’opportunità di conoscere persone giuste. Prenditi una giornata e lasciati ispirare da contenuti di livello altissimo.
Richiedi il tuo biglietto per Videns Live – i posti sono limitati.
Ci vediamo l’8,
Il Team di Brief
Il culto e la personalizzazione
In un vecchio brano degli anni ’80, “Personal Jesus”, i Depeche Mode cantavano l'idea di un “Gesù personale” a cui ci si poteva rivolgere per essere ascoltati, uno che si prende davvero cura di noi. Un concetto che risuona sorprendentemente attuale, dato che oggi anche i brand vogliono essere la nostra “divinità” personale. Nel mondo del consumo, conviviamo con due necessità apparentemente contrastanti: sentirci meno soli e sentirci unici. I brand-culto hanno capito come soddisfare entrambe queste pulsioni, offrendo prodotti che sono personalizzati just for you – ma allo stesso tempo diventano strumento di aggregazione sociale. È come se non solo il “Gesù” rispondesse alle nostre preghiere, ma ci invitasse pure al raduno annuale dei suoi seguaci.
Se un tempo la produzione di massa imponeva standardizzazione per motivi di costo, la tecnologia oggi permette piccoli lussi su misura. Oggi ogni influencer può lanciare la propria linea di bellezza o fitness, poco importa se l’unica cosa che cambia è l’etichetta: l’importante non è più il contenuto, ma il valore percepito e l’appartenenza che il prodotto trasmette. Siamo ufficialmente nell’era della personalizzazione. Le stesse influencer ti assicurano che quel prodotto è “fatto su misura per te” – e ci credi pure, soprattutto dopo aver completato un quiz che sembra più un test di personalità che una vera analisi dermatologica. Sembra quasi che il concetto di uniqueness si sposi perfettamente con la massificazione, come dimostra la ricerca di Econsultancy che sostiene che il 46% degli intervistati dice di fidarsi di più di un brand quando offre esperienze personalizzate. Insomma, essere unici è diventato la norma. Non si tratta solo di prodotti di bellezza. Stessa storia se si parla di piani fitness, percorsi di mindfulness o crescita personale. Il punto è che questi percorsi personalizzati non sono altro che un altro strumento per farti sentire speciale in un modo così preconfezionato che a un certo punto ti chiederai se davvero ci sei cascato. La risposta è sì.
Si va oltre la semplice personalizzazione: con l’avvento dei social e della iper-connessione, non è più necessario affidarsi ai grandi brand per scegliere cosa comprare. Oggi ci basta aprire Amazon, leggere una recensione o guardare la nostra bolla di contenuto su TikTok o Instagram. È come se le piattaforme avessero prosciugato quel mare di incertezze in cui i brand nuotavano beati, collegando direttamente i nostri bisogni e desideri con i prodotti giusti, basandosi non su spot o jingle, ma su recensioni reali di persone come noi, o influencer che fingono di essere noi. Il mistero del brand si è dissolto. La soluzione ai problemi consumistici della contemporaneità è nei microbrand.
I microbrand stanno diventando una nuova forma di culto. Piuttosto che affidarsi a testimonial da milioni di follower, magari usano micro-influencer, capaci di creare una connessione più intima e autentica (tutto molto virgolettato) con il proprio pubblico. Internet permette loro di raggiungere direttamente il target perfetto, senza disperdere risorse in pubblicità di massa. Il crowdfunding permette a molti microbrand di vendere prima ancora di produrre. Il crowdfunding è una promessa di redenzione personalizzata a cui vogliamo credere, in fondo in fondo.
I microbrand prosperano su questa incertezza risolta, approfittando della possibilità di modellare i propri prodotti sulle nicchie. Non cercano di conquistare il mondo, ma parlano direttamente alle persone giuste, con i messaggi giusti. Prendi Signal Snowboards, che ha trasformato la propria offerta da produttore locale a servizio di noleggio personalizzato: non vendono più tavole, ma esperienze su misura, e la possibilità di provare diversi modelli durante l’anno. Signal ha trovato la sua nicchia, diventando il “Gesù personale” per una piccola comunità di appassionati.
Anche nel settore degli orologi, un tempo dominato da marchi intoccabili, i microbrand hanno avuto di recente un picco di popolarità. Nomi come Dan Henry, Undone e Baltic (se non li avete mai sentiti nominare è normale) offrono un’esperienza apparentemente su misura e un legame personale con il creatore del marchio. Qui non si tratta solo di comprare un orologio, ma di sentirsi parte di una piccola comunità di appassionati, in cui puoi scambiare due parole (digitali) direttamente con chi progetta e produce il tuo pezzo. La connessione diretta è fondamentale: non è raro che il fondatore del brand risponda personalmente ai messaggi sui social o ai commenti di Reddit, creando quell’illusione di intimità di cui siamo affamati. È una personalizzazione emotiva, più che tecnica: stai comprando quell’orologio, fatto (quasi) apposta per te, dalla mano di qualcuno che conosci (o almeno, così ti sembra). Non è solo un prodotto, è un’esperienza, un piccolo pezzo di un culto da possedere.
“Ho ricevuto il mio Sheffield allsport diver 1A ieri. Non potrei essere più contento, attualmente è venduto in quantità molto piccole. Ho preordinato il mio a gennaio. Storia interessante di un marchio rilanciato. Come il proprietario, avevo un subacqueo originale da bambino. La qualità costruttiva è incredibile per il prezzo. Movimento Seiko NH35, corona a vite, vetro zaffiro, lume svizzero, 200 metri. E ricevi una lettera di ringraziamento per l'acquisto firmata da Jay, il proprietario. Ma guardalo, è bellissimo!” si legge su Reddit.
I segnali di tramonto del brand tradizionale sono attorno a noi. “Qual è il tuo brand preferito?”, chiesi anni fa a una studentessa durante un esame, che mi guarda spiazzata: “Nessuno in particolare, cioè, dipende. Forse, ecco, Instagram vale come risposta?”. La sua risposta racchiude una grande verità: l’era del brand unico, che dominava ogni scelta, non è più così cool. Sempre più persone fanno fatica a indicare un brand “preferito”, e la stessa cosa vale per hotel, negozi e perfino la pasta. Il concetto di brand, un tempo colonna portante del consumo di massa, è in crisi. Nel 2007, il 47% delle persone poteva indicare con sicurezza la propria catena di negozi preferita; nel 2015 solo il 28%. E nel fashion? La percentuale è scesa dall’80% al 61%.
Oggi la trasformazione digitale lavora a favore dei microbrand-cult. L’algoritmo di Spotify ci tiene agganciati, come quello di Netflix, e ci impedisce di uscire dall’abbonamento, per non perdere tutta la nostra cronologia di spettatori (che serve per capire cosa ci piace). Che poi era un po’ quello che tratteneva gli adepti nelle sette californiane degli anni ’70 e ’80. Se ne esci perdi gli amici, le relazioni, l’organizzazione fondante della tua vita. Per fortuna qui si perde solo lo storico delle playlist e le preferenze, anche se personalmente la considererei una tragedia. Rifiutiamo il consumo di massa, ci rifugiamo in consumi di nicchia, apparentemente “fatti apposta per noi” e calamitati dalle tracce digitali che lasciamo in giro.
Ci rifugiamo quindi in consumi di nicchia, apparentemente creati apposta per noi, ma la realtà è che sono gli algoritmi di TikTok e Instagram, insieme alle tecniche di remarketing, che ci guidano come Alice verso la tana del Bianconiglio, solo che al posto di un mondo magico troviamo un e-commerce pronto a monetizzare ogni nostra singola preferenza. Grazie ai social entriamo in relazione diretta, faccia a faccia, con i brand-cult, spesso nella forma del loro creatore in persona.
Se prima c’era L’Oreal, ora c’è L’Estetista Cinica; prima c’era Alpitour, oggi c’è SiVola. La sensazione è di avere un rapporto diretto, quasi personale, con i creatori di questi brand-cult. Se i primi cristiani avessero potuto mandare un DM a Gesù, mentre un algoritmo faceva il lavoro degli apostoli. Non seguiamo più solo i prodotti, ma i guru stessi dietro i brand: coach di fitness, guide spirituali o vignaioli superstar. È un culto collettivo con una parvenza di intimità, e tutto sembra fatto apposta per noi.
Il paradosso è che più scappiamo dal consumo di massa, più finiamo preda del marketing che si adatta alle nostre ossessioni di autenticità. La ricerca di autenticità – e di fuga dal centro commerciale – ha portato ad ammassarci ai mercatini di Natale, ormai non più autentici del Babbo Natale della Coca-Cola. La ricerca di prodotti “unici”, “autentici”, artigianali ha fatto esplodere Etsy, gli articoli sono (spesso) unici e fatti a mano. Ha fatturato quasi 3 miliardi di dollari nel 2023, incluse probabilmente le commissioni per una libreria che ho comprato da un artigiano che spediva dalla Turchia e che sono riuscito a montare solo smanettando per tre giorni.
Detto meglio1: “Oggi autentico è un paradigma di consumo, a cavallo tra la strategia di marketing e la necessità di trovare una via di fuga da un capitalismo che continua a inglobare sempre più aspetti della nostra identità. Un concetto che continua a essere sfuggente. Le controculture hanno usato in maniera potente l’idea di autenticità. Ma oggi questo ideale, questo paradigma da modalità e pratica di resistenza, è entrato nel reame del marketing.”. Più cerchiamo di fuggire dal consumo di massa, più siamo risucchiati nel consumo di brand che soddisfano esattamente quello che stiamo cercando, in dosi e formule perfettamente adatte a ognuno di noi, facilitate da piattaforme che ci rendono ogni cosa facile e immediato, dall’iscriversi a un corso di cucina sciamanica in una fattoria biologica in provincia di Verona al comprare quel centrotavola fatto alle isole Svalbard su Etsy, il paradiso dei prodotti artigianali “unici”. Saranno anche unici, ma il fatturato di quasi 3 miliardi di dollari nel 2023 ci fa sospettare che l’unicità sia il nuovo modo per vendere il vecchio consumismo in una scatola più carina.
Il marketing insegnato dai negozianti
Direi che non fa una piega.
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà.
Segnalazioni varie
La scorsa newsletter ho parlato di Grande Mappatura degli Italiani.
È uscito il secondo video di una serie, in collaborazione con Tailoor, su personalizzazione, AI e consumi contemporanei.
Ho scritto un pezzo lunghetto su dove va il fashion online, per il magazine Tendenze.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba.
Per analizzare la strategia, l’organizzazione e il budget, invitarmi a parlare, e per essere sponsor come Brief basta rispondere alla mail. E se ti è piaciuta, inoltrala.
ciao,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: b) 20 (fonte: Glimpse)
L’economia dell’autenticità. Irene Doda, (2024, March 15). Il Tascabile. https://www.iltascabile.com/societa/leconomia-dellautenticita/