Target-apocalypse e marketer
Perché la presunta morte della iperprofilazione non è poi la fine del mondo
Ciao, sei sulla newsletter di Gianluca: se te l’hanno inoltrata, il link è per iscriversi è qui. Mentre siamo in trepidante attesa di un posto al ristorante sotto un tendone, ho voluto dire la mia sulla presunta fine del micro-targeting (come lo abbiamo conosciuto, quantomeno). Ne parlo nel primo articolo. Anche questa puntata contiene un articolo in cui io e SAS assieme cerchiamo di divulgare i pilastri del marketing fondato sui dati, che poi è già qui.
Il target è sopravvalutato?
In questi giorni nella bolla dei direttori marketing digitali e no non si fa che parlare di cosa sarà di noi dopo che Apple ha deciso, a nome dell’umanità, di mettere il più possibile i bastoni tra le ruote del targeting, e soprattutto del microtargeting, e di Google che vuole salvare la nostra privacy – entrambi pro domo loro, ovviamente.
Ma andiamo per ordine, e facciamo un passo indietro.
Come ho ripetuto molte volte nel mio corso di marketing, la sequenza Segmentazione-Targeting-Posizionamento è fondamentale per non sbagliare tutto quello che segue. Ma dobbiamo distinguere tra il targeting “strategico” e quello “operativo”: il primo è quello che va incluso nella frase seguente:
Your target market is the customers who buy quickly, rarely ask for discounts and tell their friends about your offerings. (da April Dunford, Obviously Awesome).
Il targeting operativo è invece quello che risuona nella chiamata dell’agenzia o del social media manager che chiede al direttore marketing “ma queste sponsorizzate, a chi le mandiamo?”. Si capisce da qui quanto sia diverso il piano, anche se ovviamente sono importanti entrambi (anche se di mio darei 80 e 20, come pesi specifici, ma posso essere di parte).
Ora, ripetiamolo tutti assieme: più il targeting operativo è in crisi, più il targeting strategico è importante.
Detto questo possiamo guardare i mutamenti con più serenità. Ecco la mia lista di pensieri/consigli sul futuro (visto che sei anni fa ci ho più o meno beccato, riprovo. Ricontrollate nel 2026).
abbiamo ancora almeno 1000x più dati di quelli che avevano i padri fondatori del marketing, e la sfida è usarli bene, non piangere per i dati che non avremo
se la maggioranza delle persone preferirà non essere tracciata in cambio di advertising, un motivo ci sarà stato. È il momento di svelare che siamo proprio noi i più grandi utilizzatori di adblock – noi marketer, intendo.
il target che casca sull’advertising non è la parte più preziosa del mercato (solitamente). Come dice il prof. Galloway: “Advertising is a tax the poor and the technologically illiterate pay.”
Il targeting giusto non è la sola cosa che conta, ma anche cosa sta facendo/pensando/sentendo l’utente quando la vede, e che tipo di contenuto sta guardando quando lo interrompiamo.
ogni crisi è una opportunità (ahaha, ok, ok). Però è un’opportunità davvero, di cominciare a valorizzare i clienti e non i cookie. Non che sia facile, scambiare alla luce del sole i loro dati per un coupon di m***a. Ma è reato non provarci: aspettiamoci sempre più incentivi alla registrazione nei siti (e al login prima dell’acquisto)
ok, siamo in lutto per il retargeting, che sarà sempre più difficile (perché è il segnale più evidente di tracciamento negli utenti, e spesso anche una delle tattiche più apparentemente utili a breve termine, ma sostanzialmente funziona su chi è già convinto, che non dovrebbe essere l’imperativo principale del marketing. E poi pensateci un attimo: se non possiamo più fare retargeting noi, non lo possono fare nemmeno gli altri concorrenti. Quindi, fantasia e armi pari.
i follower sui social tornano a essere segnali utili di target, purché non acquisiti malamente
la mail torna a essere il sistema nervoso dell’ecosistema di marketing: aspettiamoci che le piattaforme in cloud di marketing automation, suggerimento, intelligenza artificiale facciano miracoli con i dati “nostri”, e si colleghino ai miracoli delle audience affini di Google e Facebook. Ma attenzione alle madonne che piangono, a proposito di miracoli.
le piattaforme non useranno più (molto) i dati del cosiddetto “open web” (app, siti, blog, ecc.) ma avranno comunque tantissimi dati interni, utili per noi soprattutto per evitare di sbagliare completamente l’approccio al targeting “strategico”, che è poi quello nella parte alta del funnel. Google: ogni ricerca sarà comunque tracciata, se siete loggati – e lo siete, se usate Chrome. Google ha smesso di radiografarci nelle Gmail gratuite, tanto non gli serviva più. Facebook-Instagram potrebbe avrebbe più difficoltà a capire i nostri gusti fuori da Facebook, ma avrà tutti quei gruppi a cui partecipiamo per profilarci. Come detto, il problema sarà soprattutto nella fase finale, o Facebook per performance (vedi punto 5). Perfino Amazon ci vende(rà) pubblicità basata sui nostri comportamenti e gusti. Chi ci perde? L’editoria, di sicuro. Ma forse anche per loro sarà un “andrà molto male prima di andare peggio, per poi andare meglio”
visto il punto precedente: c’è una bacchetta semi-magica. Si chiama sequencing. Che poi non è altro che il punto precedente, ma applicato ai comportamenti dentro le piattaforme. Hai visto dieci secondi del mio video? Eccotene un altro. Google dice che il sequencing batte in ogni caso le campagne isolate (tipo spot tv). Io per una volta ci credo.
c’è una modalità di targeting vecchia e quindi sottovalutata: si chiama pubblicità contestuale, che potrebbe essere interessante per l’editoria (vedi punto 8), ma anche per i brand. Vado su Giallozafferano, vedo pubblicità di pasta. Vado su moto.it vedo pubblicità di enduro. Vado su una newsletter di marketing, trovo pubblicità per marketer. Simple like that.
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Come scegliere le vincenti tra 256 possibili combinazioni di servizi e creatività?
Qualche settimana fa abbiamo parlato del test A/B per la personalizzazione dei contenuti digitali e lo abbiamo descritto come un metodo di ottimizzazione del sito Web o app mobile in cui i tassi di conversione di due versioni di una pagina vengono confrontati utilizzando le metriche risposta dei visitatori.
Ma come mettere in competizione più di due prodotti, servizi o contenuti? Magari simultaneamente e in diversi spazi sulla stessa pagina?
In queste situazioni ci viene in aiuto un altro approccio valido, per l’ottimizzazione dei contenuti: è il cosiddetto il test A/B/n (o multivariato), in cui le varianti non sono più solo due ma ‘n’, dove n rappresenta, appunto, il numero di contenuti da testare.
Sembrerebbe la soluzione ideale. Come mai è poco utilizzato?
La difficoltà principale sta nel fatto che più cresce il numero delle varianti più aumentano le loro combinazioni possibili di presentazione sulla pagina. Un esempio: se abbiamo una pagina web con quattro aree di contenuto che vogliamo occupare con altrettanti tipi di assicurazioni vita diverse, e, per ciascun tipo di assicurazione, possiamo inserire quattro possibili creatività, avremmo 256 combinazioni diverse possibili di quella pagina da testare. Se si vuole essere sufficientemente sicuri dei risultati del test, occorre mostrare ogni variante assicurazione/creatività a un campione ragionevole di visitatori. Se ipotizziamo un campione di 10.000 visitatori per variante, occorrerebbero 2,56 milioni di visitatori per l'intero test. Ciò potrebbe richiedere più di 100 giorni di test su un sito con un traffico già ragguardevole di visitatori. A quel punto, non solo si sarà perso interesse per il test ma i risultati saranno probabilmente poco attendibili e obsoleti. Questo approccio è quindi scarsamente utilizzabile da aziende e brand “normali”.
Quando non è possibile testare con rapidità e precisione tutte le possibili combinazioni, un approccio basato su un modello statistico è invece l’ideale per affrontare queste situazioni.
L’approccio SAS consente di realizzare il test multivariato A/B/n tramite la definizione di regole di esclusione per varianti specifiche, ottimizzando quali varianti devono davvero essere testate, scartando quelle non significative. Un modello statistico analizza i risultati del sottoinsieme delle varianti testate e li utilizza per prevedere i risultati per le combinazioni non testate.
In questo modo non solo si riduce il numero delle varianti ma diminuisce drasticamente il volume totale di utenti su cui eseguire il test, permettendo ai marketer di simulare l'intero test multivariato traendone in ogni caso conclusioni affidabili.
Al marketing viene sempre più richiesto di calcolare e non di scommettere. A volte i calcoli apparentemente non possono essere attuati, usando metodi “tradizionali” ma è proprio in quel caso che l’intelligenza artificiale può essere di aiuto: ogni visitatore è un valore, e non fornire il contenuto statisticamente migliore (e rinunciare quindi al tasso di conversione migliore) può rappresentare, a lungo termine, un gap concorrenziale rilevante.
Vuoi saperne di più? Leggi le info gratuite messe a disposizione da SAS.
Quiz della settimana
In settimana sul mio account Instagram si è scatenata una discreta sommossa riguardo alla modalità di inserimento delle posate sul ripiano dedicato.
Inserirle raggruppate facilitando l’estrazione, o casualmente, facilitando l’inserimento?
Io sono del primo partito, quantomeno perché tutti siamo affetti dal bias dell’esperienza finale, per cui ci ricordiamo molto di più dell’ultima sensazione di un processo nel tempo, e dimentichiamo le precedenti, quindi pensiamo «figo ci ho messo pochissimo a scaricare le posate!» e dimentichiamo lo sbatti per raccoglierle.
Non è finita qui, si è poi scatenata la battaglia di retroguardia conservatrice di coloro che hanno rivendicato il vecchio caro cestello come la soluzione. Da lì sono finito su Google, e ho scoperto che il dilemma ripiano vs cestello ha ben 20.000 pagine web che ne parlano. Ma soprattutto mi sono interessato al mercato degli elettrodomestici e in generale ai cd beni durevoli – gli italiani hanno spostato prevedibilmente i propri soldi dal consumo “effimero” all’investimento nella casa e in beni che durano, nonostante il lockdown totale di marzo e aprile; era poi uno dei pilastri della mia newsletter precedente.
Quindi, la domanda di oggi:
Nel 2020, in valore, qual è stato l’andamento delle lavastoviglie da incasso rispetto al 2019?
a) +6% b) +11% c) +25%
Da leggere
No, la birra Corona non è stata danneggiata dal virus omonimo (anzi), anche perché ha avuto il coraggio e l’astuzia di non fare niente.
I competitor più pericolosi arrivano sempre da dove meno te lo aspetti.
Il futuro del video non è emerso dalle telco o dagli studi di Hollywood, ma da un distributore di DVD chiamato Netflix; la forza dominante nella musica non aveva sede a Londra o LA ma a Stoccolma, dove è nata una piccola azienda chiamata Spotify. In ogni caso la minaccia proveniva da a) al di fuori della definizione del settore o da un concorrente affermato, b) ha utilizzato una strategia di go to market che a breve termine aveva poco senso economico o ha introdotto una forma completamente nuova di distribuzione o di prezzo c) allineata alla tecnologia delle tendenze demografiche in divenire rispetto alla tecnologia e alle tendenze che erano del passato o del presente. Il nuovo concorrente era quindi o sconosciuto, o troppo piccolo o pazzo.
Il mio pezzo per Link su come le piattaforme si stiano mangiando il formato audio: una lunga cavalcata da Radio Capodistria a Clubhouse. Ne parlo anche in 2024, programma di Enrico Pagliarini su Radio 24, stasera live e poi in podcast.
Negozianti triggeratopi 🦖
Se la vetrina è l’Instagram dei negozi, e viceversa, allora vale tutto per farci fermare davanti. O no?
Clicca qui per allargare la foto e scoprire il trucco – che spiritoso! (foto di Raffaella N.)
That’s all folks!
Come al solito: inoltrate e spargete la mail, se vi è piaciuta.
In astinenza fino a venerdì prossimo? Ci sono le stories, quasi ogni giorno.
xxx, gluca
Se sei nuovə qui, sono Gianluca Diegoli e mi occupo di consulenza su strategia di marketing e di vendita digitale, (e)commerce e D2C.
Bocconiano anomalo, proud generation X member, smontatore di panacee.
le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse. — David Foster Wallace
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Ho scritto qualche libro, ma l’ultimo («Svuota il Carrello») è quello che mi rappresenta di più. Insegno in IULM e in Master. Ho anche creato un mio corso online di marketing (e non di marketing online). Da qui c’è un 10% di sconto aggiuntivo. Ho co-fondato Digital Update e con altre due tipe più smart di me ho avuto l’idea del primo FreelanceCamp. Ho creato canvas e un manifesto per la trasformazione del marketing. Questa newsletter è la sorella gemella del blog che scrivo dal 2004.
Questa newsletter non potrebbe esistere senza Readwise (da qui hai un mese di prova gratis) e senza Refind.