[È venerdì] Il teorema della curva sigmoide, ovvero quanto adattare il brand ai format delle piattaforme
Poco e vieni ignorato, troppo e vieni ignorato
Prima di scrollare verso il resto aspetta un attimo, che ho pensato a ben due cose.
Ci sono due slot per lo sponsor prima di Natale. Ho deciso di fare una specie di asta benefica: in questo modulo potete fare un’offerta per due uscite, a partire da 400 euro totali. Il ricavato dell’offerta più alta andrà a una organizzazione che opera per la Palestina, che ovviamente indicherò appena capisco se ce ne sono, di soldi. Candidature aperte fino a inizio dicembre.
Un’altra cosa, oggi mi sento creativo: una specie di referral game per arrivare/festeggiare 20.000 iscrizioni. Si vince un gadget fisico da ufficio brandizzato [mini]marketing e molto trash (sto ancora decidendo cosa), nel frattempo ecco il regolamento: condividi dal bottone o copia il link a cui punta e mandalo via mail, WhatsApp, o come vuoi tu, se arrivi a 25 o a 40 persone iscritte dal tuo link personale vinci uno o addirittura due gadget brutti.
Sei tra le 25.000 persone iscritte qui, su LinkedIn, Telegram e WhatsApp: grazie, spero che le 4 ore per scriverla ti siano utili. E grazie a Tailoor per il supporto all’edizione di oggi. A proposito, che ne dici di presentarti nella newsletter? Dai un’occhiata alle info per sponsorizzare.
In collaborazione con Tailoor
Come cambia l’e-commerce ai tempi della AI?
È online Tech Talks: “Valorizzare l’unicità delle persone grazie all’AI”, un progetto che ho realizzato insieme a Tailoor. Niente grandi proclami, ma qualche riflessione su come l’intelligenza artificiale sta cambiando il nostro modo di fare acquisti.
L’idea della serie è di fare una serie di brevi riflessioni su come adattarci a un mondo sempre più AI-driven senza perdere di vista l’essenziale, cioè le persone.
Se ti interessa capire meglio come queste trasformazioni influiscono sulle abitudini di shopping del vostro brand (spoiler: ci sono dentro anche i Gen Z), potrebbe essere una buona idea dare un’occhiata.
Il quiz della settimana
Quale strategia di branding implica la creazione di un marchio ombrello?
A) Brand extension B) Co-branding C) Brand dilution D) Line extension
Risposta in fondo.
La sottile linea rossa dell’adattarsi o no ai social
La scorsa settimana avevo scritto questo, prendendo spunto dai Trend 2025 di Kantar:
Secondo Kantar, nel 2025, i brand dovranno lavorare per guadagnarsi l'attenzione, superando la semplice "adattabilità alla piattaforma" e distinguendosi attraverso contenuti creativi. Per esempio, l'uso di elementi distintivi come l'umorismo o la musica può aumentare la ricettività pubblicitaria, a seconda del pubblico di riferimento (umorismo per Gen X e Boomer, musica per Gen Z, mix per i Millennial).
Da qualche tempo mi sto convincendo che l’unica vera decisiva skill per digital agency, brand e social media manager nell’epoca della replicabilità, dell’AI e dell’accesso facile a contenuti a basso costo sia capire il punto magico, lo sweet spot tra essere completamente supini alla piattaforma ed essere completamente avulsi.
La scelta di dove fissare il punto ideale tra idiosincrasia e appiattimento non si trova però su di una linea retta, ma su una curva che ha un andamento a S (e forse addirittura si abbassa continuando verso destra). Ho scoperto grazie a ChatGPT che questa è una curva sigmoide descritta da una funzione logistica. Questa funzione, dice sempre ChatGPT, è comunemente usata per descrivere fenomeni che crescono lentamente all’inizio, accelerano in modo significativo e poi si stabilizzano. Interessante che venga utilizzata in biologia per modellare la crescita delle popolazioni animali e vegetali e in economia per analizzare mercati saturi e comportamenti di consumo.
Ma che c’entra la sigmoide con la strategia social del 2024 e oltre?
Mettete in orizzontale (o ascissa) il tasso (da -100 a +100) di adattamento dei contenuti di brand ai format imposti dalle piattaforme (TikTok e Instagram). Intendo per format tutte quelle imposizioni e best practice su cui le piattaforme catechizzano i brand a ogni piè sospinto, come: “TikTok richiede contenuti spontanei e genuini; Instagram predilige storytelling visivo”, “gli utenti premiano i contenuti creati dagli utenti e le collaborazioni con influencer”, “serve adattamento e reattività ai trend su TikTok”, “TikTok favorisce video brevi e veloci, Instagram offre una gamma di formati visivi più ampi ma comunque con una loro grammatica, una loro estetica”, “i primi 3 millesimi di secondo sono fondamentali” (questa me la sono inventata ora). Chiunque abbia ricevuto visite di commerciali di Meta e TikTok si sarà sentito ripetere questa novena allo sfinimento.
In ordinata (cioè in verticale) avremo invece il tasso di engagement e in generale il ritorno marginale dell’attività sulle piattaforme (da -100 a +100).
Cosa succede dunque nell’evoluzione di un brand? Si parte al 99% in basso a sinistra.
Cioè con adattamento -100, ed engagement -100. La situazione è questa: il brand è sacro, noi siamo noi e questi influencer di TikTok non sono nessuno, non depauperiamo la legacy, l’heritage e altre parole immaginifiche ma spesso vuote di significato fuori dagli uffici del marketing e del branding. Quindi i prodotti vanno resi come se fossero nell’iperuranio, i contenuti li decidiamo noi, non i format e tantomeno l’algoritmo: i custodi interni del brand (che sia fashion, automotive o altro poco importa) sono come templari a difesa del tempio, con i loro fendenti tagliano qualunque concessione alla straniera tendenza. Nel frattempo, anche quel poco di visualizzazioni organiche muore di stenti, eppure lo spot viene celebrato per il suo spessore emozionale, e con l’immaginifica ma incomprensibile trama vince qualche premio in qualche conventicola di creativi old-style.
Qualcuno, dopo anni di difesa della purezza del brand dalle cattive influenze contemporanee, si accorge che non c’è più niente da difendere, di solito perché le vendite scendono violentemente. Un report di Grande Società di Consulenza mostra che il brand è diventato irrilevante e/o sconosciuto a chi ha meno di 50 anni. “Perché non ce l’avete detto prima?” chiedono gli azionisti. “Ci avevate incaricato solo di difendere la purezza del tempio”, rispondono i templari.
Nuovo CEO. Il nuovo marketing manager. Arriva la nuova agenzia. Timidamente si fanno delle prove: ehi, vedi che possiamo fare un video verticale senza una troupe da set televisivo, un casting, e senza una modella stratosferica triste dentro, e all’heritage non succede niente!
Questa è una fase in cui basta pochissimo per avere un’impennata dell’engagement, anche perché prima era a zero. In effetti capita semplicemente che le persone interne all’azienda si accorgono che all’esterno ci sono persone sui social, e viceversa.
Allora si accelera. Si fanno talmente tanti dietro le quinte che ogni volta che sei in riunione o in shooting o in gita aziendale c’è sempre una tizia con il cellulare in mano che dice “È per TikTok!” e tutti a quel punto la fanno passare come se fosse l’arcangelo Gabriele. Ogni product manager ha l’obbligo di fare il gioco delle cinque cose da sapere sul suo prodotto. Il brand manager con un colpo di stato viene legato alla sedia e approfittando del momento sul sito vengono messi i video dei prodotti indossati su TikTok dalle clienti con l’hashtag della challenge. Siamo nel momento della trazione verticale.
Ma perché non osare di più? L’agenzia viene di nuovo sostituita, stavolta con il mago del virale, che quando annuncia il suo sbarco al brand X viene portato in trionfo dai suoi follower personali che lo seguono ovunque. Nel prossimo budget ci sarà ancora più influencer marketing, più UGC, più dietro le quinte, più trigger. E anche più linguaggio fresco: il brand ormai parla come un ragazzino che prende un kebab in piazza Verdi a Bologna. Ogni video contiene un Fit Check, un Get Ready With Me, e la povera product manager è costretta a fare le live shopping su TikTok, con molto imbarazzo.
A un certo punto, mentre ci si aspetta ancora un altro aumento vertiginoso di view, like e al seguito tutta la carovana dei KPI dell’engagement, qualcosa si rompe. L’algoritmo volta le spalle, nemmeno mettere le canzoncine di sottofondo trendy nei TikTok funziona più. Disperazione. Il product manager osa in riunione “forse è perché siamo uguali a quell’influencer di Busto Arsizio che anche lui fa le chall…” Viene zittito. “Forse i meme hanno stanc…” Viene espulso.
Il mago del virale rilancia. Cominciano a girare proposte come:
Per cavalcare il trend del “Get Ready With Me”, il brand dovrà introdurre un format in cui influencer e celebrità si preparano al mattino accompagnati da un pappagallo addestrato che offre “consigli di moda”. Ogni outfit viene approvato o stroncato dal pappagallo con versi acuti o un elegante “NO, CARRIE, ASSOLUTAMENTE NO”.
“Fashion Survival Island”: si tratta di una serie in cui micro-influencer vengono abbandonati su un’isola deserta con nient’altro che l’ultima nostra collezione. Ogni episodio vede sfide come “Trovare l’acqua usando solo accessori glitterati”.
A questo punto il CFO decide di intervenire. Fa chiudere le porte della sala riunioni dall’esterno, sincerandosi che anche “la ragazza di TikTok” sia dentro. Alla riapertura delle serrature, scoprono che la casa madre gli ha spostato la sede di lavoro nel Delaware, e nel comunicato stampa che segue si legge che per ragioni etiche non più rimandabili la marca uscirà da Instagram e TikTok.
Ok, non va esattamente così. Ma fidatevi: saper posizionare il brand su questa curva è questione di vita o di morte.
Il marketing insegnato dai negozianti
Adoro questi contrarian.
Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre.
Segnalazioni varie
La scorsa newsletter ho parlato di tendenze 2025 da smontare (in tutti i sensi).
È uscito un mio pezzo “back to reality” sulla strategia omnicanale e come perseguirla realisticamente, per il magazine di Eco Della Stampa.
Un mio articolo di commento sull’andamento dell’ecommerce nel settore food & grocery per il magazine Tendenze.
Sono stato intervistato nel podcast Percorsi prodotto da Rame con
e Anisa Harizaj.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba.
Per analizzare la strategia, l’organizzazione e il budget o invitarmi a parlare, e per essere sponsor come Tailoor basta rispondere alla mail. E se ti è piaciuta, inoltrala.
ciao,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: la risposta corretta è A) Brand extension.