🙇♀️[oh, è venerdì] Brand | Funnel | Purpose | Retail | Cacca
🙇♀️[oh, è venerdì] Brand | Funnel | Purpose | Retail | Cacca
di Gianluca Diegoli • Newsletter #35 • Visualizza online
Martedì sono salito in treno e ho preso posto sul regionale. A fianco a me, due ragazze. Una terza la raggiunge tutta trafelata e ansimante (maledicendo, testualmente, “il labirinto per uscire dall'alta velocità” – della stazione di Bologna), tossisce. La sua amica tira fuori una bottiglietta di acqua e gliela porge. Lei ringrazia e beve un paio di volte. Poi l'amica si scusa “è acqua del rubinetto di Sangio*”. E lei “ma perché me l'hai detto, ché adesso mi sembra meno buona”.
Una misura del branding di molti prodotti – quelli testabili in modo “cieco” – è quante persone troveranno più buono un prodotto sapendo che è del brand x, rispetto al test senza saperlo. Pochissimi distinguono i biscotti alla cieca. Ma in molti diranno che sono più buoni quando pensano che siano di marca, anche se stanno mangiando biscotti non di marca. Più sono numerosi, più (l'inganno di) brand è forte. You experience what you expect to experience.
*Sangio è San Giovanni in Persiceto, cittadina della provincia di Bologna, che ha dato i natali a Marco Belinelli, il campione di basket.
— Il funnel, ancora —
Dopo il B2B Day di settembre, ho meditato un altro poco su quello che sembra essere diventato la panacea di tutti i mali dello strampalato marketing di molte PMI: il funnel. Sia nella sua versione più salvifica “funnel marketing”, “segreti del funnel” (NDR: sempre, sempre, sempre quando vedete la parola segreti come offerta di vendita, scappate), che nella versione operativa “funnel advertising” (che è quella accettabile, ma da non dover prendere come un must per qualunque situazione e qualunque prodotto).
Il funnel non è altro che una rappresentazione approssimativa (esiste del valore nell'approssimare le cose, vedi le cartine geografiche) di qualcosa di estremamente complesso e variabile come il path-to-purchase, e coinvolge psicologia, punti di contatto, momenti particolari, digitale e offline. Chiunque pensa di mappare con precisione il path-to-purchase mente, non sapendo di mentire. Ci sono cose che non sono tracciabili dai cookie o dalle app. Che avvengono offline e nella nostra testa. Quindi, prendiamolo per quello che è, un aiuto alla nostra strategia, ma solo se lo è.
Mentre ascoltavo l'evento, dicevo, ho creato uno schema, rozzo.
Il problema del funnel non è in sé, è quando è religioso: come religione acceca - come tutte le religioni. Il mio schema inseriva il funnel (ciò che dipende dalle MIE azioni di marketing) in un contesto di realtà, cioè di customer journey. Le persone in molte fasi dell’acquisto dipendono più da contenuti generati da altri che da quelli generati dal nostro funnel. E usano questi contenuti più come prova per distruggere il nostro funnel che per rinforzarlo. Come scusa per non comprare, più che per comprare.
Il mio schema si inserisce e ingloba la vecchia ripartizione dei media (earned, shared, owned, paid) di cui non ho mai trovato una utilità pratica se non didascalica-descrittiva. Solo osservando il ping-pong, il flipper che il cliente fa tra tutti i puntini, e valutandone importanza, dannosità e frequenza, possiamo creare un funnel che sia la giusta imbottitura del panino generale.
Nel frattempo, una notifica di un canale Telegram mi ha mostrato le offerte Amazon del giorno, e ho comprato una giacca North Face in 23 secondi netti. Alla faccia del funnel e del tracciamento del customer journey: è tutto prezzo + brand. Come una volta acquistavamo davanti alla cassa del supermercato dopo aver preso tutto quello che ci serviva, ora internet ci mette di fronte ogni dannato secondo una cassa piena di oggetti che possiamo comprare. E addio funnel, l'animale irrazionale in noi si risveglia come davanti a un Nutella Bready.
— La purpose, purché convenga —
Ormai, se la tua azienda non salva il mondo o il clima o una minoranza etnica del Congo non si può dire all'altezza della situazione, e il CEO si vergogna un po’. La purpose è arrivata a essere una strategia di marketing talmente comune da non essere più nemmeno efficace perché non differenzia, che è uno degli obiettivi fondamentali della strategia di marketing.
La cosa più buffa, però, è che le aziende usano la causa solo quando conviene: Nike usa il purpose come differenziazione, rimanendo volutamente ostile a un pubblico che non li comprerebbe, e facendo innamorare il suo target di riferimento, mentre NBA, la lega americana di basket, è alle prese con una crisi nei confronti della Cina, uno dei suoi mercati principali sui diritti televisivi e merchandising vari, e cerca di smorzare i toni e censurare qualunque giocatore/coach/spettatore denunci la situazione dei diritti umani in Tibet o ad Hong Kong.
Questo ci dovrebbe far riflettere, prima di lasciare le cause in mano alle aziende, perché non sono disposte a perdere tutto (cit.). E dal loro canto dovrebbero prima 1) conservare il territorio in cui sono inserite 2) preoccuparsi davvero dei dipendenti 3) eliminare dal prodotto possibili danni all'ambiente. Ho visto la pubblicità della Coca-Cola a Berlino in supporto al Pride. Bellissima. Ma Coca-Cola produce circa la metà di tutto l'inquinamento di plastica marino.
Fatto il punto 3), possiamo ritornare a riempirci giustamente la bocca di purpose più alti. Per il momento lasciamolo a Patagonia (che comunque sia chiaro lo usa, sia pure sinceramente, come strategia di marketing, anche se la sua storia ci dice che spesso ha rischiato parecchio, come la famosa rinuncia al black friday, che peraltro risultò in un posizionamento unico, con tutti i vantaggi del caso).
Ne avevo scritto qui sul blog, nella versione “purpose per millennial” (Greta dico a te) e qui su Link.
— Direct to Consumer e Retail —
Lavorando come consulente tra strategia di marketing, e-commerce e retail, sono fortunato, si vivono tempi mai stati così interessanti. Negli States il fenomeno chiamato DTC è già una realtà, anzi quasi una bolla: con costi e accesso alla produzione e alla distribuzione, oltre che all'advertising mai stati così democratici, una miriade di brand iperspecializzati stanno rosicchiando quote alle grandi conglomerate come P&G ecc., trovando nicchie di mercato, comunicando con contenuti ad hoc, producendo senza particolari svantaggi nelle economie di scala. Oggi puoi farti il tuo shampoo e differenziarlo, posizionarti in una nicchia, il minimum viable audience/market/segment battezzato da Seth Godin vari anni fa, comunicarlo attraverso contenuti e influencer.
In Italia il panorama è ancora molto immaturo (anche se quando vedo lo shampoo dell'Estetista Cinica nella doccia di mia figlia penso che ci siamo), principalmente perché l'e-commerce – principale canale distributivo – è ancora sottosviluppato, e perché di conseguenza la grande distribuzione la fa da padrona facilmente con il presidio dello scaffale (invece che del cliente, che è il principale punto del mio libro, link più sotto). Inoltre c'è poco finanziamento del mercato, un DTC brand ha bisogno di soldi e non pochi.
Tuttavia sappiamo che le cose cambiano in fretta, raggiunto un tipping point. E l'esperienza degli States ci segna la strada. DTC brand che si mettono assieme in varie forme per non sottostare ai marketplace come Amazon, e scambiarsi traffico e clienti a vicenda.
La grande distribuzione americana, al contempo, si trasforma in marketplace, accogliendo prodotti venduti da terzi, come Walmart e Costco, e… vende advertising esattamente come Amazon, fondandola sulla conoscenza del cliente (che la GDO italiana si sogna, per proprie colpe ataviche). Il dato sul (e la centralità del) cliente da noi esiste solo ai convegni, ammettiamolo. Eppure l'adv è un mercato che Amazon sta sfruttando mettendo addirittura in difficoltà Google sulla ricerca diretta di prodotti.
Il digitale sta incasinando i modelli di business velocemente. Potrebbe essere che anche nello scaffale, come nei marketplace, prodotti DTC siano venduti contro una fee (o noleggio degli spazi liberi, sta già succedendo) e non acquistati dal buyer (una specie di deposito in conto vendita), e la stessa cosa negli store online di Coop ed Esselunga e degli altri. Ma per fare questo serve un tracciamento, una padronanza di modelli di business e di dati a cui non siamo lontani, siamo all'anno zero. Aspettiamo sulla riva del fiume.
— Questo box può essere tuo —
Ricordate lungo le vecchie statali i cartelloni pubblicitari 2x2 (credo) con gli inserzionisti più diversi, dal lattoniere fino alla filiale della banca locale? A volte rimanevano senza inserzionista e compariva un ditone che indicava la scritta “questo spazio potrebbe essere tuo!”. E io ho sempre pensato che un cartellone che dice sostanzialmente che è vuoto non è proprio un buon indicatore che quel cartello serva davvero.
In ogni caso, bisogna pure cominciare: quindi se vuoi sponsorizzare questo spazio purché con un contenuto utile (il prodotto non-pacco lo do per scontato), rispondi direttamente alla mail per sapere prezzo, condizioni e pubblico. Naturalmente la sponsorizzazione non elimina il rischio o favorisce l'opportunità di essere citati nella rubrica corso di markettese.
— ICYMI —
Il mio libro: Retail Omnichannel
Centralità del dato, centralità del cliente, centralità dell'esperienza: ecco i pilastri della multicanalità. Sul sito di Apogeo potete trovare anteprima gratuita del mio nuovo libro.
www.apogeonline.com • Condividi
Come lo streetwear affama il mercato
Scarsità è la parola chiave del mercato dello streetwear, soprattutto delle sneakers. Ma cosa succederà quando scoppierà la bolla?
www.linkideeperlatv.it • Condividi
— Sto leggendo —
Quanto costa una campagna di Email Marketing?
Tra costi-tecnologia e costi-uomo, la spesa dietro all’Email Marketing
Adidas: abbiamo investito troppo nella pubblicità digitale
Adidas ammette che l'attenzione all'efficienza piuttosto che all'efficacia l'ha portata a concentrarsi eccessivamente sul ROI e a investire eccessivamente nelle prestazioni e nel digitale a scapito della creazione del marchio. (CVD)
www.marketingweek.com • Condividi
Nike, Athleta, Moncler guidano nell'Omnichannel
Un'inchiesta sullo stato dell'omnichannel, come sempre da soppesare.
— Strategy school —
Da The Customer Centricity Playbook
— IPSE DIXIT —
— Il quiz della settimana —
La settimana prima di Halloween le zucche vendute in Italia
a) raddoppiano b) triplicano c) decuplicano
— Da Digital Update —
Corso di grafica per non grafici, video+aula
Impara a produrre materiale grafico per il proprio sito e i social. Guarda i video online e poi segui il workshop in aula.
www.digitalupdate.it • Condividi
— Corso di markettese —
All’interno della confezione infatti i giocatori troveranno un water insieme ad uno sturalavandini: tirando la leva dello scarico si lancia il dado e, in base al numero uscito, il giocatore deve premere lo sturalavandini sulla tavoletta del water proprio quel numero di volte. Il divertimento inizia quando la cacca spicca il volo: il primo giocatore che l’acchiappa guadagna un gettone. Solo chi ha più gettoni a fine partita verrà così proclamato vincitore.
La novità verrà promossa da spot tv al via da metà novembre per 4 settimane su canali kids, accompagnati da una campagna di conversion.
— Programmatic —
Sarebbe stato interessante provare con un messaggio vocale.
— Corso di UX —
Quando ti mettono ansia...
...per nulla.
— Negozianti —
A proposito.
Il marketing insegnato (d)ai negozianti
spotted by Giorgio
ilmarketinginsegnatodainegozianti.info • Condividi
Take care,
(se ti è piaciuta, inoltrala, che siamo quasi 4.000)
Quiz: b) triplicano.
Ti piace questa newsletter?
Lettera settimanale su marketing, digitale, strategia, retail, e-commerce.
Se non vuoi più questi aggiornamenti, cancellati qui.
Se hai ricevuto questa newsletter tramite inoltro e ti piace, puoi iscriverti qui.
Curato con passione da Gianluca Diegoli con Revue.
minimarketing® Somewhere from internet in Emilia