[È venerdì] Ho creato un post virale con l'AI
Fa un po' banana di Cattelan, ma come esperimento è stato interessante.
Ehi, prima di scrollare aspetta un attimo!
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Il quiz della settimana
Quale strategia è più indicata per un prodotto premium con un alto valore percepito e un target di nicchia?
A) Distribuzione intensiva B) Distribuzione selettiva C) Distribuzione esclusiva D) Distribuzione diretta
Risposta in fondo.
LinkedIn è il regno dell’AI
Qualche giorno fa scopro un articolo che sostiene già nel titolo che il 50% di tutti i post di LinkedIn siano più o meno generati dalla AI, soprattutto quelli lunghi ed elaborati, che sono quelli che hanno più possibilità di diventare virali, come si sa bene in giro. Siccome lì per lì non ho tempo di leggerlo tutto, lo faccio riassumere dalla AI. Il riassunto è così buono che mi viene in mente un diabolico esperimento: postare su LinkedIn il riassunto, creato dalla AI, di un articolo che parla di generazione di post con l’AI su LinkedIn.
Ho imparato nel tempo che su LinkedIn può succedere qualunque cosa: ti impegni a scrivere qualcosa di intelligente, e la reach è deludente. Scrivi una sciocchezza, e l’algoritmo nota che la cosa funziona, e la trasforma in una hit assoluta (per i miei numeri, parliamo sempre di migliaia di visualizzazioni). Può essere che mi aspetti troppo dall’utente di LinkedIn e che l’algoritmo abbia ragione. Probabilmente è così. Ma non importa, proseguiamo.
Ovviamente, per massimizzare le views lo incollo pari pari, e inserisco il link nel famigerato primo commento come ci insegnano (anche se è un garnde dipende, ne ho parlato qui).
Alla fine del post e nel commento con link inserisco l’informazione/disclaimer che il post è stato generato al 100% dalla AI.
Prevedo che non succeda niente di che, anche se inconsciamente, dopo decenni di internet, so che a) parlare male di una piattaforma (o male di una piattaforma rivale) su quella stessa piattaforma funziona sempre b) accusare implicitamente metà della popolazione di quella piattaforma di usare la AI, e quindi di barare, potrebbe essere un trigger point di pregio.
Come nella più remota delle ipotesi succede un disastro: quel post che mi aveva richiesto circa 20 secondi in tutto è diventato il mio post con più successo di tutto il 2024, e al momento è arrivato a superare le 25.000 visualizzazioni.
Mi sono sentito come penso si senta una banana di Cattelan. Ero un truffatore di views o un artista geniale che aveva creato un’installazione digitale? E il lamento “ci potevo riuscire anche io” dunque poteva essere applicato anche stavolta, come per l’arte contemporanea?
Qualcuno mi scrive nei commenti che era stupito (quasi deluso!) per quella strana scrittura anonima, impersonale, priva di spigoli, conoscendo come scrivo di solito. Ero impazzito? Perché avevo scritto “tuttavia”? E quell’inciso "non è priva di critiche" poi?
I post “virali” di LinkedIn, come tutti i contenuti virali, vanno per definizione a finire a contatto con persone che non sanno chi sei e (mi pare) manco gli interessa, e quindi non riconoscono il contesto originale o il mood dell’autore con cui questi contenuti devono essere letti. Questi non hanno colto minimamente che quel post era una banana attaccata con lo scotch. L’hanno mangiata e basta.
Moltissimi dunque non conoscendo la mia scrittura abituale (che esercito quasi solo nella newsletter, oltre che in “Svuota il carrello” e nel mio prossimo libro) non se ne sono accorti e, come il 90% che non ha letto il disclaimer in fondo, l’hanno semplicemente trovato a) un articolo interessante, b) nella media, o c) trascurabile e stop. Un normale mediocre articolo di LinkedIn.
Qualcuno ha commentato in modo elaborato, ma scrivendo onestamente che anche il commento era stato messo in bella copia da ChatGPT, a partire da tre o quattro parole chiave. E che questa era vera libertà espressiva per la classe labour, ingegneristica, meccanica di LinkedIn, abituata a lavorare di ferro e numeri e non a scrivere. (Secondo me il ragionamento ha punti a favore.) Altri hanno barato, commentando elaboratamente ma con dei “tuttavia” sospetti. Ma chi sono io per giudicare? Io ci ho fatto il post con l’AI, addirittura.
Il problema, come dice
, non è che ChatGPT scriva impersonalmente bene, è che scrive meglio degli umani impersonali di LinkedIn. , che del resto è una brava Data Driven Comedian, piazza la punch line vincente (ehi, Chiara Galeazzi, hai visto che ti ascoltavo, al corso?) su di un setup che avevo involontariamente creato: “I post scritti con l’AI si riconoscono perché non iniziano con una lamentela.” Qualcuno ha rifinito il concetto scrivendo “o con una auto-lode”. Altri hanno semplicemente detto che se glielo chiediamo, ChatGPT farà anche quello.Avevo preso in giro l’algoritmo? O in realtà ho eseguito quello che voleva l’algoritmo, che se ne frega di chi scrive ciò che triggera e quindi circola di più? A questo punto, pensavo, perché LinkedIn non se li crea da solo? Di certo LinkedIn non se ne accorge, o molto probabilmente non gli interessa.
Poi ci ho pensato, al perché. Non se li crea da solo perché il fatto di avere una storia, un corpo, un passato, una persona più che una personalità, più che una reputazione, nell’epoca in cui le macchine scrivono meglio degli uomini, è l’unica risorsa che LinkedIn ancora può sfruttare da noi, dal fatto che stiamo qui a lodarci, a creare post anonimi, a lamentarci in modo AI-generated. LinkedIn ha bisogno (perché noi ne abbiamo bisogno) di sapere che in questo oceano di mediocrità almeno noi utenti siamo in carne e ossa, anche che se le nostre parole sono artificiali. A quelle ci ha/siamo abituati, ce lo aspettiamo.
La conclusione del pezzo originale è probabilmente il 90% dei motivi per cui vale la pena leggerlo tutto.
Il marketing insegnato dai negozianti
Qui Roma.
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Segnalazioni varie
La scorsa newsletter ho parlato di un’altra presunta morte del funnel, che però fa come i lombrichi, se lo tagli se ne formano due o tre.
È uscito un mio pezzo “back to reality” sulla strategia omnicanale e come perseguirla realisticamente, per il magazine di Eco Della Stampa.
Ho partecipato alla trasmissione Laser della Radio della Svizzera Italiana, condotta da Rachele Bianchi-Porro, sulla regressione infantile collettiva consumistica dei calendari dell’Avvento: il titolo della puntata è “Finestrelle sull’infanzia”. Si ascolta qui.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba.
Per analizzare la strategia, l’organizzazione e il budget o invitarmi a parlare, e per essere sponsor basta rispondere alla mail. E se ti è piaciuta, inoltrala.
ciao,
gluca
Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: la risposta corretta è C) Distribuzione esclusiva. Kotler dixit: la distribuzione esclusiva limita i punti vendita, rafforzando l’immagine di lusso e unicità di un prodotto premium, creando un valore percepito più alto e mantenendo il controllo sul posizionamento.