Tutte le newsletter vi abbandonano ad agosto, con la scusa che VOI dovete staccare, ma qui no. Sfruttare le debolezze della concorrenza del resto è una prerogativa del marketing. È una delle poche discipline umane, assieme allo sport, in cui prendersela con i più deboli è parte delle regole, e del divertimento. Poi se sei troppo grosso e te la prendi con i piccolini arriva l’antitrust (nel marketing, nello sport nessuno dice niente), la quale di solito dice al grosso “Cattivo! La prossima volta ti metto in punizione”, poi non succede niente, come nel caso di Google Shopping e dei comparatori1. Ma non divaghiamo troppo.
Ci sono poche cose usate, discusse, sopravvalutate o sottovalutate nel marketing come la memoria. Quella individuale, quella collettiva, non fa differenza, tutto fa brodo (avete notato come certi proverbi sembrino creati da agenzie milanesi? Ci torno su).
Il brand alla fine è come un bambino che ha l’ossessione di poter essere dimenticato in autogrill dai genitori (quando è giovane), dagli amici del calcetto (quando è maturo) o dai figli (quando è uno di quei brand vetusti, anni ‘80).
Solo ad agosto su questa newsletter scrivo la verità, cioè che, alla fin fine, il marketing si nutre di miserie umane2 – oh, intendiamoci, qualcuno le deve pur nutrire, meglio un 3x2 che il tunnel della droga – però lì battiamo: vendiamo viaggi per scappare da una città/vita/famiglia in cui siamo incastrati (e in cui magari abbiamo comprato una casa pagando un mutuo quarantennale solo per non vedere l’ora di andarcene), compriamo TV enormi (avviso a quelli che non hanno la TV: la gente ha la TV) per farci viaggiare low cost, vendiamo pozioni magiche (lo dico come metafora come se fossi un sociologo, ma anche come fossi Wanna Marchi) per rendervi quello che pensate di non essere, e grassettiamo quello che pensate di non essere in modo da farvi comprare la pozione magica. Ma prima di accusare il marketing per ogni vostra mancanza: la pubblicità non fa che ricordarvi quello che già volete3, quindi la colpa di tutto è vostra, ciao.
E una delle principali disfunzioni e miserie umane è appunto la memoria: voi umani (e umane) fate le liste della spesa, noi della GDO vi ringraziamo per il lavoro che fate per noi (oltre a venire VOI da noi, fare la spesa VOI e a volte perfino la cassa VOI,) ma poi quando siete da noi vi ricordate che vi serviva assolutamente tanta altra roba. Si chiama memoria “aiutata”, una specie di “vi sblocco un acquisto – che non volevate davvero fare”. Io personalmente ho pochissima memoria spontanea, moltissima capacità di memoria “aiutata” (differenze e termini corretti qui4). Non ricordo i nomi delle persone se non li associo (ma di solito mi dimentico di associarli, ovviamente) a qualcuno/qualcosa di ben conosciuto (appunto). I miei libri dell’università sembravano stele di Rosetta: pagine costellate di simboli che mi ricordavano cosa c’era scritto in quel paragrafo – soprattutto nel librone di marketing, un tomo da 700 pagine da ricordare tutto assieme. Per fortuna nella vita adulta ci trasformiamo da studenti in consumatori, e quindi grazie a quella cosa meravigliosa chiamata valuta possiamo ricordarci le cose solo quando ci viene voglia, e poi hanno inventato Google e ChatGPT e via, basta ricordarsi una mezza parola poi fanno tutto loro. Nel marketing quei simboli strani sono i loghi. Ogni logo ci deve ricordare quanto è stato importante per noi in passato quel brand (ahaha), poi ogni tanto arriva il matto e siccome da piccolo gli piacevano le X le mette ovunque. Però simpatico dai, che sennò ad agosto le fanzine di marketing non saprebbero che scrivere. Musk è un punk del marketing, pensa che un logo si possa cambiare così, facendoci perdere il segno nella pagina. (Comunque siamo noi che perdiamo tempo a leggere e scrivere newsletter e lui è Musk: fino a prova contraria, per le leggi del business e quindi del mondo, ha ragione lui).
La memoria, dicevamo. “La gente si ricorda di noi?” è uno dei principali crucci e scuse del marketer. “Ah, non abbiamo sufficiente brand awareness”, siamo stati dimenticati, e via di sondaggi per dimostrare quello che volevamo sentirci dire. In molti casi è vero ma non determinante. Della maggior parte dei brand, così, spontaneamente, non si ricorda nessuno, e non è detto sia questo gran male. Però i brand bravi mettono dei simboli a margine della pagina, sono presenti nello scaffale, nelle strade, su Google per illuminare la nostra vita di svariati “ti sblocco un acquisto”. L’essere umano è come il gatto. Non ha davvero fame, però se passa l’uccellino si attiva (un po’ come Musk, in effetti). Solo che l’essere umano – contrariamente alla vulgata – è molto più pigro del gatto, e quindi la friction si deve abbassare, il prodotto deve venire da te, il delivery ecc. ecc.
La memoria è perfino disdegnata spesso dai creativi e dai marketer che le vanno dietro. La memoria si costruisce ripetendo (ogni bravo studente lo sa) le stesse cose più volte. E poi robe semplici da ricordare, concrete: i proverbi si sono tramandati nel tempo senza bisogno di metterli su dei cartelloni in stazione centrale perché sono facili da ricordare perché non rendono astratte cose materiali (come fanno i cattivi creativi) ma proprio perché rendono materiali cose astratte. E poi hanno rime e allitterazioni, con cui nessuno ha mai vinto (credo) premi a Cannes. Chiedete ai poeti classici. Questi poeti sono marketer anche loro, dopotutto, anzi della peggior specie. Cocci aguzzi di bottiglia di ‘sta cippa.
Vabbè, anche troppo per agosto, ciao. Non staccate troppo il cervello, che poi non si sa mai se si riaccende. Almeno, io ho paura che.