E niente, martedì scorso (ho scoperto che i libri per qualche motivo non escono mai di lunedì) è uscito finalmente il mio libro giallo – giallo nel senso che ha la copertina gialla. Il percorso di scrittura, almeno per me che non arrivo (diciamo così per semplicità) dal settore culturale/editoriale, non ho fatto la Holden, non posso vantarmi di aver studiato con Eco e nemmeno frequentato un’alta scuola di scrittura (ma qualcuna piccola sì, grazie, loro sanno chi sono) ma che arrivo dal mondo spietato dei numeri e del fatturato, è ascrivibile a un infortunio sul lavoro, ma non pagato dall'INPS, in quanto libero professionista. Senti in ogni singola pagina che finisci di scrivere che potresti guadagnare cento volte di più facendo qualsiasi altra cosa. Il neoliberismo – direbbe un pensoso long form – è entrato in noi, ma in me c’è da sempre (e chi leggerà il libro un po’ ne capirà i motivi).
Eppure, nonostante la fatica mentale e la consapevolezza di andare contro natura rispetto al ROI (e nell'epoca in cui ChatGPT scrive meglio di noi, anche se poi tende a scrivere sempre “non è semplicemente questo, è invece quello”; dovrebbe andare alla Holden pure lui), scrivere è liberatorio come processo in sé, e venti anni di blog e poi sei di newsletter probabilmente dovrebbero avermelo insegnato. Dà dipendenza, come tutti i culti.
A volte (metafora giusta per sottolineare di nuovo la mia provenienza, avulsa da alte scuole di scrittura) mi sembra, scrivendo, di liberarmi, esattamente come sopra il WC.
E per rimanere nella metafora, in più sai (perché se non lo pensi sei pazzo vero) che quello che produci (aehm) non è che sia poi tanto diverso da quello prodotto dagli altri. Pajtim Statovci lo sintetizza, balcanicamente ottimisticamente: "Scrivere in sé non ha niente di bello, al contrario è una faccenda imbarazzante e dolorosa, vuol dire costringersi a dire cose che altri hanno già detto molto meglio". Un ringraziamento particolare a Dario Rossi, il mio editor, che ha reso molto migliore il libro (come anche per Svuota il Carrello) di come sarebbe stato, oltre ad avere spesso idee di marketing librario migliori delle mie (ho creato un mostro, credo).
Insomma, chi scrive è pagato nulla per lavorare, ma lo fa lo stesso. È sfruttamento? In parte sì (UTET, sto scherzando, è volontariato). Ma parte della cosa confina con la propria esistenza e quella dei lettori. Grazie di nuovo Stephen King che mi conforti (“Alla fin fine, il nocciolo della questione è arricchire la vostra esistenza e quella dei lettori”). E così sia.
In fondo, scrivere serve anche e soprattutto a chi scrive, per “sapere che cosa pensa, che cosa guarda, che cosa vede e che cosa questo significa”, diceva Joan Didion. Una volta dissi a qualcuno che questa newsletter era per me: ma lui o lei non ci credette.
Quindi ok, è stato uno sbatti, ma sono contento.
E poi per chi è sto libro? Non ne ho idea, e già questo è un'eresia di marketing. Ma di solito mi viene naturale una stratificazione di livelli di lettura che accontenta sia chi vuole saperne di più sotto l’ombrellone che chi vuole imparare qualcosa lateralmente, ma in entrambi i casi chi vuole leggere sorridendo. Non saprei dire come si fa: insomma, copio da Vitaliano Trevisan, “scrivere, sapevo fare, ma non sapevo come – cosa che so e non so nemmeno adesso”
Insomma, “compratevi sto c4zz0 di libro giallo!” direbbe sempre (forse) Stephen King. Magari andate in libreria (o mandate un WhatsApp alla vostra libraia preferita, sarà più veloce di Amazon) o in edicola (si può prenotare, l'ho scoperto da mio padre che è andato a chiedere all'edicola del paesello), così TikTok non se ne accorge (lo dico per i complottisti dell’algoritmo, a cui consiglio il libro, per avere conferme che SÌ CI SPIANO – ma non a voce).
Non hai capito/non sai nulla di questo libro? Ci sta. Qui sotto uno spiegone per capirne forse ancora meno, ma che fa ridere, credo. Inizia così:
Questo libro non ti giudica, %nome%. Ti accoglie. È un piccolo tappetino emotivo su cui stenderti mentre ti dici che no, tranquillo, non sei parte di un culto. Che ti perdona se ti spalmi la skincare coreana da 14 passaggi, corri all’alba, e posti stories sulla tua “nuova energia vibrazionale”. Ti assolve pure se sei attratto da una insensata dieta intermittente o dall’andare a una festa sedicente celtica. È un libro perfetto che ti fornisce comode conferme sulle tue scelte di consumo e ti dà solide basi scientifiche per dichiarare che sono gli altri ad essere impelagati nei culti del marketing, ma tu, che ti svegli alle quattro per andare a correre no, tu stai solo facendo sano sport. C’è qualche fondamento scientifico per ciascuno, oggigiorno. Anche per chi pratica il biohacking, forse.
Continua qui:
Se proprio vuoi una fonte ufficiale, ecco come lo descrive “La lettura” del Corriere della Sera.
Per te che hai avuto la pazienza di leggere fino a qui, ecco di seguito qualche pagina del libro, ho scelto un pezzo abbastanza autoconclusivo. È ambientato alla fiera del wellness di Rimini.
QUESTA È SPARTA!™
C’è solo l’imbarazzo della scelta, oggi, per chi vuole sudare e trasformarsi. A Rimini, tra gente che fa flessioni a testa in giù, si eccita per competizioni per me surreali di bodybuilding, mangia crêpes healthy, morde barrette e beve acqua addizionata di proteine, mi cade l’attenzione sulla Spartan Race. Dalla tribuna la scena sembra un misto tra una produzione cinematografica e un reality show estremo: vedo sfilare gente coperta da strati di fango, come una versione post-apocalittica di Giochi senza frontiere. La gara è una sequenza di ostacoli che a me sembrano insuperabili: muri da scalare, corde da arrampicata, pozze gelide in cui dover passare e perfino un muro di fuoco (giuro).
In tribuna lo stato d’animo generale varia da «ma chi glielo fa fare?» a «forse dovrei provare anch’io». Le persone seguono chi inciampa e lo incoraggiano a ripartire, tra un video con la fotocamera e un selfie. A intervalli regolari lo speaker infiamma le folle con frasi studiate: «Non è una gara, è coraggio vero!». Per fortuna tutto si risolve in sorrisi che si aprono su volti imbrattati, pronti a baciare la medaglia secondo me troppo piccola dato l’eroismo appena dimostrato. Per loro, oggi, deve essere come aver conquistato l’oro a Parigi. E per il pubblico sui gradoni sarà una storia da raccontare agli amici rimasti a casa.
Mentre sto per uscire dalla fiera, l’attrazione infantile per la divisa mi fa avvicinare a un’area presidiata (pacificamente) dall’esercito italiano. Alla fiera RiminiWellness 2024, il Military Fitness fa il suo «debutto da star» (è la frase del giornale locale, ho googlato per capirne di più). Questa è l’area dedicata al 186º Reggimento fanteria paracadutisti “Folgore”. Gli istruttori, in divisa mimetica, guidano una folla di aspiranti paracadutisti della domenica in un percorso che comprende: sollevare casse di munizioni (immagino finte), ribaltare pneumatici e strisciare sotto tunnel ricoperti di edera finta che prova a ricreare un’atmosfera da caschi blu in missione.
Il tutto dura trenta minuti, scanditi dagli speaker di Radio Esercito (non ne conoscevo l’esistenza), che alternano cronaca di quello che succede a riflessioni come: «Non è il corpo a mollare, ma la testa». I partecipanti escono stremati, ma sorridenti. Una partecipante in leggins fluo, stravolta ma felice, mi passa accanto e si rivolge all’amica: «Bello. Spero di aver perso almeno duecento calorie». Qualcuno si ferma per una foto con gli istruttori della Folgore.
Mi stupisco del successo del Military Fitness. Forse ci serve un contesto assertivo, in tempi di certezze vacillanti? Mi chiedo che cosa ci (forse: li) spinga a provare sempre nuove discipline, con sempre più experiences e storytelling all’interno. L’effetto adrenalinico del bungee jumping unito alla fatica endorfinizzante, con alle basi una narrazione eroica, anche se posticcia, e cameratesca: è questo il valore di mercato del turbo fitness?
Mentre lascio Rimini mi trovo a pensare a uno scenario distopico in cui metà dell’umanità ha deciso di virare verso il culto dello sforzo estremo, l’altra metà sta adorando il culto del mettere in pausa rivolgendosi allo yoga e alla mindfulness (sì, è il gancio per il prossimo capitolo). In mezzo al guado non rimarrà più nessuno: o forse solo io sulla mia ellittica seminuova di Decathlon comprata al Black Friday.
Mi domando anche se un giorno vedrò Hyrox alle Olimpiadi, magari quelle del 2036. Sarebbe certo più divertente della parata inaugurale.
Offline invece lo trovi in tutte le librerie, al peggio su prenotazione via WhatsApp. O su Bookdealer, direttamente dal sito alla vostra libreria locale.
Grazie alla solita accurata revisione di Daniela Bollini.
Ci si legge venerdì prossimo.
gluca
I’ve got it! 🤗
Evviva! In bocca al lupo