[È venerdì] La frammentazione è il male oscuro
Perché tre giocatori scarsi non valgono uno forte, come siamo arrivati allo sbriciolamento del marketing e come riconoscerne i sintomi.
Questa edizione della newsletter esce grazie al fondamentale supporto di Luca Faloni. Luca Faloni è un'azienda di abbigliamento (maschile, per il momento) e accessori made in Italy che unisce qualità dei materiali e artigianalità nelle lavorazioni. Dopo aver intervistato il fondatore Luca Faloni in una newsletter di alcuni mesi fa, ora è il brand stesso che "veste i panni dell'intervistatore" proponendovi alcune domande per conoscervi meglio.
Cominciamo.
Now TV ha inserito gli stessi mercanteggiamenti suq-like di Sky («solo per te, prossimo mese, tutto a un euro!»), ma ricopiati online al momento della richiesta di cancellazione degli abbonamenti. Good try, but la stessa friction imposta non funziona uguale, sul digitale, si sa.
Aggiornamenti dal noleggio auto a lungo termine: mail con «Gianluca, benvenuto nella tua nuova area clienti». Click. “Il portale non è attualmente disponibile per interventi di manutenzione straordinaria. I contenuti torneranno fruibili a breve. Ci scusiamo con l'utenza per il disagio.”
Aggiornamenti dalla dieta: il complesso algoritmo imposto dalla dietista mi ha fatto aprire un foglio Excel per tenere traccia delle interrelazioni e dei limiti alla carne e al resto. Ma non sono soddisfatto (del tool, non della dieta). Ah, sapessi programmare (o farlo fare a ChatGPT, appunto).
Il quiz della settimana:
Nel 2022, le entrate del brand Air Jordan hanno contribuito al fatturato Nike in misura pari a:
a) circa il 7% b) circa il 10% c) circa il 21%
Risposta alla fine, come al solito.
Circa 14.500 persone sono iscritte a oggi alla newsletter: grazie di essere qui, spero che le ore passate a scriverla vi siano utili.
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In collaborazione con Luca Faloni
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Se il marketing si sbriciola tutto
L’altra sera stavo guardando Air, il film sulla nascita del mito-brand Air Jordan, e sì, carino il film, depuratelo di tutto il mito-storytelling-viaggio dell’eroe dell’America che non si arrende mai, e ci troverete una perfetta metafora per la newsletter del venerdì, cioè questa che state leggendo.
All’inizio del film il malconcio e sotto-considerato team del marketing delle scarpe da basket in Nike si trova sul baratro. Nessuno indossa le scarpe Nike in NBA, il massimo campionato mondiale e quindi nessuno le indossa fuori, come è legge di ogni settore sportivo o quasi.
Come ogni anno, i nuovi giocatori NBA usciti dai college devono scegliere una scarpa-sponsor. Ogni anno Nike sceglie tre giocatori di secondo piano, perché – indovinate – non c’è budget perché le cose vanno male, e allora siccome non c’è budget le cose vanno ancora più male, e via così.
Il nostro eroe ha dunque 250.000 dollari a disposizione e deve suddividerli su tre giocatori scarsi, per limitare il rischio e sperare che qualcuno dei tre superi le aspettative. Il che ovviamente non accade mai. Ma Sonny (il responsabile delle sponsorship), trascinandosi dietro il riluttante marketer Strasser decide che – al diavolo – tanto vale fare all-in, giocarsi tutto con un nome: quel nome è ovviamente Michael Jordan e il seguito è più o meno noto.
Perché è una metafora? Perché oggi il male oscuro del marketing (dalla multinazionale alla cooperativa sociale) è la frammentazione. Sonny sa che spendere su tre giocatori mediocri non equivale minimamente ad avere un campione, anche se la spesa è la stessa. Winner takes it all, cantavano gli Abba (credo).
Ma come, non ci hanno detto di essere ovunque? E chi? Stranamente spesso chi aveva interesse a farci stare lì: big tech, agenzie, centri media, ecc. ecc. E poi, FOMO always works. Del resto, per molto tempo “in quanti canali social sei presente” era considerato un proxy di avanzamento nella maturità digitale, anche in ricerche prestigiose.
Ma molto spesso ci bastano gli stimoli-inviti dal basso-alto-fianco al nostro interno, che non la finanziamo la sagra della salsiccia? Sai ci sono due clienti che… Perché spesso la spesa di marketing non ha lo scopo di avere impatto, ma di dimostrare il proprio potere e visibilità in azienda (taccio su altri obiettivi). La divisione obsoleta tra comunicazione, marketing, digital è un altro disastro, diciamolo chiaramente. Già gli obiettivi aziendali si perdono in una costruzione del budget medievale, e poi arriva la frammentazione in ulteriori micro-attività.
Oggi si è dimenticato l’ABC del marketing quando spendiamo i soldi. Abbiamo scordato che:
c’è sempre un punto di irrilevanza da superare, prima del quale non importa se spendi uno, due o tre ics euro. È comunque irrilevante, l’impatto. Qualcuno ha scritto che non puoi fare un grattacielo con tre piani, perché non è più un grattacielo.
c’è un punto in cui se spendi un euro in più questo è sprecato (perché stai oberando il target, perché stai andando su target poco ricettivi, ecc.), ma a quel punto ci devi arrivare. Se non ci arrivi, stai sprecando opportunità. Qualcuno ha scritto che due pentole a 50 gradi non bollono la pasta.
esiste un forte effetto di economie di scala: sulle persone (tempo, soldi, stress, costo opportunità) che gestiscono i canali, gli eventi e le attività, sul monitoraggio dei risultati. Se spendi in cinque piccoli canali/attività, non li/le monitori o spendi più di monitoraggio che di guadagno di ROI. Queste spese di gestione, o semplicemente perdite di focus, spesso nascoste, alla fine costituiscono la maggior parte degli overhead e abbattono qualsiasi risultato, quando potrebbero essere usate in modo più produttivo.
la frammentazione si mangerà (perché le persone oberate “sono già pagate”, mentre la pubblicità sono soldi cash, mi disse un manager) le risorse che avremmo dovuto investire in media, per distribuire contenuti e advertising.
la frammentazione produce entropia (per esempio sulla coerenza di brand) al ritmo del quadrato dei canali e progetti singoli. Tre canali? Entropia: nove. Cinque canali? Entropia: venticinque. Anche perché spesso agenzie e dipartimenti diversi sono tenuti assieme da labili PowerPoint su tono di voce e user personas teoriche. Mettici che poi spesso le agenzie competono tra di loro, e il finale è scritto.
la frammentazione va spesso di pari passo con l’ossessione a non ripetersi. La ripetizione invece è l’arma più efficace del marketing, anche se aborrita da creativi e commentatori online. Orrore: la stessa campagna dell’anno scorso, e allora quest’anno facciamo il podcast, l’anno prossimo un metaverso a caso, e così via. Tre mesi di Tiktok, magari. Di tutto questo non rimane niente.
la frammentazione porta a uno spreco di contenuti inenarrabile (e mai narrato infatti): piani editoriali rivisti nove volte a post, contenuti evergreen abbandonati perché ignoti a tutti gli altri in azienda, agenzie che devono produrre a ritmo serrato (scaricandoli sui propri dipendenti) contenuti mediocri ma numerosi e disparati (e il video in verticale, e la card per Instagram, e orizzontale per YouTube, ecc.). La coperta è corta.
Alla fine, ci troveremo con una organizzazione stanca e frenata, in cui le persone si troveranno a gestire il marketing nello stesso modo in cui studiava mio figlio, subissato di notifiche WhatsApp (il numero di micro-progetti da monitorare e gestire). Alla fine non farà bene nulla, e avrà voti mediocri, il marketing dico. Poi con un colpo di reni finale (leggi performance marketing-ROAS!, le interrogazioni last minute nella metafora scolastica) cercherà di risolverla così. Ma poi non funziona quasi mai.
Serve un giardiniere cattivo (ok basta metafore per oggi) per cancellare cose, molto data-driven, con obiettivo condiviso di medio termine. Che calcoli – anche approssivativamente – per ogni canale/progetto overhead, punto di irrilevanza, costo opportunità, KPI di risultato e impatto, magari facendo il test di Markov – quello che dice che togli qualcosa e poi noti il risultato. Poi possibilmente un dittatore illuminato che lo incarichi, che gli dia un obiettivo unificante, che non si faccia commuovere dalle sagre delle salsicce e che tagli, tagli, tagli, scoprendo sicuramente che nella maggior parte dei casi non succede proprio nulla.
Link e video della settimana
Amazon fa la banca e presta soldi ai merchant, paghi quando vendi.
Se avete letto il mio libro niente di nuovo, ma qui c’è un riassuntone di come le politiche di prezzo manipolano chi compra (me incluso).
Per GS1 ho scritto un articolo su ecommerce e prodotti di largo consumo, dopo aver partecipato a Netcomm e Linkontro.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie di nuovo a Luca Faloni per il supporto.
Per commenti, negozianti geniali, dubbi aziendali o sponsorizzazioni di questa newsletter basta rispondere a questa mail – e sì, rispondo a tutte le mail.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i (nuovi!) separatori d’artista.
Quiz: è b). La percentuale è circa il 10% (fonte).