Questa edizione della newsletter esce grazie al supporto del brand Luca Faloni, che ha deciso di fare un’ads originale. Scorrete per vederla.
Pare che Polaroid abbia così tanto tempo da perdere da usare gli avvocati per far chiudere cambiare nome al blog/podcast musicale del mio amico Enzo “Polaroid”, che lo teneva da 22 anni e il cui nome era in realtà dedicato al libro Memoria Polaroid di Douglas Coupland, il quale si dovrà – immagino – aspettare una lettera di cease and desist a sua volta. Grande colpo di instant marketing davvero.
Pare che qualcuno abbia messo gli scritti dei santi dentro la AI (ed è quindi possibile chattare con Padre Pio, o quasi) e l’Avvenire non l’ha presa bene. Mi permetto rispettosamente di fare presente che la Chiesa dovrebbe fare pulizia di tanti siti (fisici anche) che sfruttano la credulità popolare, prima di occuparsi di AI, ché di allucinazioni non-AI se ne sono viste negli anni parecchie in giro. Da Midjourney a Međugorje, insomma.
Pare che Google in GA4 toglierà le attribuzioni che non siano last-click o generate dalla propria AI per valutare le conversioni: ovviamente ci dobbiamo fidare di quando il controllore è anche il controllato che è anche il venditore (di pubblicità).
13.498 persone sono iscritte a oggi alla newsletter: grazie di essere qui, spero che le ore passate a scrivere questa newsletter vi siano utili.
E da oggi, Substack ha Notes, una specie di Twitter dove metterò spunti più brevi ma sempre inerenti ai temi di questa newsletter.
Come sempre, per sponsorizzare questa newsletter, rispondi alla mail e chiedi. Anche oggi c’è una sorpresa che potrebbe interessarti, comunque.
Il mio tagliaerba non te lo presto
Vi ricordate gli eventi di un decennio fa sulla cd sharing economy? Tutti a dire che non c’era bisogno di possedere le cose, bastava usarle per il tempo e il costo necessario, e che così saremmo stati tutti più felici? Anche più sostenibili, ma allora il tema non era così di moda. What’s mine is yours, per citare un famoso libro.
Qualche giorno fa mi interrogavo, guardando il mio onusto e malconcio tagliaerba elettrico, comprato per poche decine di euro molti anni fa, se fosse giusto rottamarlo, tenerlo ancora un po’, rivenderlo a gente ancora meno choosy di me in fatto di tagliaerba (ce ne saranno?) e che magari con un colpo di viti autofilettanti o (chissà!) di stampanti 3D lo possano rimettere come nuovo. In realtà stavo anche pensando a due cose: la 1) cercare dei tagliaerba elettrici autonomi, tipo un Roomba da esterno, chiedendomi se esistono delle versioni miniaturizzate di quelli tronfi che fanno gongolare gli imprenditori quando tagliano perfettamente l’erba di fronte alla sede aziendale, e se il loro impatto ambientale è migliore o minore di quello attuale (la risposta la so, ma non la voglio sapere). Ce ne sarebbero di solari (ma il costo ambientale dei minipannelli prodotti a Shenzen?). Ma io ho i pannelli solari sulla casa, e quindi chissenefrega, ma le batterie al litio? Non se ne esce. So che alla fine la mia pigrizia vince sempre, se non fermata nel customer journey da altri stakeholder. La 2) è invece – da cui questa newsletter – riprovare quelle app da new economy in cui le persone mettevano in comune gli attrezzi da giardino e altre carabattole. In fondo sono nella una volta progressista Emilia.
Ma niente, qui nessuno vuole condividere con me il suo tagliaerba, al massimo lo rivende, e quindi potrei chiedere ai vicini di comprarne uno in due o in tre o anche in quattro. I costi psicologici e di tempo di transazione mi fanno sudare solo al pensiero: i vicini non hanno bisogno di soldi e magari sono gelosi del loro tagliaerba lucidato e tenuto sotto cappottina in inverno, oppure uno lo vuole col filo, l’altro a batteria, l’altro a motore – perché fa più rumore. O potrei addirittura chiedere al vicino più facoltoso di prestarmi (o noleggiarmi) il suo tagliaerba-trattorino a motore che fa sembrare il sabato mattina una gita ai campi di Wimbledon. Piuttosto taglio il prato con le forbici, penso.
Come in un’Italia in Miniatura, nel mio microscopico prato si consuma il fallimento della sharing economy, quella buona, quella pura, quella delle buone intenzioni prima dei venture capital e del Nasdaq. I costi di transazione, quelle “cose molto umane” che gli ingegneri del business plan non riescono a preventivare. Sì, perché se ci fate caso, la sharing economy è diventata una marketplace economy, in cui i sentimenti sono ormai aboliti e il soldo più facile da canalizzare. In cui Airbnb non affitta più case o camere temporaneamente vuote, sono appartamenti strutturati – a volte acquistati – proprio per quello scopo. In cui il tempo libero e l’auto delle persone (l’Uber prima maniera) si è trasformato (negli USA) in un sottoproletariato low-cost e (in Italia) in un sostituto dei taxi, ma fondamentalmente simile. TaskRabbit era fatto per scambiare e fluidificare i lavoretti, ma si è trasformato in un marketplace del lavoro che sfugge a ogni regolamentazione sul salario. C’è poi il mondo dell’usato dell’abbigliamento, che ha vivacchiato da sempre tra portali di annunci e gruppi Facebook locali, per poi essere colonizzato da Vinted. Chissà se è davvero sostenibile scambiarsi milioni di pacchi? In ogni caso Vinted è finanziata dal capitale di rischio, mica espressione del mercatino locale solidale. E parliamo poi del prestito peer to peer: nessuno è riuscito davvero a tenerlo in piedi. In tutti i casi, il gatekeeper o è morto (SnapGoods per i tagliaerba & c., l’unico esempio di startup con più citazioni nelle slide che utenti), o è in cattiva salute (LendingClub, per i prestiti, e ve la ricordate Zopa?), o è diventato un agente moloch capital-monopolistico del settore (Airbnb, Uber, ecc.), che ha (per motivi più o meno condivisibili) solo nella regolamentazione pubblica l’unica concorrenza.
Lascio ai più competenti di me capire cosa è buono per la società vs specifici segmenti di persone interessati negativamente dal fenomeno (albergatori, tassisti, ecc.). In generale la mia conclusione è che spesso sono gli aspetti meno considerati a decretare la fine di queste esperienze, meno considerati perché difficili da studiare: la friction nella transazione, lo scam di parte degli utenti, il disagio nell’utilizzo di beni di altri, la gelosia verso i propri – il famoso effetto IKEA, per cui sopravvalutiamo le cose che sono già nostre (o abbiamo appunto montato noi) rispetto a quelle di altri – la curva di apprendimento (come funziona un trattorino tagliaerba a motore?).
Non a caso Airbnb ha da subito consentito di evitare un disagio apparentemente poco considerato, almeno agli albori: il passaggio di soldi tra host e ospite, e questo è universalmente considerato uno dei primi punti di successo rispetto a tentativi simili abortiti. Nel frattempo, lascio crescere l’erba senza innaffiare, che probabilmente è la cosa più sostenibile da fare.
In collaborazione con
Luca Faloni è un'azienda di abbigliamento e accessori che unisce qualità dei materiali e artigianalità nelle lavorazioni. Una realtà con una forte vocazione internazionale grazie all'e-commerce (per voi sconto del 10% sul primo acquisto) e a una rete di negozi monomarca tra Stati Uniti e Europa, quello di Milano si trova in Corso Matteotti 1, a due passi dal Duomo.
Il founder ha risposto ad alcune mie domande tranchant sul brand e la sua strategia:
Prezzo o qualità del prodotto?
Senza qualità del prodotto avremmo già chiuso, ma ci viene anche riconosciuto il fatto che per il livello delle materie prime utilizzate e la qualità delle lavorazioni, abbiamo prezzi competitivi. Inoltre, non essere mai in saldo penso sia una scelta significativa.
Promozione online o promozione offline?
Per ora non c'è gara, la promozione online è il nostro driver di crescita principale in tutti i mercati. Detto questo, sappiamo che ogni touchpoint, sia online che offline, è importante per fornire la migliore customer experience possibile.
Eventi fisici o eventi virtuali?
L'evento virtuale per chi fa prodotti reali è un po' un nonsense. Noi cerchiamo di organizzare eventi nei nostri negozi con una certa frequenza per mostrare la qualità di quello che facciamo e per conoscere meglio le persone che sono o possono diventare nostri clienti.
Creazione di nuovi prodotti o miglioramento dei prodotti esistenti?
La qualità dei prodotti è la nostra stella polare e per soddisfare al meglio i nostri clienti sono fondamentali l'ascolto e il dialogo con loro. Questo ci permette sia di migliorare ciò che produciamo, sia di avere spunti utili per creare nuovi prodotti, un driver importante per continuare a crescere.
Più clienti o più CLTV?
La vera sfida è combinare in modo efficace e sostenibile questi due aspetti senza che uno prevalga nettamente sull'altro. Rispondere in modo tranchant a questa domanda sarebbe un po' rinnegare quello che facciamo tutti i giorni.
Il quiz della settimana
Quanti materassi, espressi in piazze (quelle francesi valgono 1,5), si sono venduti ai privati nel 2021 in Italia?
a) 2.000.0000 b) 5.000.000 c) 8.000.000
Negozianti
La segnalatrice della settimana è Maria Giulia, che ci mette di fronte a un dubbio aritmetico.
Link della settimana
La diretta in cui sono stato ospite di Massimo Giacchino, su consulenza, marketing, e altre cose correlate.
Una storia di una community che si chiama Buy Nothing, con molte lesson learned – tra cui “occhio ad andarsene da Facebook”
Lo so che volevate conoscere il sito per chattare con Padre Pio, ma il sito è stato preso in mezzo nella querelle tra Garante italiano e ChatGPT (!) e quindi fuori servizio (niente miracolo), mentre per la Madonna è ancora richiesto di andare in persona nei dintorni di Civitavecchia.
Anche quest'anno, in collaborazione con Giorgio Soffiato e Marketing Arena, organizzo uno speed date per responsabili marketing per fare uno stress test gratuito al digital & marketing plan. Ci si iscrive da qui.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Se sei da poco qui, continua a scorrere per sapere chi sono. Se hai bisogno di cambiare il guardaroba, dai un’occhiata al nostro sponsor.
Per commenti, progetti di consulenza o formazione, o sponsorizzazioni di questa newsletter basta rispondere a questa mail – sì, rispondo a tutte le mail.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i separatori d’artista.
Quiz: b) circa 5.000.000 (fonte Matteo Rossi, Morfeus Spa, ISTAT)