Sono qui in una tirolesissima sala di un hotel in uno strano non-luogo chiamato Folgarida* dove stiamo svolgendo la prima edizione della Summer School della Scuola Digital Update in cui escono cose scottanti che non sentirete mai ai convegni e agli eventi. E nemmeno qui.
Una di queste discussioni però la posso raccontare. Premessa: l’unica ciambella di salvataggio, visti i costi dell’advertising digitale e no, soprattutto nell’e-commerce ma ormai non solo lì, è nella ripetizione dell’acquisto. La prima cosa che ci viene spontaneo di fare, oggi, è automation, nurture, pressione: prima li prendiamo (magari con il CAC più basso possibile), poi li segmentiamo e vediamo di sviluppare il business, e in qualche modo ce la faremo a farli crescere, questi nuovi clienti.
Le diagnosi (la matrice RFM – in orizzontale il tempo dall’ultimo acquisto, in verticale frequenza x valore, tipicamente in un anno o simile) e le soluzioni ci sono da tempo, e risalgono all’epoca pre-internet, degli agenti di commercio e dei primi CRM.
E anche alcune cure sono standard (un esempio preso da qui, ma ce ne sono mille di articoli, tutti uguali, cercando su Google):
Clienti che hanno fatto un solo acquisto e spendono poco: offrire prodotti a basso costo o promozioni.
Clienti che acquistano costantemente e spendono più della media (i più importanti): campagne fedeltà (ndr: uhm, dipende. Direi più “riconoscimento”).
Clienti che hanno fatto un solo acquisto costoso: cross-selling e campagne fedeltà.
Clienti che hanno fatto molti acquisti recenti e spendono poco (spesso la maggioranza): coupon con soglia minima di spesa.
Cliente che non acquista da mesi ma ha già speso una cifra considerevole: campagna di upselling.
Sulla fedeltà rimando a quanto scritto nel 2019. Invece, nel dettaglio della questione, la mia teoria (non solo mia in realtà) è che i clienti migliori non si allevano, sono già così – o non lo sono – quando li acquisiamo.
Cioè, sì, li possiamo trattenere con un ottimo customer care, possiamo mandare email segmentate secondo i canoni della RFM, o di recupero dei dormienti, possiamo cercare di fare upsell e cross-sell e tutte le cose elencate più in alto, ma nella maggior parte dei casi il cliente non compra perché… sorpresa! non ne ha bisogno, o non ha soldi. Ergo, non era il cliente giusto già in partenza.
Ma se non era il cliente giusto, perché l’abbiamo acquisito? Ci sono vari motivi, o un mix di questi (parlo per esperienza, ahimè):
errori nel posizionamento: il cliente non ha capito bene chi siamo, e si aspetta altro, sia nel prodotto che nel prezzo;
errori nelle (troppe?) promozioni: abbiamo attratto cacciatori di sconti, che appena il prezzo torna normale non acquistano più, perché sono in una fascia di willing to pay più bassa;
errori nelle campagne acquisizione: abbiamo utilizzato, come discriminante obiettivo nelle campagne il CAC/lead più basso e non il life time value maggiore presunto di questi clienti – non facile ma non impossibile;
errori nella valorizzazione del customer lifetime value nativo: abbiamo sbagliato a metterci nei panni del cliente che, per qualche motivo, è comunque “a posto così”. La nostra gamma di prodotto non segue i suo bisogni e il suo journey successivo:
errori nel considerare la fedeltà media e nell’importanza della fedeltà nel business complessivo: questo è un caso leggermente diverso. Non è sempre vero che vendere a un vecchio cliente è più facile che a uno nuovo. Per esempio nei beni di massa, la fedeltà è irrisoria, e “acquisire” un cliente non ha un significato vero e proprio, e il tuo fatturato è fatto per la maggior parte di clienti che acquistano poco e sono tanti (vedi il libro How Brands Grow e il mio post a riguardo).
Naturalmente non sto dicendo di non fare automation, segmentazione, profilazione, ecc. che sono – come avete visto nelle precedenti lettere con SAS – basilari per un’interpretazione moderna del marketing centrato sul cliente e sui dati, ma di non aspettare che il cliente “scarso” si trasformi, attraverso queste pratiche, in cliente “gold”, perché molto probabilmente non accadrà. Il filtro deve essere – parzialmente – all’ingresso: prima di tutto dobbiamo capire chi vogliamo, poi provare ad agganciare i dati di prima parte di quelli esistenti, se li abbiamo, alle piattaforme advertising esterne, e sperare che la AI faccia il suo lavoro.
* Folgarida non esiste, ho scoperto, o meglio non esisteva fino al 1965: hanno spianato la montagna alla fine degli impianti, hanno asfaltato, hanno usato il cemento armato per rendere solido il tutto, eretto dieci hotel tutti con propria spa (su questo c’è una lettera ad hoc), una chiesa, due ristoranti e un paio di market direttamente sulle piste (no sbatti is the way) e gli hanno dato un nome carino – anche se la confondo sempre con Folgaria che è dall’altra parte del Trentino, che poi hanno aggiunto a quello del comune per fare brand awareness. Un parco giochi per adulti, ma di quelli più facoltosi. In estate l’esperienza è un po’ brutalismo sovietico <3 fuori, calda accoglienza dentro. Naturalmente puoi scapicollarti con ebiking, rafting, trekking, ma io tendo a diffidare di ogni cosa finisca con -ing e passo il tempo a guardare gli altri visitatori, a mangiare strudel oltre che nella sauna.
Il quiz della settimana
Quanto sidro di mele e pere si consumava in Italia nel 2017 (ultimo dato disponibile)?
a) mezzo centesimo di euro a testa b) un centesimo c) 30 centesimi.
Link & C.
È uscito il mio pezzo (altresì detto Long Form) per Link, sul sogno infranto del programmatic advertising
Un tizio si è studiato il marketing di Airbnb.
I vostri dati in realtà non esistono.
L’affascinante ipotesi che sostiene che per il duopolio Google-Meta i giorni migliori siano alle spalle.
Negozianti
Dalla finestra di Folgarida: come saranno le sensazioni da bere?
Da Folgarida è tutto, ora io vado a comprare le cartoline, dicono che abbiano un Engagement Rate molto alto.
Come al solito se giri questa lettera a una collega te ne sono grato in anticipo.
gluca
Come sempre la Lettera è revisionata anti-typo e sgrammaticature varie da Daniela.
Quiz: a) (fonte Euromonitor)