Questa settimana avevo pensato di saltare la scrittura della newsletter, del resto, non avevo uno sponsor (lettrice, lettore, ti ricordi di proporlo per il tuo budget marketing 2023?), c’era il ponte, e quindi – mi ripetevo – non ero mica obbligato. Poi nel corso di questa settimana ho incontrato una di quelle epifanie che mi ha ricordato il saggio “Quando abbiamo smesso di capire il mondo?”.
“Davvero non conosci Alex Theory?” mi dice mio figlio en passant come se non conoscessi, che ne so, McDonald’s. E da lì, appunto, l’epifania. Il mondo che avevo smesso di capire era lì davanti a me. Ho spesso parlato di TikTok qui nella newsletter e su Link (dove il testimone su TT è passato alla ottima Laura Fontana nella narrazione delle dinamiche tra vecchio e nuovo, nel solco della mia teoria “TikTok è la nuova TV”).
Ma torniamo ad Alex.
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Alex Theory vende gallette su TikTok. Sì, proprio le gallette di riso, quella roba che in Italia non ha mai avuto molta fortuna, come i miei amati Wasa. Non funzionano le gallette, perché si sa, in Italia il palato è importante, tutto deve essere saporito, gustoso, unto, acquolina-in-bocca-driven.
La verità è che gli italiani mangiano molto peggio di quanto ritengono. Salvo rompere le scatole a tutta l’internet sugli ingredienti della carbonara o cosa ci va o no sopra la pizza. È un popolo che compra un sacco di integratori, per esempio. O in cui buona parte della spesa avviene ai discount, e non solo per ragioni economiche di necessità. O in cui il bio non ha mai attecchito veramente. Non sto dicendo che mangiare bio sia necessariamente mangiare sano, sto dicendo che tra come ci consideriamo e cosa acquistiamo davvero, anche su quanto siamo disposti a spendere, c’è molta differenza.
Ed è qui che arriva Alex Theory: lui è il calabrone del marketing. Il suo nome/brand è improbabile. Il suo look ancora più improbabile. Camicia bianca sbottonata, tesa a mostrare un fisico palestrato (poi si svela il perché) e abbronzato, con bicipiti scalpitanti. Pantaloni attillati in posizioni strategiche. La sua selling proposition difficilissima da portare avanti per una commodities: cerca di dimostrare che le sue gallette sono “artigianali”, dai “suoi artigiani” per la precisione. Fatte a mano? Miracolo della moltiplicazione di gallette e pesci che i produttori non hanno ancora scoperto? Lui poi abbozza: sono “aromatizzate a mano”. Che vorrà dire? Vengono spolverate dopo la cottura? Probabile. Di solito l'operazione, mi pare di capire, si fa mentre si producono, non dopo. Del resto Alex non va molto in dettaglio: non ho mai visto questi artigiani o il loro laboratorio nei suoi video. Solo lui, il Creatore/Venditore..
Il tocco vincente e differenziante è comunque l’aromatizzazione, comunque sia, di un prodotto percepito dal mercato come pessimo di default. (“Non sanno di cartone, sono come le patatine!” Sic.), a proposito della qualità ricercata degli alimenti degli italiani. “Perché ogni dieta seria ti richiede di sostituire il Pane con le maledette gallette al gusto polistirolo.” (Pane è maiuscolo, chissà perché).
Quello che non ci dice mai è che lui è un proprietario di quattro palestre, attività ancora ritrovabile nell’oggetto sociale della sua “Theory Holding Spa”: il nostro, al secolo Alessandro Olivieri, ha associato al bisogno “mangiare male, ma senza ingrassare” il prodotto oggi considerato più punitivo, inserendoci sopra un insaporitore industriale*: le patatine al gusto pizza, insomma, ma con le gallette. Questo è un colpo di genio imprenditoriale, devo ammettere.
* Così ho passato settimane a cercare dai fornitori di mezzo mondo i migliori aromi naturali sul mercato. Non i classici aromi chimici da due soldi, sto parlando di aromi puri, intensi, difficili da trovare e difficilissimi da maneggiare. Pensate che i nostri artigiani li dosano a mano, uno ad uno, pacco per pacco.
Me lo immagino quasi come un capitano nella Compagnia Britannica delle Indie Orientali.
Ma il suo successo è solo parzialmente nel prodotto in sé, come spesso oggi accade. Il potere si sposta dal prodotto al consumatore: non nel senso romantico del Cluetrain Manifesto ma in quello che il prof. Giuliano Noci in Biomarketing descriveva (all’incirca) nella frase “il potere è oggi nelle mani di chi conosce i dati del o è in intimità col target”. E lui l’ha in pugno via TikTok, perché sembra nato per questa piattaforma, e sembra quasi che le gallette siano un mezzo, non il fine.
Nei suoi video, girati da un probabilmente inesistente videomaker Simone a cui lui si rivolge, le gallette sono le protagoniste: le spezza, le sbriciola, le morde, le lancia. Le sue, le cosiddette Gallette Impossibili, ma anche quelle del supermercato, cercando di far capire la loro totale differenza rispetto a quelle "industriali" della Coop o dell’Esselunga. Mi ha colpito un particolare angolo su cui il nostro batte: le sue gallette avrebbero i grani di riso interi, quindi non vengono prodotte “dagli scarti” del riso da cuocere, come lui suppone facciano i competitor del supermercato. Non ho capito però come questa querelle dei grani di riso interi vs spezzati dovrebbe influire sul gusto delle gallette.
E qui ritorna la mia teoria: la TV degli anni Ottanta, con le televendite e le telepromozioni, non sono passate invano, quanto a formazione sentimentale di marketing su TikTok. Alex è un venditore perfetto. Intrattiene, sostiene la superiorità della galletta con un’assertività che alla fine ti convince pure. Come Wanna Marchi prima maniera, al suo meglio, detto come complimento. C’è pure un payoff anni ‘80: “Parola di Alex Theory”. Non che molti non abbiano commentato dubbiosi o postato video parodie o recensioni non sempre positive. Ma paradossalmente più caos si genera, più Alex ne beneficia. I suoi video e il tema in generale eccitano l’algoritmo di TikTok. Anche o soprattutto gli haters funzionano per far traffico e brand, che ci piaccia o no: la brand availability funziona comunque. Sto per scrivere “purché se ne parli”. L’ho scritto.
Ma come vende Alex? Con uno Shopify base, praticamente una pagina web sola. Lunga, lunghissima. Piena e spalmata, oltre che di aromi, di copy persuasivo, frasi per bambini, a capo continui, foto con gallette associate a pomodori e mozzarelle fresche, che ritengo sia improbabile che vengano davvero adoperate nel “laboratorio”. Ricorda molto lo stile consolidato del guru del diventi ricco. In questo caso, lui è però un guru del non ingrassi. Quindi, Parole Maiuscolate (per esempio: Sai Perché È Difficile Rimanere A Dieta?), ripetute e ripetute, intercalate da call to action per l’acquisto della confezione famiglia da 50 euro di gallette, eternamente scontate “in lancio”. E come direbbe lui sul sito “E non è ancora finita!”.
La newsletter poteva invece finire qui: tuttavia io non mi accontento mai di quello che si vede, dentro ogni strategist c’è un investigatore (me lo dico per giustificare tutto questo tempo sottratto al lavoro).
E dunque sono andato a vedere dov’è il laboratorio artigianale, con Google Maps. Alex lavora nella sua cucina di casa, oppure non capisco dove sia il laboratorio visto che si trova in una via residenziale a Massa. Ma ciò non vuol dire necessariamente niente, eh. Le migliori specialità artigianali italiane escono infatti da capannoni in zone industriali.
Più interessante è il suo bilancio. Alex non sta poi guadagnando tantissimo, fama di tiktoker a parte: nel 2021 ha fatturato, come amministratore e socio unico della Theory Holding S.p.A con 12 dipendenti, poco meno di 400.000 euro, 100.000 euro di perdita. Non certo all’altezza dei numeri virali di TikTok.
Facciamo due calcoli spannometrici ma plausibili:
visualizzazioni TikTok > 50 milioni (!) stimate da me (totali in due/tre anni, TT non mette le date nei video);
visualizzazioni sito 2.500.000 anno (stimate da Similarweb);
fatturato 2021, dati ufficiali: circa 400.000 euro (potrebbero esserci anche altri prodotti dentro, non gallette, ma facciamo finta che);
carrello medio 40 euro (suppongo che sia un po’ inferiore all’ordine gratuito)
deduco circa 10.000 acquisti 2021;
con un tasso di conversione 0,40%.
Cosa ne penso?
Che essere molto famosi su TikTok non si trasmette automaticamente sul prodotto venduto;
che scalare l’e-commerce con le commodities low cost non è facile, nemmeno con prodotto con una premiumness, almeno percepita;
che senza fedeltà e ripetizione – lo immagino dalla scarsa attitudine alla mail del sito e dalle statistiche Similarweb sulle fonti di traffico – i tassi di conversione sono bassi e il business fa comunque fatica, se devi basarti solo sui curiosi del primo ordine;
che tutta quella persuasione onsite non aumenta i tassi di conversione più di tanto, o meglio magari li migliora, ma sono comunque molto bassi. Perché il traffico social organico è di curiosi.
Ultima chicca: guardate il codice sconto. Sign of the times.
Mi sono dilungato, vi saluto qua.
Buon ponte, gluca
PS: prossimo giovedì tengo un webinar sul branding per PMI con Erika D’Amico di Gazduna. Vi aspetto.