[È venerdì] Da The Cure al dermatologo senza marketing
Un mix di The Cure, Halloween, Twitter, Musk e pure il mio dermatologo
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È la sera di Halloween e sono al concerto dei Cure, il che darebbe all’onnisciente data-driven marketing un profilo abbastanza accurato di chi sono, la mia età, i miei gusti musicali, eccetera eccetera. In qualche user persona ci sarà pure scritto “partecipa al concerto dei Cure”. Eppure, quello che vedo è soprattutto diversità: una generazione o due presenti, con individui all’apparenza molto diversi. C’è il mio non-look normcore con felpa con cappuccio e solite sneaker di tutti i giorni, ma appaiono all’altra parte dello spettro anche elaborate cattedrali di capelli neo-gotiche cementate da gel a effetto rapido e soprattutto duraturo. C’è la manager (è vestita come io immagino una dirigente HR), c’è l’impiegata amministrativa, che canta a squarciagola “Friday I’m in Love” (la immagino dal look estremista ma non così estremista), c’è il dark che non è mai uscito dagli anni ‘80-90, ma ha abbandonato le catenone forse perché temeva il metal detector (anche se all’ingresso le uniche cose sequestrate sono più che altro gel disinfettante), c’è la quasi trentenne che immagino occupata in una web agency con un look che non vuole rinunciare al fatto che, concerto o no, è pur sempre la sera di Halloween, ci sono quelli con le magliette che stanno insieme per miracolo, comprate 30 anni fa. C’è un Robert Smith in gran forma (almeno vocale). Ci sono le birre a 7 euro, segno che bisogna fare cassa in ogni modo, e non basta il tutto esaurito. C’è un po’ di nostalgia di quando eravamo giovani, direi, ma meno di quanto avevo previsto e temuto. La Unipol Arena, un nome adatto a queste generazioni, sembra volersi soprattutto divertire, si riparte nonostante tutto (del resto, quando mai abbiamo visto un periodo in cui non c’era crisi?), e dire che c’è un metaverso bellissimo o almeno accettabile, là fuori, già pronto per The Walk.
Take me for a walk
Let's go in the water
Take me for a walk
In an instant I remembered everything, everything, everything
Sono appunti
A causa del ponte e di altri impegni, questa newsletter esce con un formato un po’ irrituale: a pensierini, quello che alle elementari molti anni fa era il sostituto del tema.
Personalizzazione delle hallo-promo
Nel marasma di promo Halloween dal dubbio gusto artistico e opportunità commerciale, tema della passata settimana, ho notato soprattutto i tentativi di personalizzazione. Niente video creati dall’AI per adattarsi alle mie informazioni, ma più prosaici coupon di Esselunga per fare la spesa. Dopo avere pubblicato il mio, molte persone mi hanno scritto per condividere il loro, qualcuno anche per condividere il fatto che all'interno della famiglia qualcuno aveva ricevuto coupon diversi, pur essendo interscambiabili, nel senso che la spesa era comunque “familiare”. Mi è venuto in mente un capitolo del libro Omnichannel Retail, che ho integrato nell’edizione italiana, in cui Tim Mason (ex VP Marketing di Tesco e reputato inventore della carta fedeltà) rifaceva l’ABC delle promozioni in ottica cliente-centrica.
In breve: non fare (troppi) sconti pre-acquisto a chi verrebbe già di suo a comprare, non fare (troppe) promo monetarie a chi può pagare, sfrutta l’irrazionale verso i clienti più affezionati (che spendono e vengono spesso). Tradotto? Dài molti soldi al raro e infedele Gianluca (purché torni), dai molti punti fragola a Mario (nome di fantasia, il fedelissimo, per ringraziare e invogliare), sconto meno consistente, magari un coupon sulla spesa successiva a Paolo (idem, che probabilmente sarebbe tornato comunque, in un mese). Non c’è ovviamente una logica scritta nella pietra, ma tanti tentativi partendo da suggerimenti che un normale processo di segmentazione fornisce, e sui relativi dati di ritorno, che una buona piattaforma di marketing digitale dovrebbe fare. Tutte cose, però, a vedere il panorama, ancora molto futuribili nella pratica.
Il destino di Twitter
In Italia, al contrario che negli States, il destino di Twitter interessa davvero a pochi utenti. Però questi “pochi” sono perlopiù giornalisti mass market e politici, di solito, quindi la vicenda non è passata inosservata. Sia mai che la comoda modalità di costruire un servizio TV prendendo un tweet e poco altro venga meno.
Cosa potrebbe andare storto quando una piattaforma senza un preciso e funzionante modello di business viene comprata dall’uomo più ricco del mondo che “odia la censura”? Non che già ora Twitter, in Italia, non sia pieno di messaggi di odio, bandierine identitarie, angoli complottisti nemmeno troppo nascosti, bot e in generale un ambiente in cui è raro che la conversazione non scada quasi sempre in lotta di fazione. In più, vi si combatte un’estenuante e stucchevole gara di ironia competitiva.
Quindi, dal mio punto di vista, non sono particolarmente preoccupato dei destini di Twitter, nemmeno dal punto di vista del marketing. Non ricordo di avere usato o fatto usare l’ads di Twitter negli ultimi dieci anni, per la povertà dello strumento ma anche per il particolare ambiente, in cui le persone sembrano voler competere in una gara di commenti anti-brand negli stessi ads che gli consentono di usare a gratis la piattaforma. Non che i brand abbiano fatto granché per adattare la propria comunicazione commerciale a Twitter: spesso si notano i copy stanchi, che potrebbero stare ovunque, o meglio, da nessuna parte.
Twitter doveva essere come l’email, un servizio aperto, non un social media privato. Un servizio/protocollo come l’https o il DNS. Con le regole di fruizione e i filtri vicini all’utente, non centralizzati a monte. Qualcuno ha detto che questo è un buon momento per ricreare un social network, magari con questa prospettiva – io non ci credo molto, è un po’ l’eterna maledizione di Linux per le persone comuni – ma @jack sì, e quindi sa mai, da seguire.
Quelli che non hanno bisogno di marketing
Ogni anno devo fare la visita/mappatura dei nei. Ogni anno invidio molto il dottore (privato) che me li fa, dopo che quello dell’ASL è andato in pensione. Per prenotare si gioca a una specie di caccia al tesoro digitale. Il primo step è quello di trovare il numero giusto: il dottore ha lasciato una serie di tracce, ma molte sono sbagliate. Vecchie pagine gialle online, directory spam varie, Google Maps con varie location tutte rigorosamente non validate e non presidiate (non risponde ai commenti in nessuna location, ma le recensioni sono ottime, perché, dimenticavo, lui è considerato il migliore della zona a furor di popolo). Quindi serve chiamare i numeri fino a trovare quello giusto. Naturalmente le pagine dello specialista sui vari miodottore e simili non consentono la prenotazione online – probabilmente nemmeno sa di averle. Dopo vari tentativi, trovo una Gmail, e senza troppe illusioni, scrivo. Mi risponde una signora, dopo pochissimo, forse nemmeno qualche ora. La apro pieno di speranza, già complimentandomi per aver vinto la caccia al tesoro con la mossa che nessuno prova a fare, tra i boomer. E invece contiene solo uno stringato: “Buongiorno, per prenotare è necessario chiamare il numero xxx”. Rispondo: “Ok, ma ho chiamato, e risponde la segreteria che dice che bisogna chiamare dopo il 31 di ottobre”. Era il 15. Risposta sintetica: “Esatto.”. Mentre scrivo, è mercoledì 2 novembre, e riprovo. Di nuovo la segreteria. “Ma come?”. Non avevo colto un dettaglio decisivo. Che per prenotare bisogna telefonare sì dopo il 31 ottobre, sì dalle 15 alle 18, ma escluso il mercoledì. Deve essere davvero bravo.
Link
La registrazione del “Digital Talk” di Registro con Enrico Marchetto sulla strategia sui canali Meta è davvero da non perdere (YouTube, Facebook).
La puntata del podcast Discovery Commerce dedicata alle PMI e alle loro strategie, con me e Wintana Rezene al microfono, Rossella Ferrara ai testi e Chora Media a tutto il resto.
That’s all folks!
Scusate per il formato anomalo, alla prossima settimana!