[È venerdì] Cosa ci rimane da insegnare dopo l'intelligenza artificiale?
Forse i glitch e gli errori, e lo scetticismo creativo
Il colpo di coda dell’economia comportamentale (avete letto il post della scorsa settimana?): venerdì ero all’aperitivo di Ecommerce Hub (qui il mio intervento) e ho notato che una semplice cauzione di cinque euro per accedere al calice in vetro necessario per una degustazione di vini DOC ha fatto propendere il 90% delle persone per un più cheap e veloce bicchiere di carta di prosecco, ma senza friction.
Settimana scorsa la newsletter è partita di giovedì: mi scuso per i fusi orari sballati, spero che siate andati comunque al lavoro il giorno dopo.
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Il quiz della settimana
Qual è stata il mese con più ricerche per parola chiave Esselunga su Google? In fondo al solito la soluzione.
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Mercoledì 27 settembre abbiamo ospitato la seconda edizione del Supernova Agencies, un evento dedicato alle digital agency italiane. Il tema di quest’anno è stato Harnessing Complexity - ovvero: imbrigliare la complessità. Assieme agli speaker del pomeriggio abbiamo scoperto che la complessità per le aziende può essere non solo una sfida da combattere ma anche una grossa opportunità da abbracciare per crescere, ri-organizzarsi, ed evolvere.
In a world where players are all adapting to each other and where the emerging future is extremely hard to predict, what actions should you take?
Harnessing Complexity, Robert Axelrod & Michael D. Cohen.
E ora vogliamo rivolgere questa domanda proprio a te: quanto è coraggioso l’approccio al management della tua azienda?
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Cosa ci rimane da insegnare?
Ottobre è spesso la stagione della formazione, almeno per me. Riprende l’università, ci sono i master, eventi in giro, perché (si sa) settembre è sempre troppo presto e novembre sempre troppo tardi. Quest’anno però è il primo anno dopo la ai. Mi sono reso conto che la ai sa già buona parte delle cose che insegniamo, e in fondo gliele abbiamo insegnate noi, e ora con la sua memoria di ferro, e la multiconnessione a fonti diverse, certo più efficiente di quella umana è in grado di scrivere il 90% dei contenuti del 90% dei libri di marketing digitale scritti negli ultimi cinque anni. E quindi anche le slide dei corsi universitari. O le dispense. O i libri di testo.
Cosa stiamo insegnando dunque davvero?
Io credo che insegniamo soprattutto a diffidare delle best practice, delle ricette uguali per ogni cosa (frasi tipo “l’engagement è fondamentale per creare relazione con il brand” ma che vuol dire? E se creare engagement non creasse niente di che, posto sia possibile?), partendo dalle esperienze, che sono molto più tridimensionali dei libri di marketing, chiunque, umano o macchina, li abbia scritti, posto che siamo in grado di capirlo (io credo di no).
Insegniamo a elaborare la prima risposta, quel “dipende” che dovrebbe essere come un amen laico alla fine degli oracoli che le divinità del marketing ci inviano. A smontare quelle domande che l’inesperienza ci fa balenare: “prof, ma l’email funziona davvero? perché boh, io mai aperta una”.
Insegniamo a portare la nostra esperienza, soprattutto quando non è conforme alla norma, e/o quando mostra una realtà che l’ia, abbeverata alla forma, a quello che abbiamo scritto e detto e non fatto davvero, non può sapere.
Insegniamo gli errori: umani ovviamente, ma anche quelli causati dai glitch delle migliori pratiche, dalla fede cieca nei mantra assolutisti (“personalizzazione o morte!”), da precetti presi da casi – inutili perché irreplicabili di Apple, Amazon e Nike e altri – dalle liste modello “10 cose per aumentare l’open rate della tua newsletter”. Tutte cose che è buona cosa sapere (o meglio ancora, farci ricordare, analizzare, filtrare, incrociare, suggerire, riscrivere dalla ia). Ma che siamo noi a dover validare, o meglio, a falsificare le proposte della ia, come in una nuova filosofia della scienza popperiana.
Secondo Popper, una teoria è scientifica solo se offre previsioni testabili che possono essere falsificate attraverso osservazioni o esperimenti. Questa idea si contrappone al verificazionismo, che suggerisce che una teoria è scientifica se può essere empiricamente confermata. Popper afferma che la scienza progredisce tramite un ciclo di congetture e refutazioni: le teorie non sono mai definitivamente provate, ma guadagnano credibilità superando test di falsificabilità.
Per oggi farò dunque una lista (perdonatemi) di errori e lezioni imparate, commessi e vissute in prima persona, in cui la previsione è stata falsificata dalla realtà:
Ascoltare troppo i clienti (esistenti) e credere ciecamente a quello che dicono (di voler acquistare), soprattutto quelli rumorosi. Il pericolo della bolla.
Non parlare mai di persona con i clienti è un grave errore.
Non considerare che i non clienti sono sempre molti di più, ma non “votano” mai.
Pensare che i clienti “ti pensino”, o che addirittura (cit. tu sai chi sei) “siano tuoi biografi”.
Tu non sei il tuo cliente. Se pensi di conoscerlo come te stesso, conosci poco te stesso.
Le persone valutano la privacy molto meno di quanto pensiamo.
La persistenza noiosa batte sempre la creatività fugace.
Le cose importanti per i clienti sono spesso le più noiose per il marketer.
Se lo vedi tanto e ancora, ti piacerà (vale sia per te che per il cliente).
La miopia sul prodotto1 è un disastro: siamo sempre in un settore o ambito più grande di quello che pensiamo.
Insegniamo lo scetticismo creativo e data driven?
Il marketing insegnato dai negozianti, anzi no, dalle piattaforme
In questa puntata uso questo spazio per un meraviglioso progetto (un libro!) di Link in cui ho scritto un pezzo dal titolo “L’Infinite Jest delle piattaforme”.
Se vuoi c’è sempre ilmarketinginsegnatodainegozianti.info.
Segnalazioni spurie
Domitilla Ferrari ha scritto e presentato un podcast per OnePodcast: si chiama Ti faremo sapere, e se avete tra i 15 e i 35 anni è da ascoltare.
Lunedì sarò ospite di un webinar gratuito a casa Clickable in cui penseremo alla Data Strategy per il 2024 assieme a Federica Brancale, Giacomo Galanti e Alessandra Maggio. Iscrizioni qui.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie ancora alle genti di wethod per essere state supporter di questa newsletter.
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ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per la correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori d’artista.
Quiz: a. marzo 2020 (fonte), ovviamente.
Il termine è stato coniato da Theodore Levitt nel 1960. Levitt sosteneva che le aziende dovrebbero concentrarsi sui bisogni e desideri dei clienti, piuttosto che sui propri prodotti o servizi: la metafora del trapano e del buco nel muro. Credeva che le aziende dovrebbero definire le loro industrie in modo ampio, piuttosto che ristretto, e che dovrebbero essere orientate al cliente, piuttosto che al prodotto.