Diceva Taleb che “Il modo migliore per verificare di essere vivi è controllare se amate i cambiamenti.” Diciamo che l’ultima settimana online, tra shitstorm assurde, celebrità triggeranti, fanbase impazzite e mezzi mainstream mi ha fatto amare un futuro cambiamento. Dammi una mano | dammi una mano | a incendiare | il piano mediale. (Scusa Giovanni Lindo, non lo faccio più).
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Il quiz della settimana
Qual è il paese che produce più biciclette in Europa?
a) Italia b) Portogallo c) Paesi Bassi d) Germania
In fondo la risposta.
Questa edizione non è sponsorizzata. Ma se vuoi puoi sempre condividerla con chi lavora con te, e magari frequenta questi posti. Oppure chiedere se c’è un piccolo spazio nel budget ad alto ROI. Intanto, questa settimana devolvo lo spazio a un progetto che merita spazio.
In questi giorni Fondazione Libellula sta indagando sulle discriminazioni e le violenze di genere che le donne subiscono nel mondo del lavoro. I risultati aggregati usciranno nella prima settimana di marzo con l’eBook L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione). Più risposte otterremo, più avremo un quadro attinente al reale. Grazie!
Sta tutto nel fossato
C’è un termine poco usato nel marketing in Italia, che invece è parecchio al centro delle considerazioni strategiche altrove. Non so quanti di voi abbiano mai sentito nominare il moat, che si può tradurre con «fossato», come quello del castello medievale. In italiano sta per vantaggio competitivo difendibile, che è un po’ una tautologia in effetti, perché o un vantaggio è difendibile o non è un vantaggio. Ma è troppo lungo da dire, e VCD non è bello come MOAT.
C’è da dire che io ci sono affezionato perché a me la metafora ricorda i castelli che da bambini si facevano (si faranno tuttora, immagino) sul bordo della spiaggia. Il castello doveva avere il fossato, e non essere troppo lontano dalla riva, perché poi con le onde si riempiva e si faceva un figurone (anche come genitori, intendo). Ma torniamo un attimo al marketing. Il moat non se lo filano in molti. O si dà per scontato e immodificabile, oppure lo si considera molto meno importante di quello che è quando questo appartiene ai concorrenti.
Il moat è subdolo: tu sei lì che pensi quali feature puoi copiare, e il moat è nella rete distributiva, o nel servizio post-vendita. Se lì che fai pubblicità per superare il moat nella brand awareness, ma scopri che il moat è nella fedeltà del cliente, o in un radicamento del brand a livello ancestrale (nessuno può rifare la Ferrari, o nessun telefono di lusso Samsung può battere Apple). O peggio, che il moat è al confine tra il burocratico e il sottobosco (licenze, permessi, ecc.): chi lavora con l’estero sa che spesso il prodotto e le sue funzionalità sono l’ultimo dei problemi. Poi ci sono i moat digitali: l’effetto network è potentissimo (i miei amici sono ancora su Facebook) e viene scavalcato solo cambiando il paradigma e ricreando Paperissima (TikTok – ok ok, semplifico amiche e amici). E WhatsApp in Italia? Ma anche Satispay a Bologna. Un moat che scansati. C’è l’effetto bundle (e chiunque vada contro Microsoft sull’office-software B2B ne sente il potere oscuro). C’è il moat produttivo: chi può battere Barilla sul prezzo/costo? C’è il moat «controllo della distribuzione»: all’università ci insegnarono che puoi fare una Sprite migliore (che poi, io già pensavo boh allora) ma se non puoi entrare nei bar è già finita ancora prima di iniziare.
Quando allora il moat crolla? Perché nulla è eterno, ovviamente. Ritorniamo al castello di sabbia. Normalmente questo sarebbe eterno (per i tempi della spiaggia) salvo che: 1) cessi la manutenzione 2) arrivi l’alta marea.
Il cessare la manutenzione è tipico dell’era digitale. A forza di fare marketing di performance ci si dimentica di rafforzare le mura del castello. Perché il marketing a performance è più misurabile, e quindi sembra dare risultati più inequivocabili. Il bambino creativo si concentra sulle conchiglie e sugli addobbi, o nel fare quelle splendide guglie sgocciolando la sabbia bagnata. Dopo un po’ crolla tutto. E invece la manutenzione comporta cose noiose come la customer satisfaction, l’analisi dei dettagli dell’esperienza utente, oltre a pubblicità che non cerchi di monetizzare a un mese. Nota: qualunque investimento che abbia un ROI minore di un anno non serve a rafforzare il moat. Ma come si può sapere se sto rafforzando il moat o no? Soddisfazione del cliente, churn dei nuovi clienti, quota di mercato rispetto al concorrente, analisi della percezione. Cose noiose, appunto.
Il non aver previsto l’alta marea è invece il peccato originale di qualsiasi business in tutti i tempi (ho scritto “alta marea”, non “onda anomala”, quella arriva e amen). Il tacchino che non prevede il Natale, cose così. (Ci sono molti trucchi per non far crollare il castello in riva quando arriva l’alta marea, ma li tengo per un bestseller.) In generale le alte maree (ma prevedibili) sono state l’e-commerce, i pagamenti digitali, «concorrenti con i soldi», i millennial, le piattaforme (o mercati a due lati), le norme e i comportamenti «sostenibili».
In ogni caso, quando arriva e non si è pronti è già troppo tardi.
Il marketing insegnato dai negozianti
Oramai lo fanno apposta per i social, e passa il divertimento.
Vi ricordo ilmarketinginsegnatodainegozianti.info, a cui potete contribuire anche voi.
Segnalazioni varie
Ho scritto un pezzone sul Retail Media, cioè su quanto il supermercato (ma non solo) diventerà POA (point of ads) oltre che punto vendita (POS, point of sale). Lo si legge su Tendenzeonline, il magazine di GS1.
Un bell'e-book collettivo di Ecommerce Hub su marketing ed ecommerce nel 2024, in cui ho scritto anche io un pezzo. Ma dentro ci trovate il jetset del digital italiano. Si scarica gratis da qui.
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Grazie a Daniela Bollini per la solita paziente correzione della bozza e a Cristina Portolano per i separatori.
Quiz: b) Portogallo (fonte).