[È venerdì #222] Try walking in their shoes
L'inevitabile quanto bizzarro articolo sulle Birkenstock
Le Birkenstock le ho, ma le indosso con molte remore. In genere i miei piedi o sono in spiaggia o sono coperti. Sono un gen X ancora cresciuto con “scarpe chiuse e pantaloni lunghi in ufficio”. Tutte e tre le cose sono passate di moda, giustamente. Sono comode, però odorano, e con i calzini o sei Sfera o sei di Dortmund. Ne ho un paio di Arizona, però devo dire che nello spettro pro o contro sono più nei “costretti” ad averle che negli “orgogliosi” di possederle. Ma il compito del marketer, e una maledizione in un certo senso, è quello di astrarsi, di annullare sé stesso per guardare solo il target. E quindi oggi provo a fare questo, mettendo il brano dei Depeche Mode quasi omonimo al titolo.
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“Try Walking In My Shoes”
La settimana scorsa la newsletter su “il brand non ce l’ha ordinato il dottore” ha avuto un buon successo in discussioni, che poi è l’obiettivo principale che mi propongo e che mi stimola a scrivere nonostante giornate piene e pure un tardo e leggero Covid-23. Chi mi segue da tempo sa che pratico il totale agnosticismo verso qualsiasi teoria, comprese quelle che ho sponsorizzato in passato, quindi ogni feedback è sempre un arricchimento. Purtroppo più invecchio più mi rendo conto di non saperne, e non lo dico come vezzo.
Come se l’universo mi volesse punire, questa settimana mi sono capitate solo notizie in cui il brand è effettivamente al/il centro del modello di business: Birkenstock (!) si quoterà a Wall Street, Nike fa il suo massimo risultato in termini di vendita diretta, Eataly… be’ Eataly, sarebbe lunga. Ma parlerò solo di Birkenstock, per oggi.
Sarò impopolare e contrarian, ma Birkenstock è il Mr. Magoo del marketing, secondo me.
Quando frequentavo il corso di strategia in Bocconi erano appena trascorsi gli anni del modello Toyota, di Sony e di quanto erano bravi i giapponesi e di come inevitabilmente ci avrebbero fatto un paiolo così, perché la loro organizzazione, la loro innovazione, la loro ecc. ecc.
Come spesso succede, resuscitando Nassim Taleb – e altri filosofi come Bergson– la storia la ri-scriviamo secondo quello che è accaduto dimenticando quello che non è accaduto, e in ciò cancellando la casualità a favore della causalità. Un po’ come fanno i complottisti. Si chiama fallacia narrativa (unire puntini causali quando sono casuali) o anche correlazione illusoria.
Secondo Taleb, ricostruire la storia a posteriori è una forma di narrazione che si basa su eventi passati e li interpreta in modo da sembrare inevitabili o prevedibili. Taleb critica questa pratica perché ritiene che la storia scritta a posteriori sia una forma di illusione retrospettiva che nasconde l’incertezza e l’imprevedibilità degli eventi passati.
"Chiaramente, la qualità di una decisione non può essere giudicata esclusivamente sulla base delle sue conseguenze, ma questo punto di vista sembra essere sostenuto solo da coloro che falliscono (mentre chi ha successo lo attribuisce alla qualità della propria decisione)." (Nassim Nicholas Taleb, Giocati Dal Caso)
I giapponesi non conquistarono il mondo, e buona parte delle loro “scelte strategiche perfette” si rivelarono un misto di fuoco di paglia e di casualità. Dopo la crisi degli anni ‘90 il Giappone venne cancellato dai master MBA.
Dunque tutti oggi lodano Birkenstock per aver saputo trasformare delle orribili scarpe ortopediche in qualcosa di uber cool (tanto da ricevere persino le lodi di uno scetticone come Scott Galloway), che le celebra come un vero esempio di prodotto globalizzato woke, moderno, corrispondente ai tempi contemporanei. E che alle critiche su “cosa può fare Birkenstock più di così?”, che è il dubbio di chi potrebbe comprare azioni dell’impero romano dopo la conquista della Dacia1, lui abbozza, dicendo che una società così ben gestita può fare tutto, brand extension, ecc. Può essere, magari il miracolo si ripete.
Non che sia stata solo fortuna, o essere al momento giusto nel posto giusto, beninteso. È che spesso tendiamo a sottovalutare, perché fa meno storytelling di marketing, la forza della distribuzione, dell’advertising e della finanza che sta dietro le quinte (qui c’è niente di meno che LVMH, dico Louis-Vuitton-Moët-Hennessy, la principale conglomerata del lusso).
Nota a margine: ho sempre avuto l’impressione che targetizzare pubblici che non vogliono farsi targetizzare (o meglio, vogliono considerarsi scevri dall’influenza dell’advertising o della società, come appunto chi indossa orgogliosamente le Birkenstock) sia in realtà più facile di targetizzare chi alla propria indipendenza dai cattivi del marketing non pensa minimamente. Quando i costrutti sociali associati sono così forti (e quindi l’influenza è così potente, su gente che pensa di essere immune) potete spacciare delle scarpe ortopediche per dei simboli di libertà, ecologia, inclusione… e continuate voi. L’ottimo scrutinatore di prospetti IPO prof. Romano Cappellari scrive nel suo blog2:
3,6: le paia possedute oggi in media dai consumatori che sono clienti Birkenstock, perché Birkenstock ha saputo trasformarsi da prodotto funzionale a brand guidato dal purpose di “dare a ognuno la possibilità di camminare secondo natura”, rivolgendosi a chi ama un “active, healthy, casual, responsible, and mindful lifestyle” e intercettando così diversi trend dall’ecologismo al “moderno femminismo”. (I virgolettati sono tutti presi dal prospetto).
Birkenstock ha saputo quindi diventare il love brand per una community appassionata che si riconosce nei suoi valori e che trascende qualsiasi classificazione per età, genere o reddito.
Certo, a posteriori, in ogni passaggio della storia di Birkenstock potremmo tirarci fuori una best practice utile per qualche MBA, e anzi, lo potrebbe addirittura fare ChatGPT. Quindi proviamo. Dimmi ChatGPT, quali insegnamenti possiamo trarre dalla parabola di Birkenstock?
Certamente, ecco un sunto dei principali.
1. L’origine umana: come farmacisti tedeschi
Il primo punto potrebbe riguardare le umili origini delle Birkenstock come prodotto per alleviare i dolori ai piedi, ideato da farmacisti e calzolai tedeschi. Qui si potrebbe estrapolare l'insegnamento che spesso le idee di successo nascono da esigenze molto specifiche e reali. NDR: certo, una su mille, le altre rimangono esigenze personali. Tra l’altro una parente del fondatore fece esattamente le stesse scarpe, ma niente, le andò male.
2. Un design “brutto” ma funzionale
Nonostante il loro design non sia il più sofisticato (NDR: ChatGPT e la scuola di diplomazia), le Birkenstock hanno trovato una nicchia di mercato. L'idea è che la funzionalità può superare l'estetica quando si offre un reale valore aggiunto. NDR: vero, ma di solito queste scarpe “concorrenti” continuano a essere vendute nelle parafarmacie agli anziani.
3. L’adozione hipster e la mainstreamizzazione
Un altro punto interessante è come le Birkenstock siano diventate un simbolo hipster prima di diventare mainstream. Questo dimostra l'importanza del timing e di saper cavalcare le onde culturali. NDR: certo, sulla carta è andata proprio così. Su quanto questa strategia sia stata pensata davvero, si potrebbe discutere, l’azienda ha avuto un management, ecco, molto tradizionale. E quanto durerà questo hype potrebbe essere un altro buon punto di discussione.
4. Il fenomeno delle falsificazioni
Ogni prodotto di successo ha le sue imitazioni. Le Birkenstock non fanno eccezione. L'insegnamento qui è sulla protezione del marchio e sull'importanza della qualità. NDR: un punto estremamente a favore della strategia di Birkenstock è il coraggioso addio ad Amazon, e l’all-in su negozi e online di proprietà – che fai però solo se hai le spalle coperte. Come ha fatto Nike, del resto. Poi ci sono pure i falsi d’autore, le Birkinstock3, ma qui è questione sociologica o di sanità mentale.
5. Collaborazioni e edizioni limitate
L'importanza di mantenere il brand fresco attraverso collaborazioni e edizioni limitate potrebbe essere un altro punto da sottolineare. NDR: certo, però ormai lo fanno tutti. Un po’ come le New Balance indossate dalle modelle. Ma perché certe collaborazioni fanno diventare Birkenstock e altre no? Forse perché non tutti hanno i soldi per entrare nel product placement di Barbie? Non abbiamo ancora craccato il codice, mi sa.
6. Dalla controversia alla ribalta
Le Birkenstock hanno affrontato varie controversie, tra cui accuse di essere "anti-moda". Qui, l'insegnamento potrebbe riguardare come la negatività può essere ribaltata in qualcosa di positivo. NDR: anche qui, è sempre l’eccezione che fa notizia. La Golf/Rabbit negli USA si presentò come orgogliosamente “piccola” e andò bene a Volkswagen, su di un pubblico hippie e “contrarian”. Non ad altre auto però. Non funziona mica sempre, troppo bello sarebbe.
7. La sostenibilità come vantaggio competitivo
Un punto sulla loro sostenibilità e come questo sia diventato un vantaggio competitivo in un mercato sempre più attento all’ecologia. NDR: può darsi, non ho idea di come siano fabbricate queste scarpe, e saranno pure vegane, ma Good On You non le vede di buon occhio. Però vuoi mettere, tutto quel sughero?
8. Prezzo e posizionamento
Il prezzo relativamente elevato (NDR: elevato? Rispetto alle ciabatte, forse) delle Birkenstock è giustificato dalla loro durata e comfort. Qui si potrebbe discutere del posizionamento del prodotto e di come il prezzo può essere un segnale di qualità.
9. Community e fanatici del marchio
Le Birkenstock hanno una forte community di seguaci. L'insegnamento potrebbe essere sull'importanza di costruire una community intorno al tuo prodotto o servizio. NDR: oppure che se costruisci un prodotto di successo c’è sempre qualcuno così matto da farne una community.
10. L’adattabilità in tempi di crisi
Durante la pandemia, le vendite di Birkenstock sono aumentate grazie al focus sul comfort. Questo dimostra l'importanza di essere flessibili e adattabili alle circostanze del mercato. NDR: certo, hanno avuto fortuna, o sono “antifragili”, per citare ancora una volta Taleb. E in casa l’odore di natura delle Birkenstock usate non disturba gli altri.
Prossima puntata, le Crocs. Scherzo. Forse.
(Qui doveva esserci un embed di TikTok ma per qualche motivo non va. Ecco il link)
Il marketing insegnato dai negozianti
Questa rubrica-blog ha compiuto 10 (!) anni. Ecco una delle prime foto, sgranate come da prassi
Forse non lo sai, ma l’originale ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è mio.
Segnalazioni spurie
Seguite il podcast di Kampaay che ho inaugurato con considerazioni sul ruolo degli eventi nel funnel e nella misurazione del ROI.
ICYMI È uscito un mio pezzo su Link, un long form sul business del meteo e delle app relative.
Non mi sono fatto un’idea definitiva ancora sul caso spot Esselunga, ma nel frattempo io partirei da qui, commenti inclusi. Mizionewsletter
Sono in giro per il Festival di Internazionale in questo weekend. Se sei anche tu lì e mi vedi
lasciami in pacefai segno che ci salutiamo. Foto sotto per il riconoscimento visuale.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie ancora alle genti di Human Highway per essere state supporter di questa newsletter.
Per commenti, consulenze o sponsorizzazioni basta rispondere a questa mail.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i (nuovi!) separatori d’artista.
Quiz: b. +12% (fonte)
Cioè al tempo della massima espansione dell’impero.