[È venerdì] 10 cose che non cambieranno nel 2026
Indovinare i trend è esercizio spesso inutile, mentre capire cosa non cambia è fondamentale. E c'è anche, come ogni anno, il test sociologico delle lucine natalizie.
Cose di cui non so nulla: le escape room, Harry Potter, Pink Floyd, Rosalia, cos’è successo tra il 2000 e il 2004, Pasolini.
Oggi l’argomento è relativamente tecnico: cioè si parla di marketing per chi lo fa – alcune cose potrebbero apparire oscure. È rivolto alla setta del marketing. Se non lo fai o non lo vuoi leggere (e ti capisco benissimo) dovresti recuperare tantissimo – vista la stagione – con questo post sotto. Altrimenti trovi la solita vagonata di cinismo di settore proseguendo.
[È venerdì] L'ossessione per le lucine natalizie
Come un mercato che un economista non capirebbe muove miliardi di euro nel mondo. E un test semiotico-sociologico per capire chi è il vostro vicino, osservando quali lucine ha messo in giardino o sul terrazzo.
Grazie allo sponsor, che supporta le ore di lavoro e studio per questa newsletter: anche oggi è Boraso, che presenta un nuovo episodio del suo podcast con ospite Marco Porcaro, il founder di Cortilia.
Ti piacerebbe avere ≈ 20.000 visualizzazioni senior e profilate B2B e 100 lead di qualità, a una frazione di LinkedIn Ads? Scrivimi a gluca@diegoli.com per il 2026: chi prima arriva sceglie il venerdì e risparmia pure.
Il quiz della settimana
Quanti sono “i partner pubblicitari di NOW” a cui vi viene chiesto di dare l’accesso ai dati di visione sulla loro app di streaming?
a) 153 b) 451 c) 894
Risposta alla fine.
[sponsor]
Il food online non è per chi cerca scorciatoie: logistica complessa, margini delicati, clienti esigenti. Eppure per Marco Porcaro, founder di Cortilia, il futuro della spesa digitale è «fantastico» – se smettiamo di pensare a fisico e online come due mondi separati. Ne parla con Massimo Boraso in una nuova puntata di Boraso Spritz, il podcast dove si ragiona di innovazione davanti a uno spritz.
In dodici anni Marco ha trasformato poche cassette in un network logistico che serve migliaia di famiglie. Nel podcast ne svela il dietro le quinte: l’effetto Covid, la complessità del mercato italiano, gli over 65 super fedeli, gli errori tecnologici che pesano per anni, le scelte impopolari e le fatiche del fundraising.
Boraso è l’agenzia di riferimento in Italia nel Digital Commerce. Integriamo strategie di Conversion Marketing con soluzioni tecnologiche, sia nel B2B che nel B2C. Aiutiamo le aziende ad avere successo con progetti e-commerce e campagne di marketing omnicanale.
Cose che NON cambieranno nel 2026
È il momento dell’anno in cui tutti gli articoli di marketing prevedono i trend futuri. “Il 2026 sarà l’anno di...”. In passato abbiamo avuto autenticità, mobile, TikTok, community, sostenibilità, metaverso, AI (un altro anno a parlare di AI, io non so se ce la faccio).
Su questo sono per seguire Nassim Nicholas Taleb in Antifragile: “Non chiedere mai a nessuno la sua opinione, la sua previsione o il suo consiglio. Chiedi solo quali titoli ha o non ha nel suo portafoglio.” Nassim non sapeva che spesso le previsioni delle società di consulenza sono (aehm) biased verso quello che vendono ai brand. In ogni caso, se volete previsioni sui trend, alla fine della newsletter troverete una sorpresa natalizia.
La verità vera è che alcune cose non cambiano mai. Anzi, più il buzz del marketing si agita nel bicchiere, più le costanti antropologiche delle sue basi (sia di chi vende che chi acquista) restano identiche, e più te ne rendi conto più la tua carriera è facilitata. Eccole qui, dunque: dieci cose che resteranno tali e quali nel 2026.
Gli influencer (o creator)
No, gli influencer non si estingueranno. Oggi li chiamiamo “creator” perché suona più professionale, meno Chiara Ferragni che mostra la borsa o la pizza a cui non manca lo spicchio che ha in mano. Ma il meccanismo dal punto di vista del marketing è identico: qualcuno con un pubblico che convince quel pubblico a comprare qualcosa, ma leggermente più specializzato in quel qualcosa. Le persone tendono a fidarsi di più di chi non sembra legato all’azienda, anche se in realtà lo è e viene pagato per questo.
I megainfluencer generalisti rimasti li abbiamo riciclati come testimonial, che è un po’ come funzionava la TV negli anni ’80. Un George Clooney lo faceva per Nespresso, un Fedez oggi lo fa per qualsiasi cosa paghi abbastanza. (Invece di uno spot da 30 secondi in prima serata, c’è un reel da 15 secondi nel feed algoritmico, ma per il resto…)
In ogni caso – ed è quello che ci serve sapere, no? – continueranno a farsi pagare sempre di più. Perché l’attenzione costa e l’audience costa. E noi pagheremo il Telepass di ingresso verso le “loro” community: niente di nuovo.
Gli sconti
Nonostante tutti gli appelli a non svendere il brand, il Black Friday continuerà a essere praticato. Anzi, si è già allargato: Black Week, Black Month, praticamente Black Semester. Tanto ormai la gente compra (o vuole pensare di comprare) sempre/solo in sconto. E noi non gliela vogliamo fornire un’altra occasione?
Gennaio: saldi. Febbraio: San Valentino. Marzo: Festa della donna. Aprile: Pasqua. Maggio: Festa della mamma. Giugno: Prime Day. Luglio: saldi. Settembre: Back to school. Ottobre: Halloween. Novembre: Calendario dell’avvento. E poi di nuovo Black Friday. E così via. Il consumatore si è abituato che comprare a prezzo pieno è da fesso, dagli torto.
I retailer creano/amano/odiano il sistema, ma non possono smettere. Perché se tu non fai lo sconto, il tuo competitor lo fa e vende lui. È il darwinismo commerciale e/o il gioco del pollo1, la sfida a chi molla per ultimo, prima di schiantarsi.
Il PED
Piano editoriale. Calendario editoriale. Fa ridere comunque lo chiami. Un gioco che si svolge su di un foglio Excel con celle vuote che qualcuno – probabilmente voi o qualcuno pagato da voi – dovrà riempire con “contenuti”. Il PED del 2026 dunque sarà identico a quello del 2025: pieno di buone intenzioni strategiche a gennaio, e rottura di palle collettiva per tutto il team marketing per il resto dell’anno. Il PED è nudo, ma a tutti conviene vederne i vestiti.
I tagli al budget
Il marketing è un investimento, non un costo – lo sosteniamo da vent’anni e ogni CFO continua a non crederci, e sai che forse alla fine è lui a convincere me e non viceversa? Mentre le altre voci di spesa hanno ROI prevedibili, il marketing oscilla tra proclami insostenibili “abbiamo fatto +30% grazie alla campagna” e scuse come “non sappiamo bene cosa non abbia funzionato”.
(L’incapacità di trattare il marketing come un portafoglio di investimenti – alcuni sicuri, altri rischiosi, alcuni a breve, altri a lungo termine – è un problema strutturale a livello di organizzazione. E nel 2026 sarà ancora lì. Al primo trimestre difficile, il CFO guarderà il budget marketing con l’acquolina in bocca.)
Lo slop AI
Uno dei report sul 2026 aveva una corposa sezione critica sullo “slop”: parola dell’anno dell’Economist per “contenuto pigro, generico, fatto con l’AI” = MALE per il brand. E quindi la prescrizione medica: “I brand dovranno usare l’AI per fare contenuti migliori, non solo più contenuti”. Peccato che la storia ci insegna che succederà quello che è sempre successo: contenuti in quantità, a costo basso, fatti in serie con Canva, Fiverr, Claude, senza rischiare nulla, e senza nessuna possibilità di competere con quelli dei creator, che dovremo per questo motivo pagare sempre di più per “bucare l’algoritmo” per noi.
Social Shopping (assenza di)
Tutti gli anni qualche report (il 2026 non fa eccezione) annuncia che “esploderà lo shopping sui social”. Instagram Shopping! TikTok Shop! Live commerce! E tutti gli anni funziona per qualche categoria merceologica (beauty, fast fashion cinese, Temu-cose), ma resta marginale per tutto il resto.
Perché comprare sui social è scomodo. La UX è peggiore, il processo è macchinoso, ti si chiude Instagram e vai poi a ritrovare quel carrello, perso per sempre nel cloud. La stragrande parte degli acquisti continua a essere su Amazon, sui siti, nei negozi.
Lo shopping social è come le televendite o quei venditori al mercato col microfono: esiste, ha il suo pubblico, ma non cambierà il mondo. E come per loro, resterà confinato ad acquisti di impulso, a prezzo basso, con una forte componente di entertainment.
Il brivido dell’acquisto
L’ultima grande annunciazione: arrivano gli agenti AI che comprano per noi. Tu dici “ho bisogno di scarpe da running”, l’AI cerca, confronta, compra. Efficientissimo, no? E invece.
In Silicon Valley si dimenticano che noi vogliamo C-O-M-P-R-A-R-E. Lo shopping non è un problema da risolvere, è un’attività che ci piace. Perché il processo è il prodotto.
Vogliamo girare ore per negozi caldi e camerini puzzolenti, vogliamo scrollare per ore e riempire carrelli che non chiuderemo, vogliamo soffrire nelle code di via Indipendenza a Bologna l’8 dicembre anche se potremmo ordinare tutto da casa, come dice Zalando nei suoi cartelloni (good try, but, Zalando).
Delegare a un’AI significa rinunciare al piacere perverso e masochistico del consumo. Continueremo a tenercelo per noi.
Le metriche
“5 milioni di impressions” (con la s finale che fa più impressione) nel report. Nessuno al tavolo sa cosa significhi davvero. Un’impression è uno scroll veloce? È mezzo millesimo di secondo di video visto? È un bot? Non importa, purché il numero sia grande.
Sappiamo tutti che le visualizzazioni non significano niente. Che metà del traffico rimanendo bassi è non-umano. Che le metriche delle piattaforme sono ottimistiche (a volte dopo anni ci dicono “ops! ci siamo sbagliati a contare”). Ma continuiamo a usarle perché sono incluse nella dashboard, facili da mostrare, e soprattutto perché comunque tutti le usano.
Il 2026 sarà identico. L’alternativa – misurare l’impatto – costa troppo e rischia di dirci cose che non vogliamo (far) sentire.
Il last click
Last click attribution: l’utente ha comprato dopo aver cliccato su quell’ads, quindi quell’ads ha funzionato, quindi investo più soldi in quell’ads. Fine. È un metodo stupido, chiunque lo sa. Ignora tutto il customer journey, tutto il lavoro trascorso di awareness, tutto il percorso che porta all’acquisto. Ma continueremo a usarlo.
Perché? Perché il Marketing Mix Modeling costa – in termini di sbatti, di cultura consolidata e IT (“e poi chi ci dice che…”), le ricerche costano (“e poi chi ci dice che…”). Preferibile restare nel dubbio, attribuire tutto al last click, e spendere i soldi risparmiati in misurazione in... altro last-click.
Bonus: lo sapete vero, che continueremo a usare i cookie per sempre? Ogni anno qualcuno annuncia che “i cookie sono morti”, poi Google rimanda di un altro anno, e tutti tiriamo un sospiro di sollievo. Perché senza cookie dovremmo ripensare tutto. E ripensare tutto costa fatica.
Le piattaforme USA
Ogni sei mesi parte la conversazione: “Dovremmo diversificare”, “Dovremmo investire su alternative”. Ogni sei mesi finisce allo stesso modo: restiamo su Meta e Google.
Perché? Perché funzionano. Perché ci sono tutti. Perché i tool sono maturi, le audience sono enormi, e cambiare piattaforma significa ripartire da zero. Bluesky non ha funzionato (e non funzionerà, in Italia, almeno). Mastodon è rimasto roba da centri sociali come era nato.
E quindi nel 2026 continueremo a lamentarci del monopolio, a temere i cambi di algoritmo, a odiare Zuckerberg, ma a spendere lì i nostri budget. Perché il marketing, alla fine, è pragmatico: va dove sono le persone. E le persone sono su Meta e Alphabet, uso i nomi di Borsa perché le persone sono valori azionari.
Google Analytics (il rimpianto per il vecchio)
Google Analytics 4 è oggettivamente peggiore di Universal Analytics. Lo sanno tutti, lo ammettono anche in Google (a bassa voce). L’interfaccia è confusa, i report sono da fare e poi non li ritrovi. Ma Universal Analytics è morto, e quindi ci tocca GA4.
E quindi nel 2026 continueremo a fare la stessa cosa che facciamo dal 2023: lamentarci nostalgicamente di quanto era bello UA e poi usarlo comunque perché non c’è alternativa (o meglio, ci sono alternative, ma migrare costa e nessuno ha voglia).
La nostalgia per un tool di analytics. Siamo arrivati a questo punto.
Il lamento della classe culturale
Newsletter. Podcast. Substack. Ogni anno qualcuno annuncia che “è l’anno dei creator indipendenti”, che “finalmente si può vivere di contenuti”. E ogni anno la realtà è la stessa: i numeri per camparci sono impossibili in Italia.
Il problema non è Substack. Il problema è che in Italia il pubblico disposto a pagare per contenuti culturali è microscopico. Puoi avere 5.000 iscritti alla newsletter e se va bene 50 abbonati a pagamento a 5 euro lorde al mese, quando con dieci euro un utente si prende il New York Times. Il podcast funziona (con le ospitate e le serate) se sei nei primi dieci in Italia: ma è più probabile diventare calciatori professionisti.
E quindi nel 2026 sarà identico: chi fa contenuti lo farà per passione, o come side hustle, o perché ha un altro lavoro che lo sostiene. Mi fischiano le orecchie.
Le menzogne del consumatore
Sondaggio: “Mi preoccupo della sostenibilità”. Comportamento: compra fast fashion. Sondaggio: “Voglio trasparenza dai brand”. Comportamento: compra comunque su Amazon senza leggere nulla. Sondaggi: “La privacy è importante”. Comportamento: accetta tutti i cookie senza leggere. Sondaggi: “Quest’anno risparmiamo per il Black Friday” Comportamento: nuovo record di vendite.
Questo gap tra dichiarato e comportamento reale è il grande non-detto del marketing. La realtà è che il consumatore è umano: pigro, contraddittorio, e alla fine guidato dalla convenienza.
Nel 2026 quindi i sondaggi continueranno a dirci che “i consumatori vogliono autenticità”. Ma noi sappiamo che.
Non usare la AI (fingere di)
“Questo concept l’abbiamo sviluppato internamente con il team creativo” – dice l’agenzia. Peccato che il 75% sia uscito da ChatGPT, poi limato a mano per togliere i “pertanto” e gli “inoltre” e quello stile prolisso.
“Il brief strategico richiede tre settimane” – dice il marketing manager. Peccato che la prima bozza sia uscita in 10 minuti su Claude, poi riscritta per sembrare più umana meno intelligente e giustificare le tre settimane di riunioni.
Nel 2026 continuerà questa commedia: tutti usano l’AI, nessuno lo ammette. Le agenzie perché devono giustificare i costi (“se lo fa ChatGPT in 5 minuti, perché vi pago 10k?”). Il marketing perché deve giustificare il tempo (“se bastava un prompt, che ci fai tutto il giorno?”).
La verità è che l’AI è diventata il Photoshop degli anni ’90. Il grafico non ammetteva di usarlo perché “sminuiva il lavoro”.
Il valore non è nel prompt, è nel sapere cosa chiedere, come raffinare, cosa tenere e cosa buttare – da entrambe le parti. Ma siccome spiegarlo è complicato (ed è un po’ come il dilemma del prigioniero2), è più facile far finta tutti che tutto sia fatto a mano. Come i ristoranti “cucina casalinga” che usano il tortellino industriale ma in cui la nonna impasterebbe, date alla mano, da 140 anni. E se continuiamo a fingere di credere nei tortellini, perché non possiamo fare lo stesso con l’AI?
Naturalmente, la sola cosa che non cambierà mai è fare post con dieci punti elenco. Del resto, è dai tempi di Mosè che funziona, ‘sta cosa.
In ogni caso: ho messo alla ricerca ChatGPT con un po’ di senso di Gianluca per fonti e istruzioni, ed ecco a voi il Report dei Report delle tendenze 2026 nel marketing (anche in formato Kindle). Ne leggete uno, così poi per un anno siete a posto.
Il libro giallo in tournée
Il tour del libro giallo è terminato, per il 2025. Ecco il mio talk, tratto dal libro, allo Storytelling Festival di Bari.
Per workshop e presentazioni nel 2026, scrivi a eventi@diegoli.com o a Elastica.
I negozianti che insegnano il marketing
Fa un po’ indizio di rapimento, però, dai, funziona.
Spotted da Daniele.
Cose mie che potrebbero interessarti
La scorsa settimana abbiamo parlato del culto di Legami, a cui – qualunque sia il tuo ruolo genealogico – non puoi sfuggire.
È fuori la quarta puntata di Taglio, il mio inserto audio di 20 minuti in cui commento alcuni trend e dati di marketing (ora anche in podcast vero e proprio).
È uscito il mio articolo sugli orari in cui acquistiamo in negozio e online. Si legge su Tendenze di GS1.
Ci si sente venerdì prossimo. Per qualsiasi cosa, futile o no, scrivete a gluca@diegoli.com.
Ciao,
gluca
E grazie come sempre a Daniela Bollini per la paziente revisione del testo, a Cristina Portolano per i separatori, e a Boraso per la sponsorizzazione di questo episodio.
Quiz: c) 894. Mia rilevazione personale (screenshot fornito a richiesta).
![Il venerdì di [mini]marketing](https://substackcdn.com/image/fetch/$s_!vuky!,w_80,h_80,c_fill,f_auto,q_auto:good,fl_progressive:steep,g_auto/https%3A%2F%2Fsubstack-post-media.s3.amazonaws.com%2Fpublic%2Fimages%2Ffd6be18f-4b0e-47da-9179-9f32052c5bcb_554x554.png)

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