[È il 223° venerdì] Il tramonto dell'economia (e del marketing) comportamentale
Siamo all'hangover post-sbornia da bias e da Cialdini?
Una persona mi ha chiesto se può usare questa newsletter per cercare di far replicare all’intelligenza artificiale il modo in cui scrivo, era un po’ preoccupata che mi offendessi, credo. Ma certo che no, se posso evitare di lavorare, meglio ancora. Io gli do le idee e il mio clone le scrive come me, bello.
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L’inizio della fine del behavioural marketing?
D’estate il marketing italiano sonnecchia più del solito. Nessuno o quasi (edit: salvo il Post, dopo che avevo finito questa newsletter, a cui rimando per chi è a digiuno totale dell’argomento1) si è accorto del pasticciaccio brutto accaduto in una prestigiosa università americana2 che ha coinvolto vari autori di ricerche e best seller di marketing ed economia comportamentale (se non focalizzandosi sulla lesa patria in quanto un’autrice in causa è italiana).
Ok, passo indietro. Di cosa parliamo?
L'economia comportamentale è una disciplina che cerca di integrare le intuizioni fornite dalla psicologia con l'analisi economica, per comprendere meglio il comportamento degli individui nel contesto economico.
Quando applicata al marketing, l'economia comportamentale può fornire spunti preziosi per comprendere come i consumatori prendono decisioni e come possono essere influenzati.
Alzi la mano chi non ha mai citato Cialdini3 e i suoi famigerati sei princìpi della persuasione in una slide o in riunione.
Roba anni sessanta-settanta. E pensare che prima del 2005 io non avevo nemmeno mai sentito nominare lo psicologo-consulente, men che meno studiato all’università. È invece tornato di moda con il digitale, stranamente, o forse no. Quelle regolette che erano state pensate per i venditori fisici si potevano (almeno sulla carta) applicare alla macchina da vendita più nuova e potente, il web e l'e-commerce. Ricordo di averne parlato, di Cialdini, davanti a una platea di sviluppatori magentiani abbastanza sconvolti dal potere dell’irrazionalità applicata al carrello online, ormai molti anni fa.
Intendiamoci, la riprova sociale (social proof) cialdiniana e gli altri principi (forse meno) esistono, ma non sempre, omogeneamente e indistintamente per settore, prodotto, situazione... Ma la sovrapproduzione di contenuto digitale ha favorito la creazione di mitologie, per cui ogni risultato di esperimento comportamentale, fenomeno sociale non scontato o bizzarria umana, a raccontarli bene, poteva essere applicato in modo univoco e indiscriminato.
Avete presente il principio di reciprocità4 usato per proporre la creazione di infoprodotti gratuiti che poi nascondono quello a pagamento, visto ovunque. Ma funziona? Dipende. Quando ti offrono i pasticciotti gratis per strada a Lecce, evidentemente sì.
Il marketing ha iniziato a ingoiare senza riserve o sani dubbi le ricette del neuromarketing e del behavioural (gemelli diversi, in molti aspetti) per farne articoli da SEO di bassa lega, a loro volta attrattori di traffico di gente alla ricerca della chiave fatata per aprire le menti delle persone come scatolette di tonno. Alcuni risultati dell’economia comportamentale sono citati (prudentemente come mio solito) nel mio libro Svuota il carrello (che, vi ricordo, è un ottimo regalo di Halloween, per portarci avanti nel calendario laico del marketing).
Da un pezzo del New York Times5 che tratta la vicenda:
Molti scienziati comportamentali ritengono che, una volta compreso meglio il modo in cui gli esseri umani prendono le decisioni, potremo trovare tecniche relativamente semplici per aiutarli, ad esempio, a perdere peso (spostando cibi sani più vicino al buffet) o a diventare più generosi (arruolando automaticamente le persone nei programmi di donazione di organi). [O a vendergli qualsiasi cosa, NDR]
Il punto è che, in origine, i premi Nobel Thaler e Kahneman facevano notare chiaramente che i risultati non erano one-fits-all, poi via via gli asterischi si sono persi:
media vs dispersione (ok, forse c’è davvero un risultato “comportamentale”, ma con differenze molto ampie tra individui);
campioni piccoli (e facili da manipolare, come è supposto nel pasticciaccio brutto citato), perché fare esperimenti umani complessi su molte persone costa un botto;
ignorare che la stessa scienza comportamentale nota che gli individui si comportano in modo diverso in situazioni diverse o perfino in stati d’animo diversi.
Eppure nessuna “ricerca” sembrava poter ormai ignorare, per essere cool, questi famigerati “bias”, questi glitch nella razionalità che tanto ci intrigano: perfino il severo e plumbeo Google, nel suo framework-che-non-prescrive-niente chiamato Messy Middle li inseriva come parte del percorso di acquisto.
Ho scoperto mentre scrivevo questa Lettera, dal LinkedIn di Paolo Ratto, che Google ha aggiornato il “modello” con ulteriori iniezioni di comportamentalismo6 ma facendo sorgere ulteriori miei dubbi sulla metodologia7.
Insomma Google ne riconosceva ufficialmente l’esistenza (però “garantita” da una società esterna specializzata in behavioural marketing: adesso chissà se andranno a controllare la bontà degli esperimenti) partendo proprio dai bias ripresi tali e quali dai libri di Cialdini. Nella nuova versione si entra un po’ più nel dettaglio e si cerca di contestualizzare per settore, almeno.
Il problema di fondo della scienza comportamentale è che gli elementi della tavola periodica fanno sempre le stesse cose, mentre gli umani fanno gli umani, cioè, citando un mio amico fanno “un po’ quel ca..o che gli pare”, in modo random. Cioè la ripetibilità di certi esperimenti è dubbia.
Inoltre – non sono un esperto ma – ho sempre pensato che il vulnus principale di queste “scienze” fosse che nei test non viene mai presa in considerazione la consapevolezza del pubblico di essere soggetto a tattiche manipolatorie, sebbene blande, di nudge. Nell’applicazione pratica sapere o capire di essere oggetto di palese sfruttamento di bias, soprattutto nel marketing, ne modifica il risultato, mentre “in laboratorio” la faccenda può essere più sfumata. Avere la consapevolezza che qualcuno sta cercando di sfruttare il nostro bias ne smonta il potere. Pensate a quei siti in cui a ogni secondo esce un popup che ti comunica che “pincopallo da Forlì ha appena acquistato” o Booking ti dice che “è l’ultima camera disponibile!”. Uhm, sarà vero? pensate. Esatto. Ciao ciao Cialdini.
Alla fine sempre all’economia dell’attenzione o del clickbait (follow-the-money!) torniamo: l’editoria dell’economia comportamentale, al contrario della noiosa e complicata teoria economica neoclassica scritta da gente, già dal nome, respingente come Von Hayek, ha invece prodotto una serie di bestseller pop, occupando perfino il famigerato scaffale economia e crescita personale dell’Autogrill, costringendo gli autori a osare sempre di più (e a riciclare all’infinito vecchi esperimenti): cioè più è strano, più fa notizia, più fa notizia, più vende.
Sapete che in un esperimento comportamentale8 (della stessa ricercatrice del casus belli, Francesca Gino) i prof con le sneaker rosse sono percepiti come più competenti di quelli azzimati e vestiti come Giuseppe Conte? (Eh eh, indovinate le mie scarpe al primo giorno di università, martedì scorso). Ma sarà vero? Soprattutto sarà ripetibile, l’esperimento? Vale per ogni prof e ogni università? Gli asterischi non li legge nessuno.
Un altro esperimento della stessa ricercatrice verificava che, spostando la firma del dichiarante in alto nella prima pagina di una dichiarazione dei redditi, anziché lasciarla in calce, si sarebbe abbassata l’attitudine all’evasione fiscale. Così bello che non sembra neanche vero, figurati poi visto dall’Italia. E infatti non lo era.
Per chiudere, cosa dobbiamo portarci a casa dal marketing e dall’economia comportamentale? Come sempre, curiosità, diffidenza e test. Analisi del contesto, lettura degli asterischi.
Partire dal potrebbe essere vero (salvo frodi), o meglio, plausibile ma mai e poi mai prendere questi esperimenti come oro colato. Sono idee da testare, Cialdini è da provare nella realtà: l’esuberanza irrazionale (per citare un titolo famoso) presa così a stampino fa danni gravi. Nonostante il cosiddetto data-driven marketing abbia i suoi limiti, soprattutto in ciò che è facile misurare vs quello che è importante misurare, una strategia basata su di un mix dei due pensieri filosofici è probabilmente la scelta obbligata.
Il marketing insegnato dai negozianti
Un vecchio classico in mille versioni, ma sempre bello.
Forse non lo sai, ma l’originale ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è mio.
Segnalazioni spurie
Ho inaugurato il podcast di Kampaay con considerazioni sul ruolo degli eventi nel funnel e nella misurazione del ROI.
ICYMI È uscito un mio pezzo su Link, un long form sul business del meteo e delle app relative.
Sono a Ecommerce Hub9 oggi. Se sei anche tu lì e mi vedi fai segno che ci salutiamo.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie ancora alle genti di UNGUESS per essere state supporter di questa newsletter.
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ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i (nuovi!) separatori d’artista.
Quiz: b. MD (fonte)
Messy Middle versione 2023 in PDF.