🖼️ [Venĕris dies] Seguire la propria passione o quella degli altri
🖼️ [Venĕris dies] Seguire la propria passione o quella degli altri
di Gianluca Diegoli • Newsletter #42 • Visualizza online
Arriva quel momento in cui non sai che scrivere. La newsletter è ancora bianca ed è già martedì. Al mercoledì hai solo riunioni, al giovedì una formazione in azienda. Non sei particolarmente ispirato: le notizie della settimana sono finora abbastanza insulse. La gente che ti scrive che non capisce come ogni volta la newsletter sia migliore (sic) e l'ansia da prestazione ti assale. Potresti anche saltare un'uscita – del resto, la gente ti pensa molto meno di quello che pensi ecc. – ma questa lettera la scrivi per te, in fondo, ed è come un rituale, o meglio una funzione fisiologica, se proprio devi cercare la metafora più vicina. Non si può saltare un'uscita. Potrebbe non arrivare il venerdì (mi ha detto una lettrice) e passare direttamente al lunedì della settimana dopo, un giorno della marmotta al contrario. Non ci sono scuse come per ferragosto – che poi la release agostana alla fine è risultata letta come le altre, né più né meno.
All'università ogni anno i miei ospiti illustri e io parliamo del famoso piano editoriale (quest'anno abbiamo sottolineato la sottile ma decisiva differenza tra piano e calendario editoriale). Aspetto ogni volta che qualche studente mi dica: e lei prof, lo fa il piano editoriale? Ecco, no, io non lo faccio. Sono colpevole. Scrivo quello che mi colpisce ogni settimana e che tocca tangenzialmente il marketing – non sempre, come nel caso del mio paesino natio della scorsa settimana che ha avuto molta più risonanza di quanto avrei pensato scrivendolo così di getto. Anche se il marketing entra ovunque, dalle fessure dell'umanità, perfino nell'Emilia AM.
E l'improvvisazione dovrebbe avere un valore, dopotutto. La vita viene al 90% improvvisata: l'ho letto in qualche articolo di Medium di self help (prima che abbandonassi Medium subissato di articoli su come avrei dovuto vivere la mia vita, giusta nemesi per aver scritto un post sulla stessa piattaforma dal titolo “non fatevi insegnare come vivere”).
Forse è per questo che i brand online sui social appaiono molto spesso privi di vita, privi di passione. Anche se non rimangono mai senza qualcosa da dire, anzi. I brand in genere hanno paura di due cose: del vuoto e del silenzio.
Il mio farmaco palliativo per non avere un piano (-editoriale) è la passione. Ma la passione non è un modello di business, come non ce l'ha questa newsletter. Giorni fa parlavo con un lettore di persona che mi ha detto “per fortuna che non hai scelto il modello sottoscrizione”. “Certo che no, così posso smettere quando voglio”.
Così alla fine ho deciso di dedicare questa uscita alla passione.
— Non seguire le tue passioni —
Adesso lo dicono in molti, come onda di ritorno e contrappasso dal jobismo del famoso discorso dei folli e degli affamati. Ma poi sotto sotto un po’ ci crediamo, al dover fare delle nostre passioni un lavoro. O almeno che sia conveniente farlo, che sia il destino di tutti. In realtà non lo è, almeno non per chi ha la passione. Per essere conveniente deve avere un'intersezione con “quanto (e quanti) il mercato chiede”. E soprattutto non produrre un output “fungibile”. Scambiabile con qualcuno che ha la vostra stessa passione.
Perché la concorrenza abbatte il prezzo fino al punto in cui per qualcuno non sia più conveniente stare sul mercato. Ma in certi ambiti – ahimé – la passione compensa: troverete sempre qualcuno “per passione” disposto a lavorare a un costo inferiore. La passione è il migliore alleato di una logica liberista del lavoro. La passione più il prestigio percepito di un lavoro sono come il gatto e la volpe della vostra carriera.
La riflessione scaturisce principalmente dalla discussione su Twitter e Instagram sul costo del pezzo giornalistico, che ritorna alla ribalta a intervalli regolari. I giornalisti sono i nuovi rider. Portano notizie indifferenziate a lettori distratti e assuefatti a una scarsa qualità, per le quali non se ne parla di pagare qualcosa. Se un pezzo costa 15 euro, significa che un quotidiano si può fare con mille euro di costo della “materia prima”. Non sono esperto di conti economici di giornali, ma credo che i problemi economici del settore non dovrebbero essere il costo dei giornalisti freelance, dunque. Forse il problema è nel suo modello di business.
Ma a parte questo, i manager dell'editoria non sono più cattivi di altri. Si chiama fattore “abbiamo la coda fuori”. È il mercato. E le cose andranno molto peggio prima di andare forse meglio. Il pezzo da 15 euro potrebbe essere in futuro perfino un'intelligenza artificiale a crearlo, e più velocemente. Del resto abbiamo pure gli influencer artificiali.
La scrittura, la fotografia, sono passati da arti per elite a strumento produttore di diluvio di contenuti.
L'unica via è usare la passione, sì, ma per conoscere meglio un mercato – i bisogni di chi compra –, poi per subire meno la fatica nel lavorare (e quindi allenarsi più degli altri), trovare meta-passioni (la mia strada personale che descrivo sotto). Poi però serve capire anche che per il 99.99% di noi la passione, da sola, non ci differenzierà sul mercato, e non potremo vivere di quella.
— Le passioni degli altri —
Spesso dico agli altri di non avere passioni e loro non ci credono. Ma è, in un certo senso, vero. Da piccolo avevo già in nuce questa cosa e un po’ ci soffrivo: non stavo male se la mia squadra perdeva, non passavo il sabato a smontare i carburatori per sostituirli, per far correre di più la moto. La bici era solo un mezzo di trasporto economico ma che faceva sudare. La mia prima macchina era solo un modo per andarsene un po’ più lontano e caricarci amici e amiche: cosa ci fosse sotto il cofano non lo volevo sapere (e anche adesso, caro venditore di auto, non mi interessa, davvero). Compravo Superbasket, ma a un certo punto anche quello mi è venuto a noia. E giocavo pure a basket, ma più che altro perché poi si facevano due chiacchiere al playground. Ci fu un momento in cui lo andavo a vedere, il basket. Oggi meno. Finivo per osservare i tifosi per la maggior parte del tempo: conoscevano i cori a memoria, si coordinavano, si vedeva che avevano messo più impegno per preparare quei 90 minuti che per qualsiasi altro impegno in settimana. Avevo una certa passione per la new wave, ma a un certo punto, la musica si è come interrotta, e non rimpiango il tempo che dedicavo a saperne qualcosa, dei nuovi gruppi e dei loro dischi. Ora ascolto praticamente solo la musica casuale di Spotify, on demand: non so i nomi dei gruppi e delle canzoni, e uso Shazam quando proprio voglio avere un argomento di conversazione. Regola: quello che ti procuri “on demand” non è una passione.
— Passione per il digitale —
Da qualche tempo questa domanda mi arriva ogni settimana. “Faccio X (dove x è tipo il geometra) e voglio lavorare nel digitale. Ho già un lavoro, ma vorrei lavorare nel digitale, è la mia passione. Che dici, mi licenzio per lavorare nel digitale?”
Io sono in estremo imbarazzo nel rispondere, anche perché non so a quale titolo potrei rispondere. Probabilmente, grazie a questo blog, sono più accessibile di tanti altri che hanno ben altro potere nel “digitale”, e quindi risulto comodo per fare domande esistenziali.
Sinteticamente, di solito rispondo con alcuni punti: questi.
Non esiste(rà) più un “digitale”. Non a lungo. Forse smetterà di esistere ancora prima di quanto pensavamo. Esisterà un ambito pubblicitario, un ambito marketing, un ambito comunicazione, ma anche un ambito risorse umane, logistica, legale, finanziario, amministrativo imbevuti di digitale fino al midollo. Ma conterà sempre (e forse ancora di più) saper gestire la trasformazione dell’azienda (o della tua funzione!) al digitale, rispetto a essere dei “puri e duri” lavoratori del digitale.
(Leggi le altre 9 risposte a “come lavorare e perché nel digitale”)
— Se ve lo siete perso —
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Il futuro è negli algoritmi. La tv non profila abbastanza (questa parte è la mia). Il palinsesto lineare è morto.
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Il libro mio e dell'ex direttore marketing di Tesco.
— Sto leggendo —
E-shopper e Info-shopper: chi compra online e chi si informa per comprare
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— Il quiz della settimana —
Quanti volantini vengono stampati ogni anno in Italia?
a) circa 1 miliardo; b) 13 miliardi; c) 37 miliardi
— Corso di markettese —
“L’azienda leader nel settore delle spezie e erbe aromatiche è ora presente su Facebook e Instagram con contenuti premium dedicati ai food lover.”
Traduzione: abbiamo fuori tempo massimo aperto una pagina su Facebook e ci abbiamo messo qualche ricetta.
— Programmatic —
— UX —
— Negozianti —
—
(Sì, questo è repurposing: cioè probabilmente nel tuo archivio c'è qualcosa che ha avuto molto successo ma che solo il 10% dei lettori ricorda. “La gente ci pensa molto meno di quanto pensiamo”, di nuovo. I primi due post li avevi già letti? E se sì, te li ricordavi?)
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Take care, gluca
Risposta al quiz: 13 miliardi.
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Curato con passione da Gianluca Diegoli con Revue.
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