😎 [È venerdì Summer Edition] Il ristorante che propone tutti i piatti allo stesso prezzo
I menu toscani sono più intelligenti di quanto sembra a prima vista
La settimana scorsa mi sono fermato a mangiare in un ristorante sulle colline di Pèccioli, in Toscana. Dopo aver dato un’occhiata al menù, ho notato che tutti gli antipasti avevano lo stesso prezzo. Idem i primi. E perfino i secondi e i dessert. Una scelta insolita, ho pensato. A prima vista non ha senso: ogni prodotto ha i suoi propri costi, per quanto simili possano essere. Dunque il prezzo deve essere necessariamente diverso. Giusto? Sbagliato. È così solo se procediamo a fare i prezzi come ho visto una volta quando ero direttore del marketing in un’azienda che produceva penne stilografiche (ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio, tra l’altro quell’azienda non esiste più, ma non per le cause che pensate sicuramente per prime). Come si facevano? Trascinando in Excel la riga della somma dei costi (quelli variabili e diretti più quelli indiretti e all’incirca fissi) in modo da mettere un mark-up fisso del 50% (non ha chiuso nemmeno per questo, se ve lo state chiedendo). Veloce ma non indolore. Non indolore perché alcuni pezzi combattevano in un mercato altamente competitivo sul prezzo, e perdevano. Altri pezzi si trastullavano in un mercato “premium”, dove avremmo potuto ricaricare il 100% e nessuno avrebbe fatto una piega. Ma anche perché così facendo in pratica si creavano centinaia di prezzi leggermente diversi. Il che diventava un casino, certo dal punto di vista contabile e della comunicazione al canale di vendita e ai rivenditori, ma soprattutto perché faceva soffrire inutilmente di overflow cognitivo il povero acquirente. Sarà meglio la versione X a 385 euro, quella Y a 390 o quella Z a 380? (Sono i prezzi delle penne stilografiche, non dei piatti del ristorante). Ma perché dovremmo impegnare i pochi neuroni attenti di un possibile compratore per farlo ragionare su dieci euro di differenza su 390, e rischiare che non ce ne dia nemmeno uno, di euro? Non ha senso. Perché devo far impegnare il cliente a un arbitraggio mentale tra due piatti di carne per tre euro di differenza? Vuoi mettere la tranquillità di avere un conto facile in testa ancora prima del conto?
Il marketing lavora troppo sul fare “praticamente” i prezzi, sotto schiaffo del commerciale (che non dovrebbe farli, per conflitto di interessi palese), e ragiona troppo poco sul come farli. “Un secondo è un secondo”, bene, 20 euro. Anche se scegliere la tagliata, il maialino (non ricordo come si chiamava in slang tosco) o un’elaborata alternativa vegetariana comporta per il ristoratore margini leggermente diversi, di sicuro la soluzione migliore è che il cliente scelga qualsiasi cosa. E al massimo, per ristornare un po’ il margine, diminuire le porzioni (o i costi) – cioè lavorare di sottrazione. Nel caso delle penne, il prezzo doveva essere calcolato seguendo la massimizzazione del margine, cercando di calcolare, almeno spannometricamente, la competitività e l’elasticità della domanda. Nel caso del ristorante, ha fissato il prezzo unico secondo lo standard di prezzo per cui voleva competere.
Ovviamente tutto ciò funziona se il target non è eccessivamente price-driven, il posizionamento ottimale e il catalogo uniforme. Se propongo piatti da dieci euro e altri a 50 euro le cose matematicamente potrebbero complicarsi: ma il problema principale, a quel punto, sarebbe il posizionamento, non il pricing.
Sul prezzo avevo scritto in passato: qui, qui e qui.
Fa caldo, grazie di aver letto comunque,
ciao,
gluca
Non so se Daniela farà ha fatto in tempo a fare l’editing, in ogni caso gli errori sono miei.