Questa edizione della newsletter esce grazie al fondamentale supporto di monday.
Sto scrivendo mentre una pattuglia di bresciani tipo truppa d’assalto sta montando i pannelli solari: sento già l’inflessione montare nelle mie parole. Sono Zelig, io.
Ho scoperto che il termine vegan deriva dall’eliminazione della parte centrale del termine vegetarian: non ci avevo mai pensato.
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Come gestire al meglio i carichi di lavoro del team
Una corretta gestione dei carichi di lavoro (o workflow management) è fondamentale per ottenere il massimo della produttività aziendale evitando stress o complicazioni. Pochi accorgimenti e gli strumenti giusti sono la chiave per mettersi da subito sulla strada giusta.
Ci sono due best practice preliminari:
Scegliete un unico strumento dove mappare tutti i processi
Condividete un metodo agile per consultarlo e aggiornarlo
Fatto questo, siete pronti per mettere ordine nel vostro flusso di lavoro in 5 step:
Create una lista ordinata di tutti i progetti, in modo da avere l’esatta dimensione delle attività da svolgere
Calcolate per ciascuno il tempo indicativo di esecuzione previsto
Scomponete ogni progetto in step più piccoli, indicandone le scadenze e assegnandoli alle giuste risorse da coinvolgere
Valutate se la distribuzione delle consegne è equilibrata tra le varie risorse e in linea con il loro tempo
Monitorate regolarmente i progressi intervenendo con eventuali modifiche se necessario
Questi passaggi vi permettono di procedere con ordine nel definire priorità, responsabilità e deleghe. Una buona distribuzione dei task prevede di seguire in modo sequenziale le attività di ogni progetto, e ciascuna risorsa avrà ben chiare le urgenze: quelle collegate alle scadenze e quelle funzionali a sbloccare i passaggi successivi del flusso.
Fortunatamente esiste un tool chiaro, intuitivo e rapido da configurare che si occupa di pianificare tutto questo (e molto altro). Si chiama monday ed è il task management che si trasforma nel centro di comando di qualsiasi progetto operativo.
“Provare per credere!” Attiva la tua trial gratuita.
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Di sofà e poltrone
Questa settimana si è aperta con una newsletter che leggo più per vezzo che altro, quella della TV Svizzera, in italiano ovviamente, che si occupa di cose italiane con un misto di ingenuità e distacco, come un vicino di casa che osserva il nuovo arrivato nel quartiere. Tra vari articoli sulla politica di Roma e interviste ai frontalieri comaschi, questa settimana spiccava questo titolo: Le scomode verità su Poltrenesofà (il typo è loro, forse per sfregio, forse per sfuggire ai motori di ricerca degli avvocati?). Vedete già il tentativo di fare il gioco di parole alla Report? In effetti credo che la rubrica sia un po’ quella.
Ma chi lo sapeva che Poltronesofà (d’ora in poi PS) avesse aperto otto negozi in territorio elvetico? E ciò ha attivato il giornalismo d’inchiesta sul lago di Lugano, nonostante – lo dicono a inizio puntata del reportage – PS sia un inserzionista (cosa che in Italia non sempre succede). Si parte dritti al punto, senza paura.
Chi monta, imbottisce e cuce i divani di Poltronesofà? Chi sono i veri artigiani della qualità? Qual è la ricetta del successo di questo gigante del mobile imbottito? E come fa, quindi, a vendere i suoi prodotti a prezzi stracciati?
Patti chiari (ndr: è il nome della trasmissione, deliziosamente retrò) svela cosa si cela dietro questa azienda, dietro la sua formidabile ascesa e dietro i divani che (non) produce e commercializza. Farà luce sulla sua strategia pubblicitaria e sulla sua politica dei prezzi che in Italia e Francia le sono già costate diversi milioni di franchi in multe.
Oh, misericordia: io li immagino attraversare la frontiera a Chiasso con gli occhiali da sole, entrare di soppiatto in territorio italiano, con telecamera e scorta di emmental. Sono entrati nella sede di PS con quelle telecamere fisheye da agente segreto. Poi sono tornati a Lugano, e ci hanno fatto un documentario, con tanto di avvocato di PS presente in trasmissione.
“Noi siamo andati a Forlì e abbiamo scoperto che Potrenesofà (ndr: altro typo loro, sono evidentemente indignati e gli tremano le dita) non produce un singolo divano.”
E niente, hanno scoperto che i divani, lì, non li fanno. Strano eh.
Non gli basta lo scoop: gli inviati svizzeri vanno di persona a trovare i clienti di PS in territorio elvezio, tutti un po' delusi da questo “'made in Italy”. C’è quello con il divano sfondato al primo appoggio. Nessuno ci risponde dal servizio clienti, sostiene. “Quello che manca all’Italia è il servizio post-vendita”, ribadisce un altro cliente intervistato. Non ha tutti i torti, in effetti. Qui temevo che il documentario si impantanasse nel noioso lamentio dei clienti. E invece dopo lo stacco si passa al pezzo forte: sconti e prezzi. Prendo i popcorn.
Mi fa un po’ male al cuore sentire il cliente di Bellinzona che sostiene con serietà di averlo pagato il 50% del suo valore. Gli inviati allora (si muovono tra Gabanelli e Amelie, come posizionamento) vanno a ricomprare lo stesso divano e scoprono che in quel momento costa ancora meno, con grande scorno del signore bellinzonese. È attivo ora infatti uno sconto del 45% più un ulteriore 5% (geni della manipolazione, è un vecchio trucco lungamente studiato nell’economia comportamentale: le persone sono più attratte dal doppio sconto che da uno solo ma del 50%, mentre in realtà lo sconto doppio è solo del 47%, in quanto il 5% è calcolato sul 55% del prezzo, cioè al netto del primo sconto).
Naturalmente la promozione dura in teoria solo fino al sabato successivo, tre giorni dopo. Nel mio libro Svuota il Carrello (che, vi ricordo, è ottimo da portare in spiaggia) ho raccontato che, quando lavoravo a una telco, c’era un programmino software in PHP che traslava la data di scadenza della promo automaticamente al mese successivo – e con mio grande scorno (ai tempi avevo più fiducia nell’umanità) funzionava. Ogni fine mese/saldo c’era un piccolo picco.
Si prosegue: la giurista svizzera strabuzza gli occhi, povera, balbetta “ma è illegale!”. PS – dice – non sembra aver fatto i conti con la ferrea legge svizzera: “Il prezzo comparativo può essere indicato durante metà del periodo in cui è stato o sarà praticato”, tradotto significa che per almeno il 66,6% del tempo il prezzo deve essere pieno, sennò non è un vero prezzo. Cioè è un inganno, ma soprattutto – e su questo all’estero (maledetti neoliberisti) sono più stringenti – è concorrenza sleale! (Su questo tema prossimamente sul web ci sarà da divertirsi, è in arrivo una direttiva europea sui come mostrare i prezzi scontati che farà impazzire i programmatori).
Poi gli ingenui inviati svizzeri si concentrano sull’artigianalità: ovviamente scoprono che il divano è fatto in serie, pure abbastanza alla buona. L’azienda del resto aveva già cambiato da “artigiani” a “maestri” della qualità il titolo dei protagonisti degli spot, qualunque cosa voglia significare maestri. Forse che portano un grembiulino marrone. E sempre gli inviati insistono – che rompiballe – sul fatto a mano in Italia. La giurista dice che l’inviato deve controllare! E lui lo fa. In realtà basta guardare il bilancio, e in PS ci sono solo tre operai su 700 dipendenti. Insomma, chi fa ‘sti divani?
(Scopro che Forlì è capitale del mobile imbottito). O meglio, lo era, perché…
Gli svizzeri seguono il camion di un produttore di telai per divani chiaramente di tipo industriale, che casualmente arriva a Forlì, dove entra in un reticolo di appalti e subappalti divaneschi. Insomma, ne esce che la maggior parte del lavoro lo fanno ditte cinesi con operai cinesi, PS paga i subappalti – azienda, non l’operaio – circa 12 euro all’ora. (Qui il plot si fa entusiasmante, da podcast crime: arriva lavoro nero, evasione fiscale, lavoro 24 ore su 24, si dorme in fabbrica, ecc.). Per fortuna ci sono anche gli interinali immigrati, pagati poco, ma almeno non sono in nero. Una telecamera nascosta apre una rivelazione shock: c’è pure differenza tra divano “fatto bene” per esposizione, e quello “normale-fatto veloce” per la vendita.
Come non provare un po’ di empatia – sia pure vergognandosene un po’ – per i cattivi della situazione? (A parte i casi di uso borderline di prezzi e sconti contrari alla legge, ovviamente, che però a modo loro sono oggettivamente ben fatti, da un certo punto di vista). Quelli di PS hanno sfruttato ogni fessurazione già incrinata del consumatore medio.
Uso smodato di testimonial, che servono sempre per fare breccia verso i più sprovveduti – Orietta Berti, dai, chi non si fiderebbe. E Carlo Conti? E Sanremo? E Sabrina Ferilli? “Poltronesofà, beato chi se lo fa il sofà!” Però, ehi, non ti azzardare ad apparire più dello sconto o del prodotto, caro testimonial. Bravi a farsi valere.
Batti e ribatti: l’awareness funziona, meglio se con uno slogan ripetuto allo sfinimento, usando 58 milioni di euro all’anno (15% del fatturato), soprattutto in TV, giornali e radio, il che ti mette subito tra i principali spender pubblicitari (e che, da non trascurare, ti garantisce che nessuno ficcherà troppo il naso, a parte gli ingenui e puntaca**isti svizzeri). Questo perché l’awareness presidia i momenti di ingresso del percorso di acquisto. PS la prendi in considerazione per forza. È la prima che ti viene in mente. La condizione per cui, poi, qualcosa resta attaccato, sempre.
Creatività pubblicitaria? Il meno possibile, grazie. Non date retta ai guru di Cannes che a intervalli regolari dicono “PS ha stancato con questi spot”.
Presidio del territorio: far vedere e toccare, cercare il contatto umano che il consumatore medio pensa sia salvifico (“è un arredatore”) e invece lo frega, perché di persona è difficile dire di no e andarsene a mani vuote. “Caro consumatore, per te il funnel finisce qui”. Ne ho parlato in un capitolo del mio libro: anche io ho comprato un divano – anche se non da loro, ma nel settore tutti si assomigliano molto.
Sindrome di Stoccolma: “è il mio divano <3” è un commento frequente su Facebook. La gente non vuole pensare di aver preso una sola. E comunque fanno appositamente basso investimento (relativo) sul digital, troppa interazione fastidiosa.
Sfruttamento dell’incapacità di valutare la qualità e disparità di conoscenza: quante volte si compra un divano nella vita? Troppo poco per capirci davvero qualcosa, mentre il prezzo lo capiscono tutti.
Credulità sul prezzo: “la gente non è la vostra biografa” (cit.) e quindi non saprà mai che quel divano era già in sconto un anno fa. Ma, in ogni caso, ci piace illuderci, ci piace quel senso di aver fatto l’affare, anche se sappiamo che non è vero.
In La spinta gentile Thaler descrive la distorsione cognitiva del consumatore che battezza utilità di transazione: siamo attratti ugualmente dal possesso e dal risparmio, anche se teorico.
“Le multe dei garanti sono solo un altro costo di produzione”: si va avanti comunque, si incassa, e si paga e così via. Basta tenerlo nell’Excel del controllo di gestione.
Se hai abbastanza budget per la pubblicità, la stampa e la TV non ti romperanno troppo le scatole.
Nessuno al momento si chiede (davvero) chi ha fatto il suo divano, con quali risorse, dove, e soprattutto in che condizioni di lavoro. Quando sento ai convegni cose come “Innovazione digitale ed ecosostenibilità saranno i temi principali del 2021, i Big del mobilio Made in Italy sono già pronti per la transizione ecologica”, io quelli di PS li vedo a guardare i dati della TV, sorridendo.
Non date retta a Ogilvy che – anima bella – diceva “Il consumatore non è uno stupido. È tua moglie”. (Non ho mai capito bene questa cosa della moglie.) In ogni caso, non date per scontato che là fuori qualcuno (o almeno la maggioranza) ragioni davvero. Non date per scontato che la qualità sia la via unica. Non date per scontato che alla fine si compra per una serie di motivi razionali. Non si diventa leader di mercato senza conoscere bene il mercato. Sono dei Maestri, del resto.
Dei maestri della (perennemente considerata crepuscolare, ma mai diventata notturna) modalità di fare interruption marketing, in barba a Seth Godin, all’inbound e al Cluetrain Manifesto, che ha le sue radici culturali (artigianali, mi viene da dire) nelle televendite notturne e nei pullman Aiazzone. Non è detto che il modello di business del divano durerà per sempre: i clienti intervistati sono anzianotti, in effetti. Come sta acquistando la coppia millennial? Come acquisterà il divano la Gen Z? Via TikTok? E qualcosa mi dice di non essere più ottimista di ora, sulla razionalità dell’acquisto.
Il quiz della settimana
Quanti divani escono al giorno da Poltronesofà, secondo la TSI?
a) 500 b) 1.200 c) 3.500
Negozianti
Dalla Calabria, foto mie. La prima è la mia preferita: customer service.
Link della settimana
Imperdibile l’ultimo aggiornamento di
(Iscrivetevi se non l’avete ancora fatto).Sto leggendo
e in particolare il post sul trovarsi uno scopo nella vita. (Idem, l’unica newsletter di lifehacking che leggo)Scott Brinker ha scritto l’articolo più lucido sulla guerra della AI tra OpenAI, Google e… Meta-Opensource.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie di nuovo a monday e OpenSymbol per il supporto.
Per commenti, dubbi aziendali o sponsorizzazioni basta rispondere a questa mail – sì, rispondo a tutte le mail.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i separatori d’artista.
Quiz: ovviamente 3.500.