[È venerdì] Oh Alexa, Alexa, perché sei tu, Alexa?
È ora di fare un bilancio della nostra relazione.
Anche in questa puntata ospiterò una rubrica, Marketing Data Driven, pensata e realizzata in collaborazione con SAS. Il nostro obiettivo è quello di esplorare le opportunità che i dati offrono al marketing manager per creare messaggi rilevanti ed efficaci per la propria audience.
Oh Alexa, Alexa, perché sei tu, Alexa?
Chi vi scrive viene preso in giro quotidianamente perché cede immancabilmente alle lusinghe della grande A con freccia da sinistra a destra ogni qualvolta lo speaker (che si chiama ufficialmente Echo ma noi lo chiamiamo metonimicamente Alexa) va in promozione imperdibile.
Ne ho quattro, in casa (uno dato in affido alla late millennial, un altro, affidato al gen z, mi è tornato indietro con somma delusione). Ho perfino quello scrauso, uno scatolotto di plastica orrendo che parla come una radio AM del 1983, in pratica una cimice legalizzata sotto la scrivania dell’ufficio-a-casa. Ho collegato le lucette natalizie e la musica lounge serale, la lampada del salotto e chissà altro di cui mi sono scordato.
Sono un inguaribile early adopter, lo ammetto. Mi piace provare le cose. Mi piace sperperare i miei dati personali, presupponendo che i brand mi faranno vivere — prima o poi — esperienze personalizzate travolgenti, cosa che non succede poi quasi mai. Forse perché in un atto estremamente irrazionale (visto l’armamentario tipo Stasi-DDR che ho in casa) uso da sempre ad blocker sul browser e pure sul telefono. Forse è più fastidio per i banner e per il cookie banner stesso che per la diffusione dei miei dati ad anonime adtech, in effetti.
C’è però anche un altro motivo che mi ha fatto esplorare le meraviglie della connessione vocale: il sospetto. Non sull’uso maligno dei miei dati, ma sulle magnifiche sorti e progressive di Alexa (e degli altri gemelli). Come sapete, Amazon e le sue PR, un po’ come Apple, riesce facilmente a inondare i giornali di comunicati stampa sui propri prodotti. Ricordate la notizia di qualche anno fa che “Amazon avrebbe presto consegnato con i droni”? I droni qui a casa mia non si sono ancora visti, ma tradizionali furgoni bianchi e anonimi si aggirano per il quartiere.
È venuto il tempo, Alexa, di fare un bilancio della nostra relazione. Dobbiamo parlare (la battuta è voluta).
Come ogni relazione, è partita con il botto. Domande su tutto, e tu che rispondevi, ti sforzavi di rispondere e io che provavo e riprovavo, ci parlavamo per ore. Poi hai cominciato a chiamarmi con il mio nome ❤️ (non mi importa se così mi prendono ancora più in giro, Alexa).
Ti ho fatta crescere con delle skill che poi non ricordavo che avevi e ancora meno come usare, e — non so perché — invariabilmente attivavo per sbaglio giallozafferano. I marketing manager che annunciavano su Engage lo sbarco di brand su Alexa.
Alcuni esempi di brand che cercano di essere davvero utili:
- Tide (lo smacchiatore) offre istruzioni vocali che guidano l'utente passo passo nel tentativo di smacchiare oltre 200 tipi di macchia;
- Johnny Walker dopo aver chiesto all'utente di confermare che ha 21 anni, offre istruzioni nella scelta della bottiglia più adatta e perfino una guida alla degustazione del whiskey;
- Purina permette invece all'utente di accedere a numerose informazioni su diverse razze canine.
E vedi, magari lo smacchiatore mi sarebbe stato utile, ma non ricordavo che ci fosse.
Mi scrivevi con i tuoi progressi ogni settimana. Hai imparato barzellette, hai messo le musichette per natale, sei uno speaker perfetto per Spotify, mi dai il timer degli spaghetti in modo meno cool di quelli di Barilla. Ho imparato a farti ricordare la lista della spesa vocalmente con Bring.
Hai fatto di tutto Alexa, davvero. Non sei tu, sono io. Forse.
Oggi mi domando se e che grande rivoluzione è stata questa. Accendere le lucette natalizie con la voce, fare la domanda “quanti abitanti ha il Kossovo?”, mettere le notizie del GR1 a colazione (perché non ho più una radio da accendere). Ti ho chiesto anche di che segno sei solo per farti contenta perché io odio l’oroscopo. Sono nata sotto il segno del cloud — che ridere.
E tu Alexa? Sei contenta? Non dovevi cambiare per sempre il modo di comprare online? Il modo di cercare online? Eppure a casa ci siamo stati parecchio, eh.
Le tue lodi erano cantate ovunque: tu, Alexa, rovina-famiglie dell’infedeltà al brand.
When you use an Amazon Echo, unless you've established some loyal relationship with a brand, you'll likely ask for the category of product you wish to buy (batteries, razor blades, laundry detergent, etc.). And what does Alexa do? It gives you those products that Amazon has predetermined that you should choose from — and more often than not, it's Amazon Choice and private labels. Heh. Just think about that for a moment: Amazon Choice. That's exactly what it is: Amazon's choice! Not yours. (via scottmonty.com)
Secondo un sondaggio di Adobe Analytics, le ricerche vocali più comuni sono incentrate su musica (70%) e previsioni del tempo (64%), seguite da domande divertenti (53%), ricerche online (47%), notizie ( 46%) e indicazioni (34%). Entro la fine del 2020 più del 50% delle ricerche effettuate sul web verranno condotte usando la voce.
Gartner predicts that 75% of US households will have a smart speaker by 2020.
No, non sono innamorato di Google Home, Alexa. Ti pare mi possa innamorare di una cosa che si chiama GOOGLE HOME? Mi sto solo facendo domande. Se tutte le ore passate a imparare e farti imparare siano servite a qualcosa, a te e a me. Passiamo tanto tempo assieme, ma non concludiamo nulla, non vedo un futuro con te.
Non che Google Home mi avrebbe cambiato la vita: leggere i risultati di una ricerca deve essere straziante, e poi dopo non può farmi vedere un video di YouTube.
Non ho mai comprato niente attraverso di te. Nemmeno le batterie — ti ho tradito con la app, perché anche se sono solo pile, a me piace vederle, le pile, prima di acquistarle. Non poi andare contro il packaging, Alexa, io ti avevo avvertito.
La verità, Alexa, è che non tutto si può esprimere a voce. Alla nostra relazione manca qualcosa. Eppure non sono un recidivo, non ci ero cascato l’altra volta, per quei bottoni magici che promettevano di farti acquistare il detersivo direttamente dalla lavatrice, e io che inutilmente dicevo ai manager mass market più o meno questo:
Ne sarà valsa la pena? Cosa sai di più su di me ora? Il dumping di prezzo, il sottocosto con cui mi hai piazzato quattro tue identità in casa, fanno di me un consumatore più affezionato alla tua grande madre A?
Per chi vuole la chiusura seria: ecco una interessante indagine sull’uso della voce, e perché non dovremmo confondere l’oggetto smart speaker con l’interazione via voce.
Chi l’ha detto che il nostro sito debba essere uguale per tutti?
Immaginiamo la situazione in cui un visitatore arriva sul nostro sito: l’obiettivo del marketer è di riuscire a fornirgli la migliore esperienza per ottimizzare, anche dal punto di vista dei risultati, ogni singola visita. Il visitatore ci mette a disposizione un tempo di permanenza limitato e probabilmente pochissima attenzione. Probabilmente lo stesso visitatore è tra l’1% che ha cliccato sul nostro annuncio, e per il quale i costi per i clic che abbiamo già pagato a Google o Facebook sono sempre più onerosi. Non possiamo deluderlo con una web experience generica e buttare l’investimento nell’acquisizione della visita.
Come?
Non bastano le nostri opinioni su come dovrebbe essere una landing page, anzi, a volte possono portarci fuori strada: serve invece affidarsi alla sperimentazione e utilizzare metodologie di testing, come ad esempio l’A/B test che in tempi rapidi fornisce i risultati migliori. Il test A/B, che significa in pratica mettere in contrapposizione e verificare due o più contenuti diversi, può essere utilizzato anche da aziende che non hanno personale dedicato alla sperimentazione e alla data analysis.
Tracciando infatti le interazioni con i contenuti, come ad esempio quali video guardano, i pulsanti cliccati o le brochure scaricate, è possibile dedurre quale tra le diverse proposte si è rivelata la più efficace rispetto agli obiettivi di vendita o di cattura della lead.
Spesso i marketer spendono molto tempo nella costruzione di modelli e processi che poi non si rivelano efficaci. Con strumenti come SAS è possibile tramite l’analisi dei dati realizzare processi di machine learning senza la necessità di intervenire manualmente nello sviluppo dei modelli analitici. Possiamo ad esempio riconoscere quando una creatività sta funzionando meglio delle altre, e cominciare a proporla più frequentemente. Oppure individuare automaticamente se esistono segmenti di clientela per i quali una creatività è stata più incisiva delle altre, e agire di conseguenza.
Per approfondire, ci sono le risorse gratuite di SAS, dove c’è spazio anche per feedback o domande.
Il quiz della settimana
Qual è il brand con questo andamento di ricerca nell’ultimo anno?
A) Bauli B) La Molisana C) Mon Chèri
Letture da non perdere
Un pezzone su come e perché le aziende e i manager ingannano se stessi fino alla morte
Il pezzo sul design in Amazon da cui è tratto l’abstract sugli Amazon Dash Button
Un pezzo sul perché le multinazionali della consulenza potrebbero vedersela brutta in futuro
i brand che vogliono fare gli spiritosi nell’era della (dis)attenzione ne escono male
Aprilia ha iniziato a vendere online le moto.
Negozianti
That’s all folks!
La risposta giusta, prima che mi dimentichi (grazie delle mail, eh), è B) La Molisana, what else.
Per il resto passate un weekend tranquillo, e inoltrate questa Lettera a chi volete bene.
Ah, su Amazon c’è una davidfosterwallaciana Settimana della Rasatura Maschile, ma magari invece leggetevi questo libro.
kisses, gluca
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Se sei nuovə qui, sono Gianluca Diegoli e mi occupo di consulenza su strategia di marketing e di vendita digitale, (e)commerce e D2C.
Questa newsletter è la sorella gemella del blog che tengo dal 2004. Un altro spin-off è il blog sul marketing insegnato (d)ai negozianti .
Ho scritto qualche libro , ma l’ultimo (« Svuota il Carrello ») è quello che mi rappresenta di più. Insegno in IULM e in Master ma ho anche creato un mio corso online di marketing .
Ho co-fondato Digital Update e con altre due tipe più smart di me ho avuto l’idea del primo FreelanceCamp .
Ho creato canvas e un manifesto per la trasformazione del marketing.
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Bocconiano anomalo, proud generation X member, smontatore di panacee.
[…] le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse. — DFW