[È venerdì] Ogni maledetto budget
Il processo croce e delizia, inossidabile nel tempo, inefficiente per definizione
Si passa direttamente dal Back To School ad Halloween, poi da Halloween al Black Friday, e prima il Singles Day (!), ci sono già i maglioni di Natale in vendita online, e le renne luminose nei negozi casa e materiale elettrico.
Un giorno gli archeologi cercheranno di capire perché la nostra civiltà per comodità non usasse direttamente il calendario commerciale. The Black Friday Month al posto di novembre, Halloween al posto di ottobre, Saldi al posto di gennaio, San Valentino al posto di febbraio, ecc. I nostri bisnipoti ricorderanno solo questi calendari.
Per una volta vi metto il quiz prima della newsletter:
Quanti erano nel 2021 gli utenti attivi (almeno un accesso al mese) su Twitter?
a) 4,7 milioni b) 6,7 milioni c) 8,9 milioni
Alla fine ho rispolverato anche io il mio account Mastodon (l’avevo creato il 4 agosto 2020, chissà perché). Non funzionerà, non soppianterà Twitter, perché oggi, nell’internet di massa, la pigrizia batte sempre l’indignazione, al contrario di venti anni fa, ma è un esperimento affascinante, per scoprire come prima o poi qualcuno l’elettricità, la banda e i server li dovrà pagare, ma non si sa chi. Mi trovate, più o meno ancora da solo, qui (@gluca@mastodon.social).
Cadono le foglie, c’è il budget da fare
Se penso al processo più assurdo, inutile e insensato in assoluto, all’interno dei dipartimenti di marketing, ma in generale delle aziende, mi viene in mente sicuramente quello che definisce il budget dell’anno successivo, spesso con “esercizio provvisorio” o al contrario, mesi e mesi prima. Quel percorso che, tendenzialmente, dovrebbe avere l’obiettivo di massimizzare i risultati di un investimento — e di un impegno in termini di ore di persone impegnate ad attuarlo — ma che in realtà si traduce poi in una lotta all’ultimo sangue tra vassalli, valvassini e valvassori (ho sempre voluto trovare una funzione di metafora per questi ultimi due) per accaparrarsi e suddividersi l’ambito tesoretto annuale. Ben inteso, sono stato anche io valvassino, valvassore e vassallo. Chi è senza peccato, eccetera.
Eppure gli anni passano, e io mi stupisco ancora di come tutto questo non possa essere risolto in modo non dico perfetto, ma almeno decente, che non si risolva con una metafora medievale. La teoria del marketing ci dice che le modalità di fissazione della spesa possono essere tre: a) percentuale sulle vendite, facile ma spesso disastrosa, perché così si spende molto quando magari non ce n’è bisogno (comunque, evviva!) e non si spende quando si dovrebbe (“non c’è budget”, pianti); b) parità con i concorrenti, che ammette la rinuncia da subito di qualunque velleità di misurazione e di analisi strategica, ma salva le chiappe un po’ a tutti; e c) quella che parte dall’obiettivo aziendale per arrivare ai soldi necessari per raggiungerlo, che nei casi più semplici (gli ecommerce, le startup, ecc.) viene calcolata dividendo il nuovo fatturato da raggiungere per l’ordine medio, per poi moltiplicarlo per il costo di acquisizione del cliente – questa è la modalità delle tre che dovrebbe essere utilizzata, naturalmente. Ma quasi mai lo è, specie nelle grandi aziende.
Perché ci sono i ma e i mah nel marketing. In primis il marketing in generale non tratta calcolabili fluidi inanimati come in un processo di raffinazione di idrocarburi, ma cavalli pazzi chiamati esseri umani. Quindi il ROI, che può essere calcolato in modo sufficientemente preciso per l’acquisto di un nuovo impianto di raffinazione (immetto petrolio ed esce plastica, a un certo costo), non può essere calcolato allo stesso modo quando si parla di trasformare persone in clienti. Un processo di raffinazione avviene in un ambiente protetto, a temperatura e pressione protette e determinate. Un processo di raffinazione di un cliente è influenzato da migliaia di influenze esterne, e può durare secondi come anni. E per quanto il marketing sia sempre più basato su dati e touchpoint misurabili, nessuno potrà mai capire perfettamente, in una scala accettabile, cosa diavolo muove le persone, solo dai numeri.
Qualcuno, come Enrico Marchetto nel libro di Marco Cordioli, chiedeva a gran voce che il budget dovesse diventare elastico (agile?), perché se sto spendendo 10 euro in advertising e ne margino 100, perché dovrei fermare la macchina stampasoldi quando ho finito il budget? Non fa una piega, ovviamente, soprattutto quando vedo ancora “gli avanzi (compartimentali) di budget” a fine anno (sic e sigh).
Difficile da applicare in un mondo fatto di valvassori, però. E il metodo vale solo per la parte di marketing a performance, quello in cui puoi misurare ancora abbastanza bene, per rimanere in metafora, la plastica prodotta con il petrolio. Il problema di questa formulazione è anche che questo budget, prima o poi, si mangerà il budget di brand, meno misurabile ma che consente poi al marketing di performance di continuare a stampare soldi. Il direttore marketing di Adidas, tempo fa, disse proprio questo: se diamo retta solo a quello che possiamo misurare facilmente, tra un po’ non saremo più un brand, saremo solo una ottimizzata macchina di remarketing.
A questo dobbiamo aggiungere il problema irrisolto dell'incrementalità, che ancora sciaguratamente non viene quasi mai preso in considerazione: non ci si chiede mai se le audience che abbiamo sottoposto a un determinato messaggio avrebbero comprato lo stesso, e normalmente questa omertà porta a spostare i budget proprio dove è più facile, a breve e misurabile la conversione (di nuovo remarketing vari).
Sullo sfondo, il privacygeddon: avremo sempre meno dati per misurare le micro-attività individuali delle persone. La stretta sulla privacy individuale è destinata a restare, che ci piaccia o no.
Eppure, mi dicevo, qualcuno ci avrà ben pensato a queste cose, ben prima dei cookie.
Sono andato a scartabellare negli archivi del marketing pre-internet, e ho trovato, impolverata, una cosa che si chiama Media Mix Modelling. Immaginate un computer come quello di “Spazio 1999” – gli anni erano quelli – in cui un marketing manager di multinazionale inseriva i dati di cosa aveva speso in TV, in radio, in stampa e promo varie, i dati di vendita granulari, e il computer, magari dopo sei mesi, gli diceva cosa aveva più influito sulle vendite, in modo che potesse poi spendere di più sui media più redditizi. Polvere ce n’è tanta sopra: eppure qualcosa di quell’idea può essere buona per il futuro.
Abbiamo sempre davvero bisogno di tracciare gli individui singolarmente? Probabilmente in una fase in cui non c’è davvero bisogno di personalizzazione 1-1 (quindi necessariamente con dati di prima parte, altra storia), ci basta sapere se quei segmenti aggregati soggetto di quelle macro-attività hanno avuto correlazione con le vendite, o altri segnali rilevanti e decisivi. Cioè dobbiamo attribuire risultati in modo incrementale, basandoci su dati aggregati, ma su molti più touchpoint di una volta. Oggi però abbiamo mezzi per farlo, a costi molto più democratici.
Leggevo qui (traduco):
L'attribuzione modellata prende le parti migliori di MMM (Media Mix Modelling) e MTA (attribuzione multi-touch) per dare una visione a tutto campo delle prestazioni di marketing pur essendo completamente aderente alla privacy.
Il fondamento dell'attribuzione modellata si basa su MMM, che utilizza set di dati a livello aggregato anziché input a livello di utente (ad es. dati sui cookie). Ciò significa che non occorre preoccuparsi delle considerazioni sull'MTA, come il consenso dell'utente o delle interazioni nei walled garden (Meta, Google, ecc.).
Un ulteriore vantaggio dell'attribuzione modellata è che utilizzando un approccio basato sulla regressione, è molto più facile incorporare tutti i canali di marketing nel tuo modello senza dover tracciare tutto all'interno di un'unica soluzione.
Esiste anche la possibilità di includere fattori esterni come stagionalità, livelli di stock o attività della concorrenza per aumentare l'accuratezza del modello e isolare l'impatto specifico delle campagne media.
Ha senso per mass market, in cui il processo di acquisto avviene soprattutto in assenza di dati di prima parte, tracciare i singoli utenti con i cookie? Non ha un senso economico, e ancora meno ne avrà in futuro, perché modellazione, statistica, econometria e tutto saranno molto accessibili mentre i dati del singolo sempre meno. Il culto del customer 360° view a tutti i costi è alla fine, W il marketing che spende econospannometricamente bene i propri soldi. Certo, si tratta di dare fiducia a modelli e non al biased sesto senso del marketer.
Certo, poi rimarrà da capire come suddividere i macrobudget media tra valvassori e valvassini, ma quella è più questione di organizzazione, che vale la pena discutere un'altra volta, un pezzo alla volta. Almeno ai vassalli potrebbe essere dato, a ciascuno, il giusto peso, nell’interesse del brand e non dei singoli.
Negozianti
Segnalazione di Francesco.
That’s all folks!
Anche questa settimana è finita, è finito il caldo, ricordiamoci che “non esiste il cattivo tempo ma solo cattivo abbigliamento”, come dicono gli esperti norvegesi.
Comprate maglioni di lana sostenibili o usati!
ciao, gluca
Risposta: a) (è una stima ottimista, secondo me, di Statista)