[È venerdì] Marketer che vengono da Venere, turisti che vengono dal New Jersey
Riflessioni a zig zag sul caso della settimana
Questa edizione della newsletter – uscita un po’ lunga, clicca su continua se Gmail te la tronca, anche perché ti perderesti un video di negozianti geniali – esce grazie al fondamentale supporto di Netcomm, che ha deciso di fare una content-ads (e ci sono anche biglietti scontatissimi). Scorrete per vederla, se vi occupate di ecommerce e digitale – ma anche se no.
I motorini sono scomparsi perfino in Padania profonda, avete notato?
C'è un’ennesima app (Artifact) che vuole fare il TikTok delle news, e – a parte la US-centricity come al solito – non è male. Non ci investirei un centesimo però. Le news e il conto economico sono ossimori e niente mi convincerà del contrario.
13.748 persone sono iscritte a oggi alla newsletter: grazie di essere qui, spero che le ore passate a scriverla vi siano utili.
Vuoi sponsorizzare questa newsletter? (Ultimi posti liberi prima di luglio.)
Marketer che vengono da Venere, turisti che vengono dal New Jersey
Ero indeciso se parlare o meno di quella cosa che ha agitato come tempesta perfetta il bicchiere di acqua dell’internet popolata dai marketer italiani, o forse dovrei dire dei social media marketer, che ovviamente per vicinanza al mezzo sono quelli più vocianti e attivi. Ma poi vedendo che pure Selvaggia Lucarelli ha detto la sua, allora mi sono sentito decisamente sdoganato. Andiamo oltre “l’AI (o il cugino) la poteva fare meglio”, dai.
Era un dilemma pseudo-morettiano, ovviamente. Ma siccome è ormai passata una settimana dallo psicodramma collettivo, mi sembra che fare un punto a freddo possa avere comunque una qualche utilità per chi legge. Ho anche il vantaggio che do per scontato che sappiate tutto, e quindi mi/vi risparmio il riassuntone del fatto in questione.
Ha poi un ruolo, nell’incertezza di parlarne o no, questa personale sensazione, che va di pari passo alla senilità professionale, di avere sempre più dubbi e meno certezze. Sarà che quest’estate in Bosnia ho sentito una persona raccontare il detto balcanico “se pensi di avere capito, allora non hai capito niente”. Si riferiva a cose più importanti delle vicende della nostra virtual influencer nazionale, Venere 23, ovviamente.
L’analisi a freddo ha senso a patto che ripartiamo dall’inizio, senza preconcetti, senza prendere per forza posizione, senza voler fare sensazione ed engagement a tutti i costi. Senza sentirci offesi nel nostro pregiudizio autoproclamato di paese più bello del mondo che spesso si declina anche nel “l’Italia è bella tutta”, che precisa che siamo anche un paese iper-campanilista. Insomma, possiamo provare ad analizzare la cosa senza inorridire come chi impulsivamente nei commenti blasta chi mette la pancetta nella carbonara (che poi, dai…)?
Ripartiamo dalle basi, dunque. Il che significa ribadire alcuni punti:
Fare pubblicità non è – e non sarà mai – fare cultura. È uno strumento capitalistico per generare fatturato, nel breve, medio o lungo periodo. Non serve per vincere premi della giuria di Lugano o Cannes. Non è il festival dei cortometraggi di Springfield, è la risata di Homer del video sotto. Non è il drone che vola sopra un campo di peperoncini calabri con musica classica di sottofondo, mentre il tramonto illumina gli agricoltori. Quello è cinema d’essai.
La pubblicità (in senso stretto, tradizionale) non serve a convincere nessuno, lo spiegavo qui, nonostante il settore abbia fatto di tutto per farlo credere, da quella bufala della pubblicità subliminale in poi. La pubblicità, al suo meglio, serve per far ricordare, illuminare tre neuroni nel caos delle nostre menti e delle nostre giornate, o se proprio va bene, accumulare Mental Availability. Finisce lì. Lo spiegone neuro-persuasivo, al limite, arriva dopo nel percorso di acquisto.
A brand’s mental availability refers to the probability that a buyer will notice, recognize and/or think of a brand in buying situations. It depends on the quality and quantity of memory structures related to the brand. So this is much more than awareness, whether that is top-of-mind awareness, recognition or recall. Indeed all of these measures are flawed by the use of a single, a-situational, cue (usually the product category name, i.e. what the marketer calls the product category).
Qualcuno ha fatto presente che il problema dell’Italia non è nell’awareness. Vero e non vero. Sicuramente tutti conoscono lo Stivale, ma che ci vogliano andare in vacanza è diverso. Il problema dell’Italia è il prodotto, o meglio, il processo di acquisto, logistica, fruizione. E il volano nel bene e nel male è nel processo di feedback che determina sharing che determina passaparola che determina reputation, il vero advertising delle destinazioni. Sessanta milioni di persone provocano un ripple effect nel bene e nel male – smisurato. Fatto di immagini sui social, ma anche di passaparola privato. Miliardi di impression, generate dai turisti. Ne avevo scritto un pensiero più compiuto su Link, in L’apocalisse del turismo raccontato dai turisti.
Qualcuno ha detto che non si può usare una famosa Venere per queste robe cheap. Sapete che il problema potrebbe essere l’opposto? Non solo non è virtuale, non è così influencing.
Parlando di intenzione di viaggio, al di là della awareness, in Australia avevano lo stesso problema.
Australia has always been a desired destination, but the central strategic tourism objective is to move enough prospects down the funnel from vague desire to specific visit intention each year to maintain the tourism sector.
Allora hanno fatto questo:
Le reazioni? Le potete immaginare e ci ricordano qualcosa. Sotto c’è un commento di un australiano.
Just for the overseas audience: We actually have more than one city but you wouldn't know it if you watched this. My best friend lives Melbourne over Sydney because it’s much easier to get around and is an aesthetically pleasing city. […] I can see kangaroos EVERYWHERE and the bastard things are a menace: the big ones can mess you up and should be avoided.
Il prof. Mark Ritson su Marketing Week:
Many marketers were unimpressed with the overall execution. As Traveller magazine reported at the time, Australians were embarrassed by the cliché of a CGI kangaroo and the “lame” and “embarrassing” tone of the campaign.
Elisa Choy, managing director at Maven Data went further. “Is this the best we’ve got to promote tourism to Australia?” she posted on LinkedIn. “CGI kangaroos? We have more to offer to the world than that… epic fail.”
Criticisms came from academic circles too. “What’s the campaign about, really?” marketing lecturer Andrew Hughes asked in The Guardian. “It seems to run true to form from previous campaigns that just use stereotypes. The audience is more mature.”
Se avete un paio di minuti vi consiglio caldamente tutto l’articolo. Ne estraggo una lezione per Enit, la ministra Santanchè, Armando Testa e noi:
Tourism Australia, which, as part of its campaign planning, pre-tested the shit out of its important new campaign before launch. […] So, while the ‘experts’ were busy telling Tourism Australia that their new campaign was an “epic fail”, it was sitting on representative data from each of the main target markets showing two things. First that their new advertising was going to be well liked by target consumers. Second, based on the thousands of previous ads pre-tested and then post-tested by System1, this was also a campaign that would drive outstanding demand for Australian holidays over the long term.
Questa è la domanda che la community italiana avrebbe dovuto fare al committente. Questa la risposta che Armando Testa avrebbe dovuto dare, al posto della ridicola pagina “di ringraziamento” e spiegazione sui giornali.
Li avete fatti o no i test?
(continua dopo lo sponsor)
[sponsor]
Netcomm ed e-commerce 2023: cosa ci aspetta?
Netcomm Forum 2023: il 17 e 18 maggio a Milano, presso Allianz MiCo, si terrà l’evento di riferimento per il digital retail in Italia promosso da Netcomm, il Consorzio del Commercio Digitale in Italia.
Per saperlo ho fatto alcune domande a Roberto Liscia, presidente di Netcomm.
Tra le opportunità di mercato più promettenti e i fattori critici di successo per competere nel digital export, cosa prevedi verrà approfondito al Netcomm Forum 2023?
Come recita il titolo di quest’anno – The Extended Retail – tracceremo la strada per il digital retail esteso del prossimo futuro, in cui l’omnicanalità avrà un ruolo chiave per competere in uno scenario internazionale. Prevedo tanta attenzione alle strategie, competenze e tecnologie per governare la complessità di ogni giorno.
L'engagement dei consumatori online è chiave, e passa anche per tecnologie emergenti di CDP e CRM e in generale di personalizzazione: quali trend prevedi avranno spazio e attenzione tra visitatori, espositori e workshop?
Catturare l’interesse degli utenti e dei consumatori è un percorso sempre più fitto di sfide. Al Netcomm Forum sono previsti circa 200 workshop che approfondiranno le soluzioni tecnologiche, i servizi a valore aggiunto e i nuovi modelli di business per migliorare la shopping experience e la relazione omnicanale tra i brand e le persone.
E-commerce è anche efficienza, logistica e organizzazione: quali sono i temi sul tavolo di questa edizione?
La Data Economy sarà centrale nelle due giornate, alla luce di un contesto in cui la gestione dei dati è fondamentale per prendere decisioni e ottimizzare gli investimenti. Si parlerà anche di come il canale digitale favorisca l'internazionalizzazione, aprendo nuove opportunità di crescita alle aziende.
Uno dei punti di forza dell’evento è sempre stata la presentazione di case study e di dati: ci puoi dare qualche anticipazione (senza spoiler!)?
Presenteremo l’ultima rilevazione dell’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm - School of Management del Politecnico di Milano e la nuova edizione della ricerca Netcomm NetRetail, offrendo una panoramica sulle dimensioni del mercato e-commerce in Italia, sui comportamenti di acquisto e sulle prossime sfide per le nostre imprese nell’attuale contesto competitivo globale.
Acquista il pass per la diciottesima edizione, il prossimo 17-18 maggio presso l’Allianz MiCo di Milano, utilizzando il codice sconto riservato NETCOMM23DIEGOLI – ottieni il 50% di sconto sul biglietto per la due giorni!
(continua)
La pubblicità non serve per sapere chi siamo o per renderci orgogliosi. Non serve per rappresentarci. Lo so che non siamo solo pizza e colosseo, ma davvero pensate che anche gli altri paesi competitor non abbiano millemila borghi, prodotti culinari tipici, mare azzurro, spiagge stupende (e pure senza geometriche coltivazioni di ombrelloni)? Il problema di larga parte delle pubblicità delle destinazioni turistiche nazionali è che, pensando di pubblicizzare l’unicità, in realtà pubblicizzano la sameness (la spiaggia e il mare blu, per dire). Tutti i paesi sembrano uguali, e no, non funziona.
"Despite this aggressive marketplace, the stock in trade of too much destination advertising remains blue seas, cloudless skies and endless golden beaches with a less than memorable tagline.
Such ‘wallpaper’ advertising, selling the user benefit of relaxation and a golden tan, has the effect of rendering all seaside destinations indistinguishable from one another. Yet
what does differentiate one Caribbean or Mediterranean island from its nearest neighbour? Rarely sun and sand." (grazie ad Andrea per la segnalazione)
Open to meraviglia non è memorabile, ma almeno è strano, a essere buoni, ovviamente. Per esempio, Croatia Full Of Life è carino, ma quale paese pensa di non essere pieno di vita? Ecco, e se alla fine la nostra identità distintiva e unica fosse davvero, nella bolgia del turismo mondiale e di primo acchito, nel Colosseo, in Firenze, in Venezia? Quindi perché non usarli? Perché a noi italiani ci annoiano, ci sanno di già visto? (La gara per il turismo croato è interessante, almeno per come è stata presentata, e per il processo di selezione, aperto)
È sbagliato pensare che la pubblicità possa parlare alla testa delle persone, parla sempre alla pancia, alla parte meno razionale, anche nelle persone più intellettualmente sofisticate. Che, per l’Italia, significa pizza, dolce vita, colossei, torridipisa, gondole, ecc. ecc. Non ce ne dobbiamo vergognare, siamo questi, visti da fuori, non siamo il borgo ristrutturato. Ogni paese ha i suoi cliché – la lavanda in Provenza, il ponte di Mostar, la torre Eiffel. I cliché servono. Ogni paese li usa negli aeroporti o in TV: ricordate Todo Bajo El Sol della Spagna? Capolavoro? Sì e no. Perché il tempo di attenzione è di qualche decimo di secondo, se va bene. O la va o la spacca. È inutile dire “l’Italia è bella tutta”, “eh, così si rafforza l’overtourism a Venezia”, “sempre pizza e mandolino!”. Mettiamo da parte l’orgoglio, raga. Il mondo è questo, e gli outliner non hanno bisogno di pubblicità di massa.
La pubblicità conta soprattutto proporzionalmente ai soldi che hai da spendere. E il marketing e l’advertising contano – quando va bene – per il 10-20% del fatturato. Il resto è passaparola, viscosità, abitudine, relazione, distribuzione, product-market fit. La creatività è una frazione della frazione. Altri fattori, come contesto, timing, placement, targeting contano allo stesso modo, forse più. Ci giochiamo di più nel buon posizionamento della Venere in Grand Central Station a New York che nei pixel del collo dell’immagine incriminata.
La vera verità è che la campagna è ininfluente: nove milioni di euro, di cui 8,5 per il media e il resto alla creatività. Tanti soldi? Pochissimi, almeno per il media. Non sappiamo nulla se la creatività comprenderà video (lo spero, quello della cantina slovena di stock è chiaramente un video B2B di campagna, non uno spot – giuro che l’ho scritto prima che ce lo dicesse Armando Testa). Un consulente serio e kamikaze avrebbe detto al cliente che quella cifra non serve a nulla (prima di essere licenziato. Magari lo ha detto, non lo sappiamo). È un conto semplice: in Italia arrivano 60 milioni di turisti all’anno dall’estero, la maggior parte in estate, la maggior parte diretta verso il classico trittico Roma-Firenze-Venezia. Stiamo spendendo in pubblicità circa 15 centesimi per ogni turista. Per ribadire, la Fiat spende un miliardo di euro, in marketing. Mille euro per auto venduta. Per dire, il rilancio di Pernigotti (!) comporta un investimento di cinque milioni per la comunicazione. Noi spendiamo nove milioni per un miliardo di prospect. Stiamo parlando di niente, ed è per me triste che quasi nessuno l’abbia fatto presente. Non sappiamo far di conto? Il risultato non c’è bisogno di misurarlo, in questo caso è quello della goccia nel mare.
Il resto è noia: il pietoso profilo Instagram bilingue è chiaramente creato apposta perché richiesto dal bando, senza spostare nulla se non haters. Il tragicomico sito Italia.it non serve a niente, e il vostro luogo del cuore potrebbe pure essere stato tradotto in Klingon, non cambierebbe nulla. Nessun effetto.
Gran finale a sorpresa
Ah, sapete la campagna australiana quanto è costata? 125 milioni di dollari. Per quanti turisti stranieri? 8 milioni. Eh sì, pare che qualche effetto lo abbia avuto.
PS: per chi non ha capito il titolo della newsletter, viene da un libro, che peraltro consiglio.
Il quiz della settimana
Quale è stato il paese con il rapporto più alto turisti/abitanti nel 2017?
Islanda
Malta
Bahamas
Negozianti Puglia edition
Non so se avete letto la puntata di
in cui parla di TikTok come televendita ubiqua locale, ma ora capisco da chi hanno preso gli spunti, i tiktokers.(PS: ma lui, Franco, è poi di Roma, di Puglia o di Calabria?)
Link della settimana
ChatGPT e retail: tra speranze e illusioni, indicazioni per i retailer italiani (ne ho parlato per TendenzeOnline di GS1).
Cosa resterà di questo marketing: di ROAS, errori fatali e non, cigni neri, piramidi e sfere di cristallo (ne ho parlato nel podcast Messy Marketing con Nicola Ferrari).
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie a Netcomm di nuovo per il supporto.
Per commenti, progetti aziendali o sponsorizzazioni di questa newsletter basta rispondere a questa mail – sì, rispondo a tutte le mail.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i separatori d’artista.