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In questa puntata continua la collaborazione con MailUp, con cui ho scritto una serie di articoli che saranno qui, ma anche sul loro blog e sulla loro newsletter.
Oggi il terzo, il ruolo della messaggistica per il customer journey nel “better normal”. Ma prima, parliamo di sponsorizzazioni.
Perché sponsorizziamo gli Europei?
“Dottor Diegoli, le sponsorizzazioni non servono davvero per il marketing”.
Immaginate un giovane Gianluca, non ancora gluca, di 22 anni, alle prese con un mondo opaco che nemmeno siamo più in grado di immaginare, tra pochi libri di marketing molto teorici e una stampa cartacea monopolista di settore e totalmente asservita ai comunicati stampa, e paper che per leggerli bisognava andare in biblioteca Bocconi con i microfilm.
Non lo immaginate vero? A volte sembra impossibile anche a me. Comunque, gluca è nella stanza del ricevimento docenti all’università (di persona, non c’era manco la mail, a quanto mi ricordo, o forse non c’era tra i docenti) e una giovane docente scuote la testa alla mia proposta di fare una tesi sul ruolo delle sponsorizzazioni sportive (non avevo detto “nel basket”, aspettavo di dirlo dopo). Diavolo, dunque tutte quelle magliette, quei cartelloni a bordo campo, quei nomi di squadre di basket (nel calcio le maglie erano ancora pure, mi pare) erano solo illusioni, una rappresentazione per il popolo che nascondeva strani giri di soldi con fatture boomerang o nei casi più innocui investimenti fatti per passione dell’imprenditore o CSR ante-litteram verso il proprio paesello? O macchinazioni per influenzare indirettamente l’opinione pubblica? Davvero non servivano a vendere un solo prodotto in più? Uscii abbastanza sconsolato. Andai direttamente al dipartimento di finanza, dove poi feci una tesi di analisi strategica (di marketing) sul mercato bancario. Scrissi che le banche locali erano finite. Non la presero bene, le banche locali, ma una mi assunse lo stesso. Scappai poco dopo.
Arrivato in aziende varie, cominciai a capire che quella docente aveva ragione, in moltissimi casi almeno. Vidi aziende ricche buttare soldi in sponsorizzazioni insensate per targeting, per costo per contatto, senza misurare mai nulla: né il ricordo, né la propensione all’acquisto, né tantomeno i risultati di vendita. Forse non si misurava perché erano espressioni, in quei casi, di mera vanità. Ma ero ingenuo, a quei tempi. Mi ricordo una sponsorizzazione di una MotoGp, un adesivo sulla carena di una moto di fascia media, senza speranza di vittoria. Un giorno il pilota cadde, senza farsi male, e arrivò un’insperata e imprevedibile inquadratura del nostro logo. L’ingenuo gluca mandò una mail trionfante alla lista aziendale: “ehi, siamo stati 10 secondi sulla RAI in primo piano!” Risposta del CEO “ma che scrivi, è un amico, mi spiace sia caduto!”. Ok, ora mi era tutto più chiaro. Poi vennero in altra azienda i cartelloni allo stadio: “a che servono?” scrissi in una mail al CEO. “A niente, vogliamo far sapere in giro che abbiamo soldi a palate da spendere”. Mi sembrava già più ragionevole, in effetti. Era l’effetto “pubblicità che tutti vedono*, costosa = prodotto percepito come figo”. O forse era il modo più veloce per avere una poltrona vip sempre disponibile. Ma io dovevo vendere ADSL e quel percorso mi sembrava un po’ lungo e poco tracciabile per avere il mio bonus di fine anno.
* Molto spesso c’è confusione tra “tutti la vedono” e “io la vedo”, cosa che ancora penalizza la pubblicità mirata, perché il capo non la vede. Questo rafforza il mio ragionamento di una vita.
Se in quel periodo storico definibile come “internet? ahah, moda passeggera!” caratterizzata da attenzione relativamente abbondante e superfici visive relativamente scarse le sponsorizzazioni avevano una minima speranza di sparare nel mucchio e di colpire qualcosa, oggi è tutto molto più complesso.
Questa settimana ho chiesto su Instagram quali erano le campagne per gli Europei che vi venivano in mente. “Nessuna” è stata la risposta più frequente. E ci sta, eh, per carità: la gente ci pensa molto meno di quanto crediamo noi marketer. Qualcuno ha citato i main sponsor (JustEat, Volkswagen - non so quanto influisca il buffo trick di portare la palla al calcio di inizio su di una macchinina telecomandata** – Heineken, TikTok) più perché vediamo i loro loghi ovunque che per creatività particolari. Qualcuno X-gen come me ha segnalato ironicamente Mediaworld (dove se indovinavi il vincitore vincevi un televisore LCD o qualcosa di simile, roba del 2006 ma sembra passato un secolo). Ah, la nostalgia della gioventù.
** Questo è di solito il colpo di scena che colpisce il popolo dei social e gli studenti di marketing, il gimmick “geniale” che poi ha millemila like nei profili con nomi quale MarketingGeniale e simili. Tutto da capire quanto siano invece impressionati i possibili compratori di una VW ID.5.
Nessuno dei main sponsor ha bisogno di un ulteriore aumento di brand awareness, credo (forse Tiktok ha bisogno di marketer boomer che investano, in effetti. Come quando Instagram faceva pubblicità sulla metro. Era per gli inserzionisti, mica per te!). La spesa di Volkswagen per il calcio è enorme. (In generale lo sforzo delle case automobilistiche per rimanere rilevanti è spropositato rispetto ai risultati, che poi tutti parlano di Tesla).
Più interessante la sit-comedy degli sponsor relativamente minori: dietro ai big, agli Europei e a ogni evento c’è la lotta nel fango di quelli non sono main sponsor ma vogliono comunque “esserci”. Perché? I motivi sono più o meno tutti quelli già citati, combinati tra loro, ma con una forte dose aggiuntiva di FOMO, Fear Of Missing Out, la paura di perdersi qualcosa. Effetto Expo, lo riassumo di solito informalmente. Negli steering committee risuonano le parole “Saranno tutti attaccati ai televisori, e io non ci sarò? Mica si dimenticheranno di me poi?” e/o i pensieri “È safe per la mia carriera non investire?” Dimenticando che più gente c’è, più è difficile essere notati.
Dunque a scendere ci si accomoda negli spazi a costi più ragionevoli per fare presenza, ci sono gli sponsor “tecnici”, quelli del turismo che l’allenatore è nativo della nostra regione e allora lo piazzo nel paginone triste – l’allenatore viene usato come una mascotte da tanti altri in effetti. Se aprite i giornali di carta Mancini è ovunque, vestito di questo, che mangia quell’altra cosa, che compra online, che parla di “originalità”, sempre con quell’espressione sua, un po’ “tiratemi fuori di qui”.
Il CT della Nazionale viene ripreso in una sua tipica giornata mentre fa acquisti online, spedizioni, resi. Ogni volta, pronto a supportarlo, si palesa al suo fianco un alter ego vestito esattamente come lui in versione total yellow. Un personaggio che incarna il valore più importante per Poste Italiane: la vicinanza, intesa come prossimità e come supporto continuo.
Lo spot, si legge in una nota del Mise, si basa su una strategia comunicativa focalizzata su una serie di situazioni paradossali nel contesto di una partita di calcio, in cui niente sembra al suo posto e con molti elementi inappropriati e malfunzionanti, fino al momento in cui intervenire il Ct della nazionale Mancini che richiama tutti all’autenticità pronunciando lo slogan: “L’originale vince sempre”.
Il popolo degli sponsor medi e soprattutto bassi è l’ultimo girone infernale del marketing. Quelli che avranno speso soldi prima per essere in qualche modo collegati all’evento, ma che durante dovranno pure spendere soldi per ricordare di essere collegati all’evento, in TV o sui social o con un concorsetto o con uno spot. Lidl è un esempio. Chissà se serve essere i fornitori ufficiali di frutta e verdura per rendere gli spot più accattivanti. Non lo sapremo mai, comunque. Poi, per il dopo, ci sono già pronti i paginoni per dire “abbiamo vinto, grazie ragazzi, noi dello sponsor-tecnico-che-nessuno-si-ricorda ci siamo stati eccome al vostro fianco”. Non è probabile vincere, ma non possiamo essere impreparati. Altri costi. E ormai siamo in ballo, balliamo fino in fondo, no? Poi finito l’evento, si pensa ad altro, che siamo nella ruotina del criceto permanentemente. (In casi molto sfortunati dopo si troveranno pure un socialfail da gestire – ricordate la Uliveto, sponsor della nazionale di volley femminile e la foto “coperta”? – o il recente Coca-Colagate di Ronaldo?
In un mondo frazionato e distratto, mi chiedo se la profezia della prof. non sia ancora più vera. In un universo inflazionato da relazioni digitali totalizzanti con influencer (anche sportivi) ha ancora senso (ROI) la sponsorizzazione di un “evento” o “di una maglietta”? Ha senso se il tuo brand non è correlato strettamente a quello sport (Nike la capiamo tutti, ma anche Redbull con vari sport estremi)? Cominceremo mai a calcolare i reali ritorni di queste attività? Dovremo per forza passare da una sponsorizzazione “tabellare” a qualcosa di più interattivo e coinvolgente? Probabilmente sì. La trasformazione digitale delle sponsorizzazioni è appena iniziata, e – secondo me – non sarà indolore.
[partnership]
Il ruolo della messaggistica nelle strategie del Retail: il filo conduttore di un percorso d’acquisto sempre più cliente-centrico
È il momento storico in cui i mercati sono dominati dall’insicurezza sugli scenari futuri e l’unica certezza è la direzione da prendere per avere qualche chance nella gara per l’attenzione: costruire una relazione diretta con il cliente basata sulla conoscenza intima delle sue preferenze e scelte.
In questo ambiente mediale altamente competitivo, il ruolo della messaggistica diventa ancora più critico per mantenere la sostenibilità del proprio ecosistema di marketing. L’esperimento forzato del lockdown ha premiato chi aveva per tempo strutturato sistemi di contatto e segmentazione integrati, aspetti a cui il settore Retail non aveva dato un adeguato peso, utilizzando spesso il canale email come mero contenitore di un volantino cartaceo digitalizzato.
Nel customer journey post-Covid, l’aumento dei progetti Direct To Consumer e il potenziamento degli e-commerce fanno pensare a uno scenario ancor più agguerrito e sofisticato, in cui diventa obbligatorio focalizzarsi sulla messaggistica personalizzata come fil rouge di tutto il customer journey e in cui la crescita del fatturato deve andare di pari passo con quella del numero di utenti “conosciuti” e ben profilati. E in un futuro in cui i ricavi dipenderanno direttamente dai KPI di questi messaggi personalizzati, obiettivi di crescita di database e rilevanza andranno necessariamente in parallelo.
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Il quiz della settimana
A quanto ammontano le sponsorizzazioni totali di UEFA 2020 (sic)?
a) 500 milioni di euro b) 800 milioni di euro c) 1,2 miliardi di euro
Link della settimana
Alla trasmissione Radio Next di Radio 24 con Pepe Moeder [podcast]: di blog, delle “radio libere” del marketing, di aziende, targeting e marketing nel 2021 e un po’ di cosa siamo diventati.
A che punto è la notte (della privacygeddon) [podcast]
Commercianti e bundle
Mi hanno preso sul serio, con quella cosa dei bundle.
That’s all folks!
Al solito: inoltra la mail in ufficio o in smartworking, se ti è piaciuta. O clicca sul comodo bottone qui sotto.
In astinenza fino a venerdì prossimo? Ci sono le stories dadaiste (cit.), quasi ogni giorno.
xxx, gluca
Quiz: a) 500 milioni di euro
Se sei nuovə qui, sono Gianluca Diegoli e mi occupo di consulenza su strategia di marketing e di vendita digitale, (e)commerce e D2C.
Bocconiano anomalo, proud generation X member, smontatore di panacee.
le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse. — David Foster Wallace
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Ho scritto qualche libro, ma l’ultimo (Svuota il Carrello) è quello che mi rappresenta di più. Insegno in IULM e in Master.
Ho anche creato un mio corso online di marketing (e non di marketing online). Da qui c’è un 10% di sconto aggiuntivo.
Ho co-fondato Digital Update e con altre due tipe più smart di me ho avuto l’idea del primo FreelanceCamp.
Ho creato canvas e un manifesto per la trasformazione del marketing.
Questa newsletter è la sorella gemella del blog che scrivo dal 2004.
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