Al bar tabacchi: “No, signora, le consigliamo la ricarica da 19 o 21 euro, sennò con quella da 20 (nome di gestore telefonico) le prende due euro per attivare una promozione di giga che a lei non serve”. “Ma che ladri!”. “Eh, glielo dico perché poi il cliente a volte pensa che ce li intaschiamo noi”. A proposito di branding e reputation in real life.
Un abbraccio ai 300 (2,7%) che hanno una mail @libero o @virgilio che non leggeranno mai questa mail. Ma insomma, ve la siete un po’ cercata eh.
Le lezioni dal passato
Mentre rimettevo in ordine la scrivania, mi è comparso di fronte un libretto – comprato probabilmente molti anni fa e mai letto – dal titolo Fare marketing rimanendo brave persone, scritto da Giuseppe Morici, una tra le persone probabilmente più competenti in Italia nell’intersezione tra prodotti di largo consumo e marketing. Il libro è del 2014. Leggendolo – ovviamente non ho resistito – si comprende appieno l’accelerazione che il marketing ha subito nel corso di soli dieci anni (ma anche la politica, c’erano Bersani borghese, Vendola Robin Hood e Renzi il guastatore, nel libro, per dire).
Mi è sembrato un po’ di essere Bezos quando si leggeva i tomi di in-store retail per capire cosa tenere e cosa buttare/cambiare/rivoluzionare. Non mi credo minimamente Bezos, non decontestualizzatemi per favore. Intendo dire che a volte attraverso l’archeologia, in questo caso di marketing, si finisce per comprendere meglio il cambiamento – quello che c’è e quello che non c’è (stato).
Alla fine non ho capito bene come si fa a fare marketing rimanendo brave persone, probabilmente serve esserlo di già o lavorare in quelle due o tre aziende al mondo, ma non importa. Il libro è una specie di testamento finale del branding “televisivo”. Da lì in poi, nessuno ne avrebbe più parlato, tantomeno scritto libri.
È l’ultimo mosaico di Pompei completato prima dell’eruzione. Quel modello di comunicazione che parla di “film” al posto di spot, che vuole attrarre interesse con l’insight ficcante che fa riconoscere il consumatore in quella frase, suscitare l’emozione con lo storytelling copiato dai modelli universali di storytelling, che porta certezze alla promessa (“il più consigliato dai dentisti in Italia”) e infine instilla il radicamento, in una specie di ruolo freudiano primigenio, il brand-genitore che è sempre lì anche quando non c’è. Dove c’è Barilla c’è casa eccetera. Il termine radicamento è interessante, ci torno.
E tutto con un proiettile solo, lo spot in TV, 30 secondi che allora sembravano brevi e adesso lunghissimi. Era il marketing che classificava i megabrand con gli archetipi che gli studenti di comunicazione conoscono bene (l’eroe, l’esploratore, il saggio, ecc.). Gli anni ’60-’90 insomma, Avatar 2 che copia da Avatar 1 che copia da Pocahontas. Oggi sembrano tutte cose un po’ démodé come lo è pure, del resto, la parola démodé.
Ho iniziato a leggere il libro un po’ con la spocchia tipica del digitale, devo ammetterlo. “Ehi, noi veniamo dal Cluetrain Manifesto de i mercati sono conversazioni, e questa roba monodirezionale fa tenerezza, no? Le persone mica si fanno più infinocchiare così”. Man mano che leggevo, però, i miei “sai che in effetti” si sono accumulati. Sì, oggi il passaparola digitale è fortissimo, la trasparenza è ovunque, i brand nascono dagli influencer in una notte e vendono direttamente su Shopify, l’infodemia ubiqua fa pensare che per molti settori i brand non saranno nemmeno più necessari, basta cercare su Amazon. Eppure forse, dico forse, abbiamo buttato via troppo di quella cultura onusta di gloria passata.
Nell’orgia di possibilità algoritmiche di “angoli”, “contenuti da dare in pasto all’algoritmo” e infinite “audience” nei funnel ci perdiamo il concetto che il brand è sempre uno solo, se vuole esserlo e vuole davvero essere “radicato”. Dimentichiamo che la razionalità nei pain & gain dei target è solo uno strato superficiale del nostro pensiero di acquisto, a volte nemmeno quello più importante. E che applicare Cialdini ovunque è un po’ come spalmare di maionese qualunque cibo (chissà perché Cialdini è così amato dai digital wannabe, è in effetti archeologia anch’esso).
Ho sottolineato in Readwise la seguente frase, non tanto perché sia nuova, quanto perché credo che ognuno di noi, alle prese con l’algoritmizzazione dei target e dei contenuti, la performance del clic, il sogno del brand che nasce in un giorno da TikTok, si perda inevitabilmente dei pezzi. La domanda è: oggi come si fa quel radicamento? Si può fare? (semicit.)
O anche: è possibile oggi fare radicamento come quello freudiano degli anni ’80 o siamo alla fine della storia che ci ha portato i Pan di Stelle, l’Audi e la Coca-Cola, ma senza nessuna garanzia che un mondo digital-first ne porti di nuovi, salvo forse le piattaforme online? Dobbiamo accontentarci di mantenere vivi quei brand? Dobbiamo arrenderci al futuro del flusso compra e dimentica del social commerce, del meglio il carrello oggi del brand domani? Dobbiamo sbriciolare i contenuti che erano di uno spot e inserirli nel Bimby degli ecosistemi di Meta e Google, sperando che esca il risotto memorabile? E come dovremmo interpretare il fatto che Tesla – nessuno spot o advertising – è forse oggi il brand più forte nel settore, almeno in rapporto alle auto vendute?
Insomma, come si porta a casa, oggi, quel risultato? È forse l’unico mistero che qualsiasi AI non ci può svelare. Chi sa, parli.
Data-driven quote
La confluenza tra marketing, dati e stack martech è la mia passione lavorativa attuale, in attesa che il corso di scrittura creativa mi renda uno scrittore milionario. Ho deciso che ogni settimana metterò un estratto dalle mie letture.
Saks Fifth Avenue consente da tempo ai clienti di salvare le preferenze di designer, categoria e taglia, il che consente al rivenditore americano di offrire consigli più curati attraverso i suoi canali di comunicazione, nonché l'accesso a eventi esclusivi di designer rilevanti per determinati consumatori, afferma la CMO di Saks Emily Essner. Questo livello di clientela è fondamentale per distinguersi in un mercato sempre più affollato, spiega. “Trattiamo i dati zero-party come la voce del cliente. [È] incredibilmente prezioso per accelerare il nostro obiettivo di personalizzazione one-to-one.
(www.voguebusiness.com, Zero-Party Data: The New Marketing Frontline for Luxury | Vogue Business)
Il quiz della settimana
Quanti kg di tonno in scatola consuma ogni abitante in Italia all’anno?
a) 1 kg b) 1,7 kg c) 2,5 kg
Negozianti
Di Sissinet, CPM, Costo Per Maglia.
Link della settimana
Questa settimana sono tutte cose che ho scritto o detto io, quindi ovviamente ve le consiglio caldamente.
That’s all folks!
Alla prossima settimana!
Per commenti e osservazioni o sponsorizzazioni c’è il sempre comodo tasto reply.
@gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza, a Cristina Portolano per i separatori d’artista.
Quiz: c) 2,5 kg, cari i miei gourmet.