Ogni strategia digitale dovrebbe prendere in considerazione la creazione di contenuti. Nel senso: capire se servono o no contenuti (ancora prima della compilazione in un google doc del famigerato, last minute, disperato piano editoriale, molto prima. Diciamo, appena analizzato il customer journey del target.)
Analizzare dunque: questi contenuti rendono almeno quanto costano?
Ne posso aumentare il valore senza gravare troppo sui costi? (Per esempio mostrandoli a più persone con l’advertising, partnership, collaborazioni, ecc.)
Ne posso abbattere i costi scegliendo format diversi e mantenendo il valore percepito dagli utenti? (Forse quel video aziendale emozionale con i droni può essere sostituito da uno in stop motion da 10’’ e funzionare pure meglio sui social ads?)
Tutti concetti di ottimizzazione che chi produce un film sa (o dovrebbe sapere) ma applicabili anche a chi quei contenuti non li vende, ma li regala in cambio di qualcos’altro.
E il ritorno, come lo misuro? La risposta “fa brand” non vale, perché è una non risposta, a cui dunque dovrebbe seguire “cioè?”.
Elaboriamo: aumenta la visibilità e quindi l’inserimento in più journey decisionali? (ne ho bisogno?), aumenta la reputazione? (ne ho bisogno?), aumenta il valore percepito dal mio prodotto? (ne ho bisogno?), aumenta la capacità del cliente e la sua facilità nella decisione? (ne ho bisogno?). Dove questi “ne ho bisogno ?” significano però “per quello scopo il contenuto pensato è efficace ed efficiente?” E le metriche di valutazione dovrebbero essere adeguate. Non posso capire se sto ottenendo più visibilità misurando i clic. Non posso capire se sto aiutando i clienti misurando i like. Ogni scopo ha una sua misurazione, qualcuno nemmeno ce l’ha (direttamente dai numeri “facili”).
Qui è dove l’arte e il marketing sui contenuti prendono strade separate: l’arte produce e poi spera di trovare un pubblico, il marketing trova un pubblico e poi produce.
Ma, alt, cos’è un contenuto? Un contenuto si definisce così se contiene qualcosa, se è un dono, scrivevo tre anni fa, altrimenti è solo pubblicità. Che va benissimo in tante situazioni, intendiamoci. La massima per cui metà della mia pubblicità è sprecata ma non so quale metà vale anche per il contenuto. Se il mio obiettivo è portare traffico al sito forse un microvideo o un banner è più efficiente di un corporate podcast (un giorno troverò la voglia di parlare dei corporate podcast, forse), nonostante il loro tasso di contenuto incluso sia irrilevante.
Soprattutto dovremmo non innamorarci dei nostri contenuti, non siamo artisti. Scrivevo circa due anni fa.
in ogni fase può accadere l'imboscata del content marketing: l'umano digitale è spietato, sembra che l'abbiamo ammaliato con il content di Instagram, poi ci tradisce con il concorrente low cost. Va con il primo che capita. E ce lamentiamo quando quello non siamo noi, ovviamente.
Ma come? Ti abbiamo istruito, fatto divertire, fatto commuovere, fatto piangere, il tuo engagement era altissimo, e poi ci lasci così senza nemmeno un clic sul retargeting? Nemmeno una sveltina sul carrello abbandonato?
Il contenuto non è decisivo nel business, a meno che non sia in un libro. Non esiste nel content marketing la gratitudine del cliente, come non esiste la fiducia come la intendiamo tra persone, come non esiste la fedeltà (come la intendiamo tra persone). Riprendo dallo stesso post:
La gente dimentica presto chi ha creato i contenuti emozionali, di fronte allo sconto. Attrarre/Interessare/Informare con i contenuti non significa quindi automaticamente dominare la parte finale dell’acquisto: la nostra evangelizzazione anzi potrebbe poi essere sfruttata da altri. Il funnel è contenitivo di un utente medio come una striscia di vernice stradale.
Quante ricerche informative facciamo su Google (es. “i bias cognitivi e il marketing”), leggiamo e ce ne andiamo senza nemmeno guardare il logo di chi l’ha scritto?
Per questo il contenuto nel marketing non è un fine, ma un attrezzo o una materia prima come il metallo nell’industria metallurgica. Quanto rende? Quanto mi costa?
Se avessi creato quella pagina sui “bias cognitivi e il marketing”, come valuterei se è stato un affare o no? Numero di goal x valore del goal - costo totale di produzione. Numero di contatti generati dal contenuto, anche indirettamente o in un secondo momento, per valore del contatto - quanto mi è costato produrlo. Se quel pezzo l’ho pagato 5 euro ed è finito in prima pagina su Google, potrebbe essere stato un affare. Ma di primi posti ce ne è per definizione uno solo. Certo, misurare quanto ho formato un possibile cliente è più difficile da misurare, ma non impossibile.
Di contenuti ce ne sono fin troppi, stiamo lavorando gratis per un pubblico che non ci dice nemmeno grazie, cari brand. Almeno produciamo solo quelli che hanno davvero un senso. E misuriamoli come fossero noiose barre di acciaio in una catena di montaggio.
Il quiz
Tra il 1911 e il 2021, la produzione italiana di castagne è:
a) aumentata del 300% b) è aumentata del 10% c) è diminuita del 93%
[Evento] Be Curious, Be Innovative
[spons] Il 4 novembre mattina apro e modero la sessione “Il marketing che verrà: spunti e storie nell'era della personalizzazione” all’interno dell’evento SAS su dati, IA, etica e altre cose molto interessanti.
Si parlerà di visioni, scenari ma anche di innovazioni pratiche per passare dai dati alla centralità del cliente attraverso la personalizzazione e la rilevanza. È online, è free, potrete fare domande, ma è necessaria la registrazione pigiando sul pulsante qui sotto.
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Una mia intervista su “Cosa resta di quello che raccontiamo?” in vista del Non Profit Storytelling Day
Qualcuno vuole misurare l’attenzione e non le impression. L’avevo previsto anni fa.
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